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Quando Fleming e Reinhart arrivarono, pioveva. Venne loro incontro alla stazione un’auto guidata da una giovane donna in uniforme verde e percorsero, in mezzo al fango, la strada che attraversava l’aperta brughiera fino ai cancelli della base. Qui il loro ingresso venne registrato da un sergente dell’Argyll and Sutherland Highlanders, che telefonò al direttore per annunciare il loro arrivo.

Gli uffici principali erano in un lungo edificio stretto a un piano solo, che sorgeva al centro dell’ampio terreno cintato. Sebbene come progetto fosse nuovo e moderno, aveva ancora qualcosa del tradizionale, squallido aspetto di una caserma; ma l’ufficio del direttore era tutt’altra cosa. Il pavimento d’ebano scintillava; le luci erano schermate da paralumi affusolati, le finestre protette da tende che scendevano fino a terra, e alle pareti erano appese carte geografiche marine e terrestri in cornici di legno lucido. La scrivania del direttore era ampia e lussuosa: dietro di essa sedeva un uomo dal viso sottile e rugoso, e, sulla scrivania, un cartellino annunciava, in nitide lettere nere: DR. F. T. N. GEERS.

Li salutò cortesemente ma senza entusiasmo, e con un tono di scusa ovviamente voluto.

«Troverete molto noioso questo posto,» disse offrendo loro delle sigarette che teneva nella capsula di un grosso proiettile. «Ci conosciamo di fama, naturalmente.»

Reinhart sedette con prudenza su una delle sedie destinate ai visitatori: erano così basse che si riusciva appena a vedere il direttore dietro la sua scrivania.

«Abbiamo avuto uno scambio di lettere, mi pare, sul modo di intercettare i missili.» Doveva allungare il collo per parlare; era ovviamente una cosa voluta. Fleming osservava i due sorridendo.

Geers aveva studiato fisica e da anni era dirigente scientifico alla progettazione per la Difesa e ora era più un ufficiale comandante che uno scienziato. Sotto quell’uniforme inappuntabile si nascondeva il ricercatore deluso: questo lo rendeva soltanto più invidioso del lavoro altrui e più irritato per la massa di seccature della routine quotidiana che ricadevano su di lui.

«È ora che cominciate il vostro lavoro tra i fili spinati, a quanto sento.» Era acido, ma in gamba; aveva già stabilito dei programmi per loro. «Sarà una faccenda ostica, naturalmente. Non possiamo fornirvi facilitazioni illimitate.»

«Non chiediamo…» cominciò Reinhart.

Fleming lo interruppe. «Gli ordini di precedenza sono già stati stabiliti, mi pare.» Geers gli lanciò un’occhiata fredda e tagliente lasciando cadere la cenere in un posacenere che era stato uno stampo per pistoni.

«Il calcolatore principale sarà a vostra disposizione per alcune ore. Avrete il vostro reparto di lavoro e un vostro quartiere per tutta la squadra. Si trovano all’interno del recinto e sarete sotto la nostra sorveglianza, ma avrete dei lasciapassare e sarete liberi di andare e venire come volete. Il maggiore Quadring è incaricato della vostra protezione, e io sono incaricato di tutti i progetti di ricerca.»

«Non dei nostri,» dichiarò Fleming senza guardare Reinhart.

«I miei compiti sono più pedestri ma più immediati.» Geers cercò di evitare il più possibile Fleming e si rivolse al professore. «Il vostro lavoro riguarda il Ministero della Scienza: più idealistico, per quanto forse più approssimativo.»

Su un angolo della scrivania c’era una foto in cornice di sua moglie e di due bambini piccoli.

«Chissà se vanno d’accordo,» mormorò Fleming a Reinhart quando uscirono.

Fuori diluviava ancora. Uno degli assistenti di Geers fece fare loro un giro della base attraverso i prati bagnati, lungo sentieri di cemento che correvano tra file di bassi edifici simili a bunker, incassati a metà nel terreno, e li condusse poi fino all’area di lancio in cima al promontorio.

«C’è molta calma qui, oggi,» disse, mentre camminavano a capo chino sotto la pioggia violenta. «Può scoppiare una tempesta da un momento all’altro.»

Diversi piccoli razzi stavano sulle loro incastellature inclinate, ricoperti da fodere di nailon, puntati in direzione del mare: uno più grande degli altri si levava verticalmente sulla principale rampa di lancio, e, legato alla sua impalcatura, aveva un aspetto massiccio e terrestre.

«Non ci occupiamo di roba grossa, qui. Questi sono tutti intercettatori; molta capacità in uno spazio limitato. Massima segretezza, naturalmente. Normalmente non accogliamo a braccia aperte i visitatori.»

Il calcolatore principale era un’attrezzatura imponente, installata in un grande laboratorio. Era d’importazione americana ed era grande tre volte quelli che avevano usato fino ad allora. Il personale di turno diede a Fleming un orario sul quale erano segnati i suoi turni: avevano un atteggiamento amichevole anche se non sembravano particolarmente interessati. C’era anche un padiglione d’uffici, vuoto, destinato a loro, e alcune villette prefabbricate, il quartiere residenziale, piccole e nude ma pulite e arredate con mobili funzionali.

Si diressero, le loro scarpe erano fradice, verso il settore del personale e vennero mostrate loro la mensa e le sale di soggiorno per i dirigenti, l’emporio, la lavanderia e il garage, il cinema e l’ufficio postale. La base era del tutto autosufficiente: non avevano bisogno di uscire per alcun motivo, salvo che per vedere il cielo e le eriche.

Nei primi due o tre mesi solo il gruppo principale si trasferì a Thorness: Fleming, Bridger, Christine e Judy, e alcuni giovani assistenti. I loro uffici traboccavano di calcoli, progetti, cianografie e strani elementi di apparecchi sperimentali di collegamento. Fleming e Bridger facevano lunghe sedute notturne a discutere di circuiti elettrici e componenti elettronici, e a poco a poco l’edificio si riempì di assistenti di ricerca e di progettazione, in numero sempre maggiore, e poi di disegnatori e di ingegneri.

All’inizio della primavera successiva, una ditta di imprenditori di Glasgow entrò in scena e decorò la zona di cartelli che annunciavano MACINTYRE SONS. All’interno del recinto venne costruito un edificio per il nuovo supercalcolatore, come veniva chiamato il prodotto del cervello di Fleming, ma distaccato dalle altre costruzioni e nel suo interno arrivavano e sparivano dei carichi d’attrezzature.

Il personale permanente della base osservava tutto ciò con interesse vivo ma distaccato, e continuava a lavorare ai suoi progetti. Ogni settimana circa, dalle piste di lancio provenivano scoppi e lampi; un altro mezzo miliardo dei contribuenti spariva nell’aria. Le greggi e le mandrie della brughiera fuggivano disordinatamente, spaventate, e ogni volta c’erano giornate di intensa attività negli uffici di progettazione. A parte ciò Thorness era calmo come una terra vergine, e quando la pioggia cessava era incredibilmente bello.

I membri meno qualificati della squadra di Reinhart familiarizzavano allegramente con gli scienziati della Difesa e con i soldati che li sorvegliavano: mangiavano, bevevano, andavano in gita con loro e con delle piccole imbarcazioni facevano vela assieme sulla baia; Bridger e Fleming invece passeggiavano per conto loro ed erano conosciuti come Castore e Polluce. Quando non erano nell’edificio del calcolatore o nei loro uffici, erano di solito nell’alloggio di uno dei due, al lavoro. Di tanto in tanto Fleming si rinchiudeva da solo con qualche problema, e Bridger se ne andava con una barca a motore all’isola degli uccelli, Thorholm, portando con sé un binocolo.