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«Per me non è una delusione,» ribatté calmo Fleming. «È un punto di partenza. Il problema è questo: vogliamo andare avanti?»

«Come potete andare avanti?» chiese la Dawnay.

«Be’, l’idrogeno è l’elemento comune a tutto l’universo, no? Di conseguenza questa è una cognizione, anche se molto semplice, universale. Se non la riconoscessimo nella macchina non ci sarebbe nessun elemento che le permetta di andare avanti. Ma se noi la riconosciamo può procedere alla domanda seguente.»

«Quale domanda seguente?»

«Non lo sappiamo ancora. Ma questo, ci scommetto, è una prima mossa di un gioco molto lungo di domande e risposte.» Le tolse di mano il foglio e lo passò a Christine. «Inseriscilo.»

«Davvero?» Christine passò lo sguardo da lui a Reinhart.

«Davvero.»

Reinhart rimase in silenzio, ma qualcosa in lui era mutato. Non era più scoraggiato, e i suoi occhi guizzavano vivaci. Mentre tutti gli altri formavano un gruppo silenzioso e pensieroso, Christine sedette alla telescrivente d’entrata e Bridger armeggiò al banco di controllo.

«Adesso,» disse. Era, se possibile, più silenzioso di Fleming e Judy non riusciva a decidere se era geloso, apprensivo, o se soltanto cercava, come gli altri, di risolvere il problema.

Christine batteva rapidamente sulla tastiera, e il calcolatore continuava a ronzare dietro i suoi pannelli di metallo. Si sentiva incombere la sua presenza massiccia, indifferente, in attesa. La Dawnay guardava le file di comparti blu, le luci che lampeggiavano ritmicamente con meno timore di quello provato da Judy, ma con interesse.

«Domande e risposte: ci crede, lei?»

«Se lei se ne stesse lassù, tra le stelle, non potrebbe chiederci direttamente quel che sappiamo, ma questo coso sì.» Fleming indicò le attrezzature di controllo del calcolatore. «Se partiamo dall’idea che sia progettato e programmato appunto per fare questo lavoro per conto loro.»

La Dawnay si rivolse nuovamente a Reinhart. «Se il dottor Fleming è sulla strada giusta, siete davvero in possesso di qualcosa di terribile.»

«Fleming ha un istinto particolare per queste cose,» disse Reinhart guardando Christine.

Quando questa ebbe terminato di battere non accadde nulla. Bridger muoveva le manopole del banco di controllo mentre gli altri aspettavano. Fleming pareva perplesso.

«Che succede, Dennis?»

«Non so.»

«Potresti esserti sbagliato,» disse Judy.

«Non ci siamo ancora sbagliati.»

Un attimo dopo le lampade sul quadro di controllo cominciarono ad accendersi e spegnersi e un minuto più tardi la stampa-dati di uscita entrò rumorosamente in azione. Le si radunarono tutti intorno, guardando la larga striscia bianca di carta che si svolgeva dal suo rullo, coperta da righe e righe di cifre.

In uno dei lunghi e bassi mobili dell’ufficio di Geers era installato un mobile bar. Il direttore posò quattro bicchieri sul ripiano ed estrasse dallo scaffale inferiore una bottiglia di gin.

«Quel che Reinhart e i suoi ragazzi stanno facendo è molto emozionante.» Indossava il suo secondo miglior vestito ma sfoggiava i suoi modi più raffinati a beneficio della Dawnay. «Un piccolo contrattempo, ieri, ma penso che ora tutto sia in perfetto ordine.»

La Dawnay, sprofondata in una poltrona, levò lo sguardo e fissò Reinhart negli occhi. Geers, intento a versare del bitter in un bicchiere, continuava a chiacchierare.

«Non abbiamo altro che ferraglia, a dire il vero, qui in questo deserto. Costruiamo una buona parte della missilistica nazionale, questo è vero, e c’è un sacco di materiale complesso che viene usato da noi, ma non mi spiacerebbe rivestirmi dei vecchi panni e tornare al lavoro di laboratorio. È abbastanza?»

Depose il bicchiere che aveva riempito sulla scrivania, al livello degli occhi della Dawnay. La base dei bicchieri era coperta da un tessuto di cellulosa per impedire che lasciassero il segno.

«Bene, grazie.» La Dawnay riusciva appena a vedere e toccare il bicchiere senza alzarsi. Geers frugò nel bar in cerca di un’altra bottiglia. «E per lei, Reinhart, dello sherry?» Lo sherry venne versato. «È così seccante stare dietro una scrivania da direttore… Cin cin… Che bello rivederla, Madeleine. Di che cosa si è occupata?»

«DNA, cromosomi, l’origine della vita.» La Dawnay parlava in tono burbero. Rimise il bicchiere sulla scrivania e accese una sigaretta soffiando il fumo dal naso come un uomo. «Mi sono ficcata in una strada senza uscita. Me ne stavo giusto andando via per riflettere un po’ quando ho incontrato Ernest.»

«Resti qui a riflettere.» Geers le rivolse un simpatico sorriso che subito cancellò. «Dove si è cacciato Fleming?»

«Avrà finito tra un minuto,» rispose Reinhart.

«Quel suo ragazzo è veramente in gamba, anche se è così maldestro,» osservò Geers. «In realtà tutto il suo gruppo, nell’insieme, è un po’ maldestro, no?»

«Ma abbiamo anche ottenuto dei risultati.» Reinhart non si scaldava. «La macchina ha cominciato a stampare.»

Geers alzò le sopracciglia.

«Dice davvero? E che cosa stampa?»

Glielo spiegarono.

«Molto strano. Davvero molto strano. E cosa è accaduto quando avete inserito la risposta?»

«Ne è uscita una massa enorme di cifre.»

«Che cosa sono?»

«Non ne ho la più pallida idea. Le abbiamo studiate ma per ora…» Reinhart si strinse nelle spalle.

Fleming entrò, accennando appena a bussare.

«Sono capitato giusto?»

«Entri, entri,» invitò Geers, come se parlasse a uno studente promettente ma goffo. «Sete?»

«Quando non ne ho?»

Fleming portava i fogli usciti dalla stampa-dati. Li buttò sulla scrivania per prendere il bicchiere.

«Niente di bello?» chiese Reinhart.

«Assolutamente niente. O c’è qualcosa di sbagliato nel calcolatore o c’è qualcosa di sbagliato in noi.»

«È questo l’ultimo materiale?» chiese Geers rimettendo in ordine i fogli e chinandosi a guardarli. «Ci dovrà far sopra un sacco di analisi, vero? Se possiamo aiutarla in qualche modo…»

«Dovrebbe essere semplice.» Fleming era remissivo e preoccupato, come se tentasse di vedere qualcosa che continuava a sfuggirgli. «Sono sicuro che deve esserci qualcosa di molto semplice. Qualcosa che dovremmo riconoscere.»

«C’era una parte, qui…» Reinhart prese i fogli e li scorse in cerca di qualcosa. «Mi sembra vagamente familiare. Dia un’altra occhiata a quella parte, Madeleine.» La Dawnay ubbidì.

«Che cosa si aspetta?» chiese Geers a Fleming versandogli da bere.

«Non so. Non so ancora quale sia il gioco.»

«Non l’interesserebbe l’atomo di carbonio, vero?» Con un accenno di sorriso la Dawnay sollevò lo sguardo.

«L’atomo di carbonio!»

«Non è espresso così come lo esprimeremmo noi: ma potrebbe essere la descrizione della struttura del carbonio.» Soffiò il fumo dal naso. «Era questo che lei voleva dire, Ernest?»

Reinhart e Geers si chinarono di nuovo sui fogli.

«Io sono un po’ arrugginito, a dir la verità,» commentò Geers.

«Ma potrebbe essere così, no?»

«Sì, potrebbe essere. Ma mi chiedo se è tutto qui.»

«Non ci sarà nient’altro,» rispose Fleming. Pareva molto sicuro e non più preoccupato. «Considerate la storia fin dal principio. Pensate alla domanda sull’idrogeno. Ci sta chiedendo a che tipo di vita apparteniamo. Tutte queste altre cifre rappresentano altri modi possibili di creare esseri viventi. Ma noi, su questi, non sappiamo nulla, perché la vita sulla Terra è basata sull’atomo di carbonio.»

«Be’, può essere una teoria,» mormorò Reinhart. «E adesso che facciamo? Introduciamo in risposta le cifre che si riferiscono al carbonio?»

«Se vogliamo che quello sappia di che cosa siamo fatti, non se ne dimenticherà.»