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Reinhart, da Londra, dirigeva le operazioni: faceva le sue visite a intervalli regolari, ma perlopiù gironzolava dalle parti di Whitehall, conducendo in porto progetti, permessi, bilanci, e gli interminabili resoconti richiesti dal governo. Comunque, ottenevano alla svelta tutto ciò che desideravano, e ci furono ben pochi ritardi. Osborne, diceva Reinhart con modestia, era un capo di antico stampo.

Soltanto Judy era disoccupata. Il suo ufficio era distaccato dagli altri, nel gruppo principale degli uffici amministrativi, e il suo alloggio era con quelli delle scienziate della Difesa. Fleming, benché veramente gentile, non aveva tempo da trascorrere con lei; Bridger e Christine facevano di tutto per non incontrarla. Si dava daffare per avere un’idea generale di quanto accadeva e lasciò che alcuni degli ufficiali la portassero un po’ in giro, ma a parte ciò non le restava altro da fare. Nelle lunghe sere d’inverno si mise a ricamare e a modellare la creta e si acquistò così fama di artista; in realtà era solo annoiata.

Quando il nuovo calcolatore fu quasi finito, Fleming la condusse a visitarlo. L’atteggiamento di Fleming era un miscuglio di orgoglio e paura: poteva aver preso un granchio colossale come poteva rivelarsi qualcosa di inimmaginabile e inquietante. Dava soprattutto l’impressione di essere affaticato: era disperatamente stanco, ormai, e stancamente disperato. La macchina era certo una creazione notevole. Così grande che invece di essere installata in una stanza, la sala di controllo era costruita all’interno di essa.

«Siamo come Giona nel ventre della balena,» le disse, indicando il soffitto. «Il gruppo refrigerante è lassù: un liquificatore a elio. C’è un flusso costante di elio liquido attorno al nucleo.»

Al di là delle pesanti porte antincendio si apriva un locale delle dimensioni di una sala da ballo, con una parete costituita da apparecchi, alta fino al soffitto, che divideva in due la stanza. Di fronte a questa, volgendo le spalle alle porte, era il banco principale di controllo che aveva da una parte una specie di tastiera all’ennesima potenza e dall’altra una stampatrice. Sia la tastiera sia la stampatrice erano collegate a registratori magnetici e a perforatrici. Le luci centrali non funzionavano ancora; c’era solo una lampadina, sul banco di controllo, e un certo numero di lampade a saliscendi pendevano dall’alto. Il locale era seminterrato e privo di finestre. Pareva un antro misterioso.

«Tutto questo,» disse Fleming indicando la parete di apparecchi di fronte a loro, «è il gruppo di controllo. Questa è l’unità per i dati d’ingresso.»

Le mostrò la tastiera della telescrivente, l’analizzatore a nastro magnetico e la perforatrice. «Volevano che il piccolo avesse una specie di apparato di percezione magnetico, ma l’abbiamo modificato in modo da avere un analizzatore di copie. È più facile per dei comuni mortali dotati di occhi.»

«Il piccolo?»

Fleming le rivolse una strana occhiata.

«Lo chiamo così, perché mi dà la sensazione di essere un cervello, o quasi una persona.»

Aveva seguito così a lungo gli sviluppi di questa storia che a poco a poco si era abituata all’idea. Aveva dimenticato il brivido che l’aveva attraversata a Bouldershaw Fell quando per la prima volta dallo spazio era giunto fino a loro il messaggio. C’erano stati tanti allarmi, tanti cambiamenti, che l’origine del messaggio si era a poco a poco annebbiata e comunque il messaggio stesso si era ridotto a termini terreni di costruzione, di circuiti e di complicati apparecchi preparati dall’uomo. Ma, mentre stava accanto a Fleming che non solo pareva stanco ma posseduto e spinto innanzi da un impulso esterno, era impossibile non sentire nella stanza buia un potere oscuro e misterioso in agguato. Fu la sensazione di un attimo, e sparì subito. Non viveva ancora nel suo cervello come pareva vivesse in quello di lui, ma la faceva ancora rabbrividire.

«E questa è l’unità per i dati di uscita,» proseguì Fleming che non pareva avere notato ciò che la ragazza provava. «I suoi normali processi di pensiero sono in aritmetica in base due, ma glieli facciamo stampare in sistema decimale, così da avere una lettura diretta.»

La parete di apparecchi di fronte a loro era interrotta dal pannello dei quadri di controllo.

«Che cos’è?» domandò Judy indicando una schiera di parecchie centinaia di luci al neon disposte in fila tra due piastre metalliche ricoperte da fodere di plastica che si levavano ad angolo retto dallo scomparto.

«È tutta l’unità di controllo. Le lampade sono semplicemente un dispositivo per un controllo progressivo. Permettono di seguire l’andamento dei dati nella macchina.»

«Non avete ancora introdotto dei dati?»

«No, non ancora.»

«Sembri certo che funzionerà.»

«Non ho mai considerato la possibilità opposta. Sarebbe stato inutile per loro mandare il progetto di un qualcosa che non funziona.» La sicurezza della sua voce non era dovuta solo alla presunzione. Proveniva da qualche altro elemento che trovava espressione attraverso lui.

«Se lo interpreti nel modo giusto.»

«Certo che lo capisco. In buona parte.» Fleming accennò con la mano alle piastre di metallo coperte dalla fodera. «Non so proprio a cosa servano, quelle. Sono terminali elettrici con una differenza di potenziale di circa mille volt; è per questo che usiamo rivestimenti isolanti. Erano nel progetto e immagino che ne scopriremo la funzione. Con ogni probabilità sono un tipo di apparato sensoriale.»

Di nuovo sembrava sicuro del suo apparecchio, e pareva che la sua complessità non lo lasciasse per nulla perplesso. Sembrava che da tempo il suo cervello fosse preparato in attesa di quell’evento. Judy pensò a come lui dovesse sentirsi infelice e vuoto, l’anno precedente, quando parlava di una scoperta, di abbattere le barriere. Non che ora sembrasse molto più felice. Judy rammentò che Bridger aveva detto: «Non sarà mai felice.»

Le cose attorno a loro avevano un’aria relativamente normale, mentre facevano il giro della stanza.

«Funziona in questo modo,» spiegò Fleming. «Vi si telescrivono i dati, è il modo più veloce che abbiamo. L’unità di controllo decide cosa fare. L’unità aritmetica fa il calcolo rivolgendosi alla memoria per quello che le serve, e rifornendo la memoria di nuovi elementi, quindi la risposta esce sulla stampatrice. Le condutture principali sono sotto il pavimento e le unità aritmetiche lungo i muri laterali. È un sistema convenzionale, ma la convenzionalità finisce qui. Ha una velocità e una capacità da non potersi immaginare.»

Attorno a loro c’era un silenzio completo. Tutt’in giro si levavano file di armadietti metallici che nascondevano i loro segreti, e la superficie vuota del quadro di controllo li fissava ciecamente nella debole illuminazione. Fleming si guardò attorno con aria indifferente: faceva parte di quest’apparecchio come faceva parte della sua auto quando la guidava.

«In funzione, sarà un po’ più attraente,» e la fece passare dietro i quadri di controllo.

C’era un vasto locale semicircolare illuminato fiocamente come gli altri; un’immensa colonna ricoperta di metallo si levava al centro.

«Questo è il vero centro di tutto: la memoria.» Aprì un pannello nella parte inferiore della colonna e lo illuminò all’interno con una pila. «Eccoti un bel lavoretto di elettronica molecolare. La memoria è nel nucleo, e il nucleo è mantenuto in un vuoto totale a una temperatura che varia da uno a due gradi dallo zero assoluto. È qui che viene introdotto l’elio liquido.»

Judy sbirciando all’interno vide un cubo di circa un metro di lato di un qualcosa che pareva metallo, chiuso in un involucro di vetro e circondato da condutture refrigeranti. Fleming parlava meccanicamente, come se stesse tenendo una conferenza.

«Ogni nucleo è costituito da dischi alternati di materiale conduttore e non conduttore dello spessore di mezzo millesimo di pollice, incrociati in una struttura a nido d’ape. Con ciò si ottiene un circuito sì-no su una base metallica che è difficile anche solo da intravvedere.»