«Allora potreste davvero costruirne una?»
«Se possiamo usare come controllo il calcolatore, e se possiamo costruire un dispositivo chimico che agisca sulle istruzioni non appena vengano fuori — di fatto, insomma, se possiamo costruire un sintetizzatore di DNA — allora penso che si possa cominciare a costruire un tessuto vivente.»
«È quello che i biologi cercano di fare da anni, vero?»
«Volete davvero permettergli di costruire un organismo vivente?» domandò Fleming.
«La Dawnay vuole tentare,» rispose Reinhart. «Fleming non vuole. Che facciamo?»
«Perché non vuole, lei?» chiese Osborne a Fleming con aria indifferente, come se si trattasse di una faccenda qualsiasi.
«Perché siamo stati spinti in questa storia da una specie di costrizione esterna,» rispose Fleming stancamente. «È quello che continuo a ripetere dal giorno in cui abbiamo costruito quell’apparecchio dell’accidente, e non c’è nulla che possa farmi cambiare idea. Madeleine Dawnay immagina che si possa sfruttare quella macchina come se si trattasse di una qualsiasi attrezzatura dà laboratorio: è una bella ottimista. Se vuole giocare alla sintesi di DNA se ne stia a farsela nella sua università. Non lasciatele usare il calcolatore. Oppure, se proprio dovete, almeno, ner prima cosa, toglietegli la memoria.»
«Reinhart?» Osborne si rivolse languidamente al professore. Qualsiasi impressione Fleming gli avesse fatto, non la diede a vedere.
«Non so,» mormorò Reinhart. «Davvero non so. Proviene da un’intelligenza straniera, ma…»
«Possiamo sempre togliere la corrente?…» concluse Fleming per lui. «Senta, l’abbiamo costruito per provare il contenuto del messaggio. È così? Bene, lo abbiamo dimostrato, lo abbiamo messo in azione per scoprire i suoi fini. Ora conosciamo anche questi.»
«Davvero?»
«Io lo so. È una quinta colonna intellettiva che proviene da un altro mondo, da un’altra forma di esistenza. Ha in se stessa il germe della vita, ma anche il seme della distruzione.»
«Ma lei ha qualche elemento per affermarlo?» chiese Osborne.
«Niente di tangibile.»
«E allora come possiamo…?»
«E va bene, andate pure avanti!» Fleming si alzò dirigendosi alla porta. «Andate avanti e vedrete quel che accadrà. Ma non venite poi a piangere da me.»
6
Allarme
Con ciò si recò in primavera a Thorness; per vedere Judy, diceva, ma di fatto per una forma di curiosità irresistibile. Si tenne lontano dall’isolato dove era il calcolatore, ma Judy e Bridger, separatamente, gli raccontavano quanto accadeva. Un’ala nuova, aggiunta alla costruzione, era stata riempita dalla Dawnay con complesse apparecchiature da laboratorio, compreso un sintetizzatore chimico, e un microscopio elettronico. Anche lei, come Christine, aveva parecchi studenti suoi, già laureati, che lavoravano al progetto, e aveva tutto il denaro di cui poteva avere bisogno nei limiti del ragionevole. Reinhart e Osborne, insieme, avevano ottenuto degli appoggi sostanziali.
«E che mi dici di te?» chiese Fleming a Judy.
Sedevano in cima alla scogliera, all’interno della base, sopra il molo.
«Seguo le stagioni,» gli sorrise dolcemente, ma cauta. Era colpita dal cambiamento avvenuto in lui, dalla sua aria disfatta e dalla sensazione di fallimento che dava. Avrebbe voluto abbracciarlo e donarglisi, ma al tempo stesso voleva tenerlo lontano, nei limiti della loro primitiva amicizia, che le sembrava rappresentare il massimo cui onestamente arrivare finché doveva continuare a sostenere una parte della quale si vergognava. Quando aveva saputo che lui stava per tornare, aveva perfino tentato di rassegnare le proprie dimissioni, ma non le era stato permesso. Sapeva troppo, ormai, per essere lasciata libera, e troppo, troppo davvero, per potergli confessare la verità.
Bridger era rimasto alla base, lavorando tutto l’inverno, e non aveva fatto alcuna mossa sospetta: ma era stata vista parecchie volte nei dintorni l’auto di Kaufmann; e quell’autista gigantesco, vestito in modo incredibile era stato a osservare gli arrivi e le partenze alla stazione e almeno una volta aveva telefonato a Bridger. Dopo di ciò Bridger era parso più infelice che mai, e aveva cominciato a farsi fare delle copie delle risposte del calcolatore, per suo uso personale. Judy questo non l’aveva scoperto, ma Quadring sì. Tuttavia non era venuto fuori nulla. Il panfilo bianco non era più apparso, e in realtà non ce lo si poteva certo aspettare durante un inverno di burrasche, di bufere e di neve, su quel mare selvaggio spazzato dalle tempeste. Al principio della primavera vennero formate delle pattuglie navali rinforzate da elicotteri, e il panfilo, semmai aveva avuto qualcosa a che fare con la faccenda, fu così tenuto lontano. Ma se il servizio di sicurezza andava aumentando, andava aumentando anche il valore delle informazioni, e tra i superiori di Judy era diffusa la sensazione che la posta si stesse facendo molto alta.
Judy, che non aveva altro da fare che osservare, aveva parecchio tempo, come al solito, a disposizione, e a Quadring andava a genio che Fleming fosse sorvegliato. Così Judy sedeva con lui sulla scogliera, facendo finta di essere felice di vederlo e sentendosi amaramente combattuta.
«Quando terrai una conferenza stampa?» fu la domanda di lui.
«Non so, quest’anno, l’anno prossimo, prima o poi.»
«Tutto questo avrebbe dovuto essere comunicato al pubblico da mesi.»
«Ma non è un segreto?»
«È un segreto perché fa comodo ai politicanti. Ecco perché le cose vanno male. Quando si toglie la scienza dalle mani degli scienziati e la si affida agli uomini politici, il suo fato è segnato.» Alzò le spalle accennando alla base. «Se questa storia non è già condannata.»
«Cos’hai intenzione di fare, poi?» gli chiese.
Abbassò lo sguardo sulle onde che si infrangevano cinquanta metri sotto di loro, e poi si volse verso di lei sorridendole, per la prima volta dopo molto tempo.
«Portami in barca a vela,» le disse.
Era una di quelle primavere precoci e ingannevoli che talvolta giungono inaspettate al principio di marzo. Il sole splendeva, da sud-ovest soffiava una brezza leggera e il mare era molto bello. Fleming dava per scontato che Judy non avesse altro da fare, e ogni giorno facevano vela sulla baia e lungo la costa nord fino a Greenstone Point e giù fino alla foce di Gairloch. L’acqua era gelata, ma la sabbia era tiepida e il pomeriggio di solito attraccavano in ogni insenatura che avesse un aspetto gradevole, si buttavano sulla sabbia e stavano sdraiati al sole, a crogiolarsi.
Dopo qualche giorno, l’aspetto di Fleming era migliorato. Era sempre più disteso e pareva riuscire a dimenticare, per ore, a volte, le nubi che gli incombevano sulla mente. Si accorgeva chiaramente che la ragazza non voleva più fare all’amore con lui e molto presto tornò al ruolo di fratello maggiore affezionato e protettore. Judy tratteneva il respiro e sperava in bene.
Poi, un pomeriggio torrido e scintillante, si spinsero in una piccola baia della costa dell’isola di Thorholm che guardava il mare. Intorno si alzavano le nude rocce che rifrangevano il calore del sole su loro, sdraiati fianco a fianco sulla sabbia. Non vedevano altro che il blu del cielo sopra di loro. Il solo rumore che sentivano era il suono cupo e morbido delle onde ed il richiamo degli uccelli marini. Dopo un po’ Fleming si rizzò a sedere, togliendosi il pesante maglione.
«Sarebbe meglio se te lo togliessi anche tu,» suggerì.
Judy esitò un attimo, poi si sfilò il pullover, restando in pantaloncini corti e reggiseno: sentiva il sole e il venticello scherzare sul suo corpo. Fleming dapprima non le prestò attenzione.
«È meglio dei calcolatori, questo.» Lei sorrideva, gli occhi chiusi. «È qui che viene Bridger?»
«Sì.»
«Non vedo uccelli.»