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«Dovrebbe indossare qualcosa di più pesante,» disse Quadring. «Esco anch’io!»

Faceva piuttosto caldo nel laboratorio della Dawnay. Le luci e gli apparecchi erano accesi da settimane e settimane, e a poco a poco avevano avuto la meglio sull’impianto di condizionamento d’aria.

«C’è odore di biologo,» disse Fleming entrando insieme a Reinhart. La Dawnay stava guardando attraverso l’oculare di un microscopio. Sollevò il capo con aria indifferente.

«Salve, dottor Fleming.» Parlava come se lui si fosse allontanato soltanto per prendere una tazza di tè. «Temo proprio che questo laboratorio abbia l’aria di una mensa popolare.»

«Niente di nuovo nel brodo?» chiese Reinhart.

«Abbiamo appena preparato una nuova infornata. Vuole fermarsi a vedere?» Il microscopio aveva un tubo di controllo elettronico, simile a uno schermo televisivo. «Può guardare qui nel caso accadesse qualcosa.»

«Una nuova coltura?» chiese uno dei suoi assistenti, fissando l’ago su una siringa ipodermica.

«Ne tiri fuori un po’ da qui, e sorvegli la temperatura del suo ago.» La Dawnay spiegò a Fleming il procedimento, mentre l’assistente estraeva una bottiglietta da un frigorifero.

«Operiamo la sintesi circa al punto di congelamento, e le cellule cominciano a vivere a temperatura normale.» Era molto cordiale e sembrava che quello che pensava Fleming non la toccasse minimamente. L’assistente infilò l’ago ipodermico nel tappo di gomma della bottiglietta ed aspirò del liquido nella siringa.

«Che forma di vita hanno?» chiese Fleming.

«Sono protoplasma molto semplice, con un nucleo. Che cosa pretende, tentacoli e teste?»

Prese la siringa, ne fece cadere una goccia di liquido su un vetrino e fissò il vetrino sul piatto di osservazione.

«Si agitano un poco, poi muoiono. Questo è il problema. Probabilmente non abbiamo ancora trovato il nutrimento giusto.»

Accostò l’occhio al microscopio, mettendolo a fuoco. Mentre la Dawnay muoveva il vetrino sotto la lente, vedevano formarsi cellule singole — un disco pallido con un centro più scuro, — e le videro agitarsi sullo schermo per pochi secondi. Poi smisero di muoversi, e quando la Dawnay passò ad un ingrandimento maggiore erano ovviamente morte. Estrasse il vetrino.

«È probabile che andremo avanti così tutta la notte.»

Subito dopo mezzanotte videro Bridger lasciare il suo alloggio. Le pattuglie della scogliera lo videro scendere il sentiero sino al molo. Non gli intimarono di fermarsi, ma telefonarono immediatamente alla sala di guardia da una vecchia piazzuola di cannoni che si trovava in cima al sentiero. Quadring e Judy li avevano raggiunti nel momento in cui Bridger si allontanava dal molo. Il fuoribordo starnutì un paio di volte, poi crepitò con regolarità allontanandosi sull’acqua. C’era un po’ di chiar di luna, e vedevano la barca lasciare la baia e dirigersi verso il largo.

«Non lo seguite?» chiese Judy.

«No. Tornerà.» Quadring chiamò a voce bassa le sentinelle. «State qui in cima e non fatevi vedere. Può volerci molto tempo.»

Judy guardò il mare dove la piccola imbarcazione si perdeva fra le onde.

La luna tramontò molto prima dell’alba, e benché indossassero dei pesanti cappotti militari avevano un freddo terribile.

«Perché non torna?» chiese Judy a Quadring.

«Non vuole navigare al buio.»

«Se sapesse che siamo qui…»

«Perché dovrebbe? Aspetta solo un po’ di luce.»

Alle quattro ci fu il cambio della guardia. Era ancora buio. Alle cinque cominciò ad apparire nel cielo il primo grigioperla dell’alba. Il cuoco di turno la notte fece il suo giro, portando delle grosse teiere. Ne lasciò una nella sala di guardia, un’altra al cancello principale, e un’altra ancora nella sala del calcolatore.

La Dawnay si spinse gli occhiali sulla fronte e bevve rumorosamente.

«Perché non la pianta per un po’, Madeleine?» Reinhart sbadigliava.

«Lo farò presto.» Mise un altro vetrino sotto la lente. Accanto a lei sulla tavola c’era un vassoio pieno a metà di vetrini usati, e Fleming sedeva appollaiato su un angolo del tavolo, con aria di disapprovazione, ma affascinato.

«Aspettate.» Mosse di una frazione di millimetro il vetrino. «Eccone una.»

Si poteva vedere sul tubo di controllo una cellula in via di formazione.

«Procede meglio del solito,» disse Reinhart.

«Diventa piuttosto grossa.» La Dawnay mise in funzione l’ingrandimento. «Guardate, comincia a scindersi.»

La cellula si allungò in due lobi che si stirarono e si divisero a formare due cellule, poi ogni cellula si divise nuovamente in altre cellule.

«Si riproduce.» La Dawnay si piegò all’indietro e guardò lo schermo. La sua faccia era segnata dalla fatica e dalla felicità. «Abbiamo creato la vita. Abbiamo davvero costruito una cellula riproduttiva. Guardate, va ancora avanti… Che ne pensa, dottor Fleming?»

«Intende fermarla?»

«No, non intendo fermarla, voglio vedere che cosa fa.»

«Si sta sviluppando in una struttura molto coerente,» osservò Reinhart.

Fleming batté il pugno sulla tavola. «La uccida.»

La Dawnay lo fissò con un’aria di leggera sorpresa. «Come?»

«La uccida, finché può.»

«È perfettamente sotto controllo.»

«Davvero? Guardi come cresce.» Fleming accennò sullo schermo alla massa di cellule che si andavano raddoppiando rapidamente.

«Va tutto bene. Si può far crescere un’ameba in una settimana fino a farle prendere le dimensioni della Terra, se si riesce a nutrirla abbastanza alla svelta.»

«Questa non è un’ameba.»

«Le assomiglia notevolmente.»

«La uccida.» Fleming fissò i loro volti ansiosi e ostinati, poi guardò di nuovo lo schermo. Raccolse la pesante teiera, e la scagliò sul piatto di osservazione del microscopio. Nella stanza silenziosa risuonò uno schianto di vetro e di metallo. Il pannello di osservazione si spense.

«Pazzo incosciente!» La Dawnay quasi piangeva.

«John, cosa diavolo fai?» Reinhart si mosse verso di lui per fermarlo, ma era troppo tardi. Fleming estrasse dal microscopio i frammenti che rimanevano del vetrino e li calpestò.

«Siete pazzi! Pazzi! Tutti pazzi furiosi e ciechi!» gridò loro, e si precipitò fuori della stanza.

Corse via attraverso la sala del calcolatore, lungo il corridoio di ingresso, fino al portico. Qui si fermò per un minuto, ansimante, mentre l’aria gelida gli sfiorava il viso. Uscire all’aperto in quella pallida alba, dopo una notte passata nella concentrazione del laboratorio della Dawnay era come svegliarsi da un incubo. Respirò profondamente parecchie volte, e camminò a gran passi attraverso i prati verso il promontorio, cercando di liberarsi il cervello e i polmoni. Lontano, poteva sentire il rumore di un fuoribordo. Cambiò direzione e camminò furiosamente verso il punto in cui il sentiero del molo raggiungeva la cima della scogliera. Nella luce che aumentava, il rumore della barca si avvicinava con regolarità e lo attirava come una calamita. Ma in cima alla scogliera si imbatté in Quadring, Judy e due soldati sdraiati in attesa sull’erba. Si fermò di botto.

«Che diavolo sta accadendo?» Li guardò a occhi sbarrati, senza capire. Quadring si alzò in piedi, il cannocchiale appeso al petto.

«Se ne vada; si tolga di qui.»

Il motore si era fermato. La barca scivolava verso il molo sotto di loro. Judy cominciò a tirarsi su. Ma Quadring le fece cenno di abbassarsi.

«Vattene, John, ti prego,» lo scongiurò angosciata.

«Andarsene, andarsene? Che diavolo state combinando voi qui?»