«A quello arrivo.»
«E tu?» Reinhart accennò alla bottiglia. Fleming scosse il capo.
«Pensano di aver già avuto una notevole fortuna,» disse, facendo scorrere l’acqua dal rubinetto, «e quando gli diciamo che è l’inizio di qualche cosa di molto più grande ci trattano come pazzi criminali. Ci mettono alle calcagna i loro cani poliziotti… o le loro cagne poliziotte.»
«Non c’è alcun bisogno di prendersela con la ragazza.» Reinhart prese il bicchiere e bevve.
«Non me la prendo con nessuno. Se non si accorgono che quello che abbiamo captato per puro caso cambierà le nostre vite, allora lasciamo che se la cavino da soli. Con un po’ di fortuna combineranno un sacco di pasticci e non ne verrà fuori nulla.»
«Ma qualcosa ne è venuto fuori.»
«Il mostro della Dawnay?»
«Ne sei al corrente?»
«È soltanto un programma, un’appendice minore della macchina.»
Fleming guardava nella credenza vuota, ma la sua attenzione cominciava a destarsi. «La Dawnay è convinta che la macchina le abbia dato il potere di creare la vita; ma si sbaglia. La macchina ha dato questo potere a se stessa.»
«Allora devi restare a controllarla, John.»
«Non è il mio mestiere.» Fece sbattere lo sportello della credenza. «Volesse il cielo che non avessimo mai cominciato.»
«Ma hai cominciato. Hai una parte di responsabilità.»
«Nei confronti di chi? Nei confronti di gente che non mi ascolta?»
«Io ti ascolto.»
«D’accordo.» Vagava per la stanza, raccogliendo le cose inutili e gettandole nel cestino della carta straccia. «Le dirò con che cosa lei ha a che fare: poi me ne andrò.»
«Se hai qualcosa di costruttivo da dire…» Il brandy aveva rinvigorito la voce di Reinhart.
«Senta…» Fleming si fermò a capo del letto e si piegò un poco, le mani sulla testata, piegandosi con tutto il suo peso sulle braccia e concentrando finalmente la sua attenzione su quanto doveva dire. «Siete tutti così occupati a chiedervi ‘Che cosa?’ ‘Che cosa abbiamo fatto?’ ‘Che cosa combina la macchina?’ ma nessuno, salvo me, si chiede ‘Perché?’ Perché mai un’intelligenza lontana duecento anni-luce si prende il disturbo di mettere in moto una storia del genere?»
«Non possiamo saperlo.»
«Ma possiamo trarre delle deduzioni.»
«Delle congetture.»
«D’accordo… se non vuole far la fatica di pensarci.»
Si raddrizzò, lasciando ricadere le braccia. Reinhart prese un sorso di brandy, aspettando. Dopo un minuto Fleming si distese, gli sorrise un po’ goffamente.
«Vecchio filibustiere!» Sedette sul letto accanto al professore. «Ovunque sia, qualunque sia è un’intelligenza logica. Invia una serie di istruzioni, in termini assoluti, che richiedono una ricerca tecnica e che noi interpretiamo sotto la forma di questo calcolatore. Perché? Pensa lei che abbiano detto: ‘Bene, ecco un’informazione tecnica interessante. La trasmetteremo al resto dell’universo… potrebbero trovarla utile’?»
«È chiaro che tu non la pensi così.»
«Perché dove c’è intelligenza c’è volontà. E dove c’è volontà c’è ambizione. Se si trattasse di un’intelligenza che vuole espandersi?»
«Una teoria vale l’altra.»
«È l’unica teoria logica.» Fleming picchiò un pugno sulla coscia. «Che cosa fa? Trasmette un messaggio che può essere captato e interpretato e con il quale altre intelligenze possono costruire un apparecchio. Non importa la tecnica che noi usiamo, proprio come non importa che apparecchio radio si compra: si ricevono gli stessi programmi. Quel che importa è che noi accettiamo il loro programma: un programma che usa la logica aritmetica per adattarsi alle nostre condizioni, o a qualsiasi altra condizione, quanto a questo. Conosce le basi della vita: scopre qual è la nostra. Scopre come lavora il nostro cervello, come è costituito il nostro corpo, come otteniamo le nostre informazioni, noi stessi gli spieghiamo il nostro sistema nervoso e i nostri organi sensorii. E così costruisce una creatura con un corpo e con organi di senso, un occhio. Ha un occhio, vero?»
«Sì.»
«Probabilmente è piuttosto primitivo, ma è il primo passo. La Dawnay pensa di essere lei a usare quella macchina, ma è la macchina che usa lei.»
«Il primo passo per che cosa?» chiese Reinhart indifferente.
«Non so. Una specie di conquista.»
«Conquistare noi?»
«È il solo motivo possibile.»
Reinhart si alzò, e camminando lentamente attraverso la stanza, pensieroso, depose vicino agli altri il suo bicchiere vuoto.
«Non so, John.»
Fleming sembrava comprendere la sua incertezza.
«I primi esploratori devono essere sembrati abbastanza inoffensivi alle tribù indigene.» Parlava gentilmente. «Vecchi missionari cortesi con ridicoli cappellucci bianchi che poi sono diventati i loro dominatori.»
«Può darsi che tu abbia ragione.» Reinhart gli sorrise con gratitudine. Era come ai vecchi tempi, quando tutti e due la pensavano alla stessa maniera. «Buffo tipo di missionario.»
«Questa creatura della Dawnay… che tipo di cervello ha?» Reinhart si strinse nelle spalle e Fleming proseguì. «Pensa come noi o pensa come la macchina?»
«Sempre che pensi.»
«Se ha un occhio ha dei centri nervosi, e quindi ha certamente anche un cervello. Ma che tipo di cervello?»
«È probabile che anch’esso sia primitivo.»
«Perché? Perché la macchina non dovrebbe aver prodotto un’appendice della sua stessa intelligenza? Un sottocalcolatore che funziona nello stesso modo, salvo per il fatto che dipende da un corpo organico?»
«E a cosa servirebbe?»
«A cosa servirebbe un corpo organico? Una macchina dotata di sensi? Una macchina con un occhio?»
«Non convincerai nessuno,» disse Reinhart.
«Non metta il sale sulla ferita.»
«Dovrai rimanere con quell’affare, John.»
«Perché?»
«Per controllarlo.» Reinhart era deciso: aveva preso la decisione parecchie ore prima. Fleming scosse il capo.
«Come diavolo è possibile? È più intelligente di noi.»
«Sei sicuro?»
«Non voglio averci a che fare.»
«Ed è proprio quello che la macchina vuole, secondo la tua teoria.»
«Se lei non mi crede.»
Reinhart sollevò appena una mano. «Sono pronto a crederti.»
«Allora distrugga quella creatura: è la sola cosa sicura da fare.»
«Lo faremo, se necessario,» rispose Reinhart, dirigendosi verso la porta, come se la cosa fosse definita. Fleming si volse di colpo verso di lui.
«Davvero? Pensa davvero che potrà farlo? Pensi a quanto è successo quando ho cercato di fermarla io; la Dawnay mi ha cacciato fuori. E se lei prova, verrà cacciato fuori anche lei.»
«Mi vogliono cacciar via in ogni modo.»
«Vogliono cosa?» Sembrava che gli avessero dato un pugno.
«I grandi capi vogliono che sloggiamo,» spiegò Reinhart. «Aspettano solo di sapere che noi ce ne andiamo e traslocheranno qui.»
«Perché, santo cielo?»
«Pensano di saper usare la macchina in modo migliore. Ma finché restiamo qui, John, possiamo togliere la corrente. E lo faremo, se è necessario.» Il suo sguardo passò dal viso incerto di Fleming alle valigie sul pavimento. «Faresti bene a disfarle.»
L’incontro tra Fleming e la Dawnay si svolse in un’atmosfera carica di elettricità, ma non accadde nulla di drammatico. Fleming era abbastanza calmo, e la Dawnay lo trattava con una specie di tollerante ironia.
«Ben tornato il figliol prodigo,» disse, e lo condusse a vedere la creatura nel serbatoio. Questa galleggiava placidamente in mezzo al suo bagno nutriente: aveva scoperto lo spioncino e passava la maggior parte del suo tempo a guardar fuori con il suo unico grande occhio senza luce. Fleming ricambiò lo sguardo, ma la creatura non diede segno di registrare quello che vedeva.