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«È l’equivalente di una cellula cerebrale?»

«Se vuoi metterla così.»

«E quante ce ne sono?»

«Il nucleo è di tre metri cubi. Ciò vuol dire che sono parecchi miliardi. E ci sono sei nuclei.»

«È più grande di un cervello umano.»

«Oh, sì, molto più grande. E più veloce. E più efficiente.»

Chiuse il pannello e non disse altro. Judy cercò di immaginare come funzionasse, ma lo sforzo era tanto superiore alle sue possibilità quanto la comprensione dell’elettronica: era una cosa troppo vasta e troppo poco familiare perché potesse concretizzarla in un’immagine. Si congratulò con lui e se ne andò. Per un attimo lui parve smarrito, ma non cercò in alcun modo di trattenerla. Poi ricominciò a controllare cifre.

Dennis Bridger non era preso dalla cosa nello stesso modo. Faceva il suo lavoro senza grande iniziativa e con aria scontenta, ma non faceva alcun tentativo visibile per mantenersi in contatto con l’Intel. Il maggiore Quadring e il suo personale di sicurezza lo tenevano d’occhio; su tutti coloro che uscivano dai cancelli principali venivano effettuati controlli periodici, ad assicurarsi che non venissero sottratti dei documenti o altro materiale importante, ma Bridger non faceva nulla che potesse far nascere dei sospetti. Il suo unico svago erano le visite all’isola di Thorholm, dalla quale era solito tornare con uova di gabbiano e di sule, e con simpatiche foto di puffini. Qualsiasi ragione gli avesse dato Kaufmann per farlo restare, sembrava non lo impegnasse a fare nulla.

Geers considerava con sospetto tutta la squadra. Non faceva mai dell’ostruzionismo, ma tra di loro esisteva una certa ostilità. Era evidente che se l’esperimento fosse fallito in un certo senso ne sarebbe stato contento. Tuttavia, man mano che si avvicinava il momento in cui il calcolatore sarebbe stato ultimato, e l’interesse del suo personale e dei superiori aumentava, si mise d’impegno a far sì che tutto l’eventuale successo venisse attribuito a lui. Fu lui a suggerire che si facesse un’inaugurazione formale, anche se, di necessità, privata, e il ministro della Scienza, privato della sua inaugurazione a Bouldershaw Fell l’anno precedente, si concesse di lasciarsi persuadere a tagliare un nastro in Scozia. Fleming cercò di rimandare il più possibile l’inaugurazione, che alla fine venne fissata per ottobre; per quell’epoca il nuovo calcolatore sarebbe dovuto essere programmato e pronto a ricevere i dati. Il generale Vandenberg e una ventina di funzionari di Whitehall raccomandarono alle loro segretarie di fare un appunto sulla loro agenda.

Judy finalmente aveva qualcosa da fare. Non sarebbe intervenuta la stampa, ma si dovevano prendere accordi con i vari Ministeri, e bisognava elaborare l’organizzazione della visita con il personale di Geers. Vedeva molto poco Fleming. Quando aveva terminato il suo lavoro, di solito faceva lunghe passeggiate per la brughiera nel clima tempestoso del primo autunno.

Circa una settimana prima dell’inaugurazione Judy scorse al largo, sul mare, un panfilo bianco. Era un grosso panfilo da alto mare, molto distante. L’isola di Thorholm lo celava alla vista dalla base. Poteva essere avvistato solo da un punto più avanzato della costa. Judy lo notò un pomeriggio, mentre tornava da una passeggiata, dal sentiero che correva lungo lo strapiombo della scogliera.

Il pomeriggio seguente era ancora là e a Judy, che passeggiava per il sentiero tra il bordo della scogliera e la distesa delle eriche, parve di scorgervi un fanale che faceva segnalazioni lampeggiando. La cosa, di per se stessa, non l’avrebbe incuriosita, se non avesse sentito all’improvviso dietro di sé nella brughiera il rombo di un’auto. Per istinto si accucciò dietro un cespuglio di ginestre e attese. Era un motore potente ma poco rumoroso, che, tenuto al minimo, ronzava appena.

Subito dopo Judy notò che la segnalazione era cessata. Qualche istante più tardi il motore si imballò e la ragazza sentì l’auto allontanarsi a fatica. Non appena la macchina fu lontana, si alzò dirigendosi alla sommità del sentiero. In cima alla scogliera questo si congiungeva a una carrareccia accidentata che si snodava verso l’interno per raggiungere la strada principale in una valle chiusa tra colline. Dietro la prima curva stava sparendo una grossa auto lucente, subito dopo un bosco ceduo di abeti. Judy l’osservò: le pareva d’averla già vista in qualche posto.

Non disse nulla a Quadring, ma tornò al medesimo posto il giorno dopo. Non c’erano né il panfilo né la macchina. Il paesaggio era vuoto e silenzioso: rimanevano solo i gabbiani. Il giorno seguente pioveva e poi i preparativi per l’arrivo del ministro l’impegnarono tanto che non poté più andarsene a zonzo. Il giorno prima dell’inaugurazione, all’ora del tè, aveva messo a punto ogni cosa: gli autisti avevano avuto istruzione di andare a prendere la comitiva alla stazione, per l’elicottero del ministro era stata preparata una squadra d’atterraggio, e nell’ufficio del direttore erano pronte bevande e tramezzini. Con Reinhart e gli altri era stato concertato il programma della visita. Fleming era sgarbato, sulle sue, e Judy aveva mal di testa; perfino lei.

Verso le quattro apparve il sole: la ragazza indossò una giacca a vento e uscì. Si incamminò lungo il sentiero della scogliera: il terreno attorno a lei fumava e in basso, lontano, verdi onde si abbattevano nel vento fresco contro gli scogli, scagliando in alto la spuma in siepi di trina che risplendevano alla luce del sole.

Il panfilo non c’era, e non c’era neppure l’auto là dove, sulla cresta della scogliera, il sentiero incontrava la carrareccia; ma c’erano delle recenti impronte di pneumatici, lasciate dopo la pioggia. Judy, che stava riflettendo su questo fatto, sentì un altro rumore in lontananza. Questa volta si trattava di un motore fuoribordo, e proveniva dall’estremità più lontana dell’isola, a circa due miglia di distanza. Sfidando il sole con gli occhi, vide in lontananza il profilo sottile di una barca che veniva da dietro l’isola e si dirigeva verso la baia sotto la base di Thorness. Era la barca di Bridger, dentro alla quale Judy riuscì a scorgere una persona: con tutta probabilità Bridger stesso.

Non vide altro. Qualcosa fischiò vicino a lei, poi si udì uno schianto e una scheggia di roccia schizzò dalla pietra, vicino al suo capo. Un altro proiettile le fischiò vicino mentre si gettava a precipizio giù per il sentiero; poi, finalmente, superò il primo anfratto della roccia e fu fuori tiro. Corse più lontano che poté, quindi per un poco camminò, per poi mettersi nuovamente a correre. Quando finalmente giunse alla base il sole era calato da molto tempo dietro un banco di nubi. Si era alzato un vento che cancellò definitivamente il giorno. Judy rabbrividì e le gambe le tremarono.

Quando ebbe superato i cancelli principali si sentì più sicura ma anche terribilmente sola. L’ufficio di Quadring era chiuso. Non c’era altri a cui potesse parlare e non voleva incontrare Bridger alla mensa. L’oscurità scendeva: Judy camminava tra le villette del quartiere residenziale; d’improvviso si trovò davanti all’alloggio di Fleming. Non sopportò di restare all’aperto un momento di più. Bussò ed entrò senza aspettare risposta.

Fleming era sdraiato sul letto, e ascoltava una registrazione di Webern su un giradischi ad alta fedeltà che si era costruito da solo. Sollevando il capo vide Judy ferma sulla porta, ansimante, il viso arrossato e i capelli scomposti.

«Molto coreografico. A che scopo?» «Aveva già scolato una mezza bottiglia di whisky.

Judy si chiuse la porta alle spalle. «John…»

«Be’, allora?»

«Mi hanno sparato.»

«Pfui.» Depose il bicchiere e buttò le gambe già dal letto.

«Davvero! Un attimo fa, alla brughiera.»

«Vuoi dire che ti hanno fischiato dietro.»

«Ero in cima alla scogliera quando d’improvviso un proiettile mi è passato vicino andando a conficcarsi nella roccia. Sono saltata indietro e un altro…»