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«Non si preoccupi, davvero. Ci pensiamo noi.» Estrasse un accendino d’argento tempestato di pietre e aspirò accendendo il cigarillo. «C’era davvero un messaggio?»

«Sì.»

«Da un pianeta?»

«Da un pianeta molto lontano.»

«Da Andromeda?»

«Esatto.»

«Be’, meno male che è a quella distanza.»

«Cosa è…» Bridger arricciò il naso al fumo del sigaro.

«Di che si tratta? Ora le spiego: in America, mi trovavo in America in quel periodo, erano tutti sossopra, in allarme. E anche in Europa, dappertutto. E poi il vostro governo dichiara: ‘Non è niente. Ve lo diremo tra un po’ di tempo.’ E così via. E la gente dimentica. I mesi passano e a poco a poco la gente dimentica. Ci sono altre cose di cui preoccuparsi. Ma c’è qualcosa, in realtà.»

«Non ufficialmente.»

«No, no, ufficialmente non c’è altro. Abbiamo tentato, ma c’è un bel muro di silenzio. Tutti tengono la bocca chiusa.»

«Me compreso.»

Avevano fatto un mezzo giro di Regent’s Park. Bridger guardò l’orologio.

«Devo essere di ritorno per il pomeriggio.»

«Lavora per il governo inglese?»

Kaufmann fece la domanda come se si trattasse di una qualsiasi conversazione di cortesia.

«Faccio parte della loro squadra,» rispose Bridger.

«Lavora al messaggio?»

«La cosa non l’interessa.»

«Qualsiasi cosa che abbia una pur minima importanza ci interessa. E questa potrebbe essere di grande importanza.»

«Forse. E forse no.»

«Ma andrà avanti, col lavoro? La prego, non assuma quell’aria misteriosa. Non sto cercando di estorcerle informazioni.»

«No, non andrò avanti.»

«Perché?»

«Non voglio restare tutta la mia vita in un ufficio governativo.»

Oltrepassarono lo zoo e proseguirono verso Portland Place. Kaufmann, con aria soddisfatta, tirava boccate dal suo sigaro mentre Bridger attendeva. Quando svoltarono verso ovest, in Marylebone, Kaufmann disse:

«Le piacerebbe un lavoro più redditizio, con noi?»

«Pensavo infatti a una cosa del genere,» confessò Bridger, abbassando gli occhi.

«Fin dall’incidente di Bouldershaw?»

«Ne era al corrente?» Bridger lo guardò fisso. «Da Oldroyd?»

«Naturale che lo sapevo.»

Era molto affabile, quasi affettuoso. Bridger tornò a esaminarsi le scarpe.

«Non voglio nessuna grana.»

«Non dovrebbe lasciarsi scoraggiare così facilmente,» disse Kaufmann. «E al tempo stesso non deve mettere la gente sulle nostre tracce. Potremmo aver qualcos’altro per le mani.»

Svoltarono di nuovo verso nord, in Baker Street.

«Penso che dovrebbe restare dove si trova,» disse. «Ma dovrebbe tenersi in contatto con me.»

«Quanto?»

Kaufmann spalancò gli occhi.

«Come ha detto?»

«Se vuole che le passi le informazioni…»

«Incredibile, dottor Bridger,» rise Kaufmann. «Ma lei non ha un briciolo di tatto.»

Il telefono squillò e Kaufmann sollevò il ricevitore.

«Kaufmann. Ja. Ja. Das ist Felix?»

Fecero ancora due giri attorno al parco e poi fecero scendere Bridger a pochi metri dall’istituto. Judy osservava il suo ritorno, ma lui non le rivolse la parola. Diffidava terribilmente di lei.

Mezz’ora più tardi il tassi che aveva seguito l’auto di Kaufmann si fermò di fronte a una cabina telefonica e ne scese Harries. Le sue gambe erano ancora incerottate e si muoveva rigidamente, ma lui si riteneva già in grado di lavorare. Pagò l’autista e si trascinò fino alla cabina telefonica. Non appena il suo tassi si fu allontanato, un’altra macchina si fermò ad attenderlo.

Rispose al telefono l’assistente di Watling, un annoiato tenente di cavalleria (infatti, allora, il Ministero della Difesa era già stato «integrato»).

«Capisco. Be’, farebbe bene a venire qui a fare il suo rapporto.»

Quando ebbe riattaccato il ricevitore entrò maestosamente Watling, nervoso e seccato dopo un altro incontro con Osborne.

«Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere. Ecco tutto quel che sanno fare.» Scagliò la cartella su una sedia. «Nessuna novità?»

«Harries ha telefonato.»

«Ebbene?»

Watling prese possesso della sua scrivania, un severo tavolo metallico in una severa stanza di cemento con le istruzioni antincendio sulla porta. L’assistente inarcò le sopracciglia.

«Dice che Bridger è stato visto in compagnia di Persona Nota.»

«Chi? La pianti con questo gergo.»

«Kaufmann, signore.»

«Kaufmann?»

«Intel, gente del cartello internazionale.»

Watling fissava la spoglia parete di fronte a sé. Di grandi «cartelli» industriali soprannazionali ce n’erano ancora moltissimi, in barba a tutte le leggi antitrust e al Mercato Comune. Formalmente non andavano contro la legge, ma erano comunque molto potenti fino ad esercitare in alcuni casi una stretta quasi mortale sul commercio europeo. In un periodo in cui l’Occidente era esposto alla possibilità di boicottaggio da parte di tutte le nazioni dalle quali dipendeva per le materie prime, le prospettive di guadagno per le agenzie di commercio poco scrupolose erano notevolissime. E l’Intel era conosciuta e poco apprezzata ovunque per la sua mancanza di scrupoli. Con ogni probabilità tutto ciò che finiva nelle sue mani sarebbe stato venduto con il massimo profitto in un’altra capitale non appena il mercato si fosse rivelato favorevole.

«Nient’altro?»

«No. Hanno fatto due o tre giri in quella specie di transatlantico di Kaufmann e sono tornati alla base.»

Watling si accarezzava il mento, mettendo insieme con metodo e chiarezza frammenti di pensiero.

«Pensa che si tratti di quella stessa faccenda che stava combinando a Bouldershaw?»

«Harries la pensa così.»

«E cioè la stessa faccenda per cui Harries è stato rapito e pestato?»

«In parte.»

«Be’, sono proprio gli ultimi che devono essere al corrente.»

Una volta che qualcosa finiva nelle mani della Intel, era maledettamente difficile ripescarla. Avevano un’organizzazione perfettamente legale a Londra, degli uffici registrati in Svizzera e filiali in almeno tre continenti. Le informazioni scivolavano lungo le loro linee private come argento vivo e a questo riguardo non c’era molto da fare. I mandati di perquisizione non servivano a niente. Quando si arrivava a dare un’occhiata a un ufficio di Piccadilly, la mercanzia di cui si andava in caccia era stata scambiata con manganese o bauxite al di là di qualche frontiera nemica. Nulla era sacro, nulla era sicuro.

«Penso che Bridger continuerà a fornir loro un mucchio di informazioni,» commentò Watling.

«Tra poco dovrebbe andarsene,» gli ricordò il suo assistente.

«Dubito che lo farà, ora, lo hanno corrotto.» Sospirò. «Ad ogni modo verrebbe a sapere tutto da Fleming. Sono amici per la pelle.»

«Pensa che anche Fleming ci sia dentro?»

«Ah.» Watling spinse indietro la sedia e si strinse nelle spalle. «Quello è proprio un ingenuo senza speranza. Spiffererà la cosa a tutti solo per dimostrare quanto è indipendente. Pensi a quel che è successo l’ultima volta. E ora dovremo averli con noi.»

«E come è possibile?»

«Come è possibile? Dovrebbe scrivere un libro di fraseologia, lei. Traslocheranno nei quartieri del Ministero della Guerra. Ecco come. Baracca e burattini. Fleming vuole costruire il suo supercalcolatore al Centro di ricerche missilistiche di Thorness.»

«Davvero?»

«Segreto di Stato.»

«Sissignore.» L’assistente era languidamente discreto. «È stato già deciso?»

«Lo sarà. Posso sentir odore di idiozie quando le ho sottovento. Vandenberg è furioso, e così tutti gli alleati, non me ne stupirei. Ma Reinhart è interessatissimo a questa storia, e così Osborne, e così il loro ministro. E anche il Consiglio dei ministri sarà interessatissimo, credo.»