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Da quello che era riuscito a decifrare, il calcolatore stava facendo una serie di domande assolutamente nuove, che riguardavano tutte dimensioni, aspetto e funzioni del corpo. Era possibile, a quanto diceva Fleming, ridurre qualunque forma fisica in termini matematici e questo era, a quanto sembrava, ciò che chiedeva il calcolatore.

«Per esempio,» disse a Reinhart e alla Dawnay quando si disposero tutti insieme a lavorarci, «vuole avere notizie sull’udito. C’è un’enorme quantità di domande che riguardano le frequenze acustiche, e ci chiede ovviamente come produciamo i suoni e come li sentiamo.»

«Ma come può sapere che parliamo?» indagò la Dawnay.

«Perché la sua creatura ci vede usare la bocca per comunicare e le orecchie per ascoltare. Tutte queste domande derivano dalle osservazioni del vostro mostriciattolo. Probabilmente può anche avvertire le vibrazioni delle voci e ora che è collegato alla macchina può trasmetterle tutte le sue osservazioni.»

«Lei sta lavorando di fantasia.»

«Come se lo spiega, altrimenti?»

«Non vedo come possiamo analizzare tutta la struttura umana,» disse Reinhart.

«Non è necessario. La macchina continua a fare delle ipotesi intelligenti, e noi dobbiamo solo reintrodurre quelle giuste. È la solita storia. Non riesco a capire come mai, a questo punto, non abbia ancora trovato un sistema più veloce. Sono certo che ne è capace. Forse la creatura non ha risposto alla sua aspettativa.»

«Vuole tentare?» chiese Reinhart alla Dawnay.

«Tenterò qualunque cosa,» rispose.

In questo modo la seconda fase del progetto andò avanti: Christine se ne stava al calcolatore, facendo le letture e reintroducendo i risultati. Era sempre in stato di tensione nervosa, ma non diceva nulla.

«Vuoi passare a qualche altra incombenza?» le chiese Fleming una sera in cui si ritrovarono da soli nella sala del calcolatore.

«No. Mi affascina.»

Fleming fissò il suo viso pensoso, molto bello. Non la corteggiava più come era solito fare prima di cominciare a interessarsi veramente a lei, quando Christine era solo una ragazza del laboratorio. Si ficcò le mani in tasca, voltandole la schiena e uscì dall’edificio. Quando lui se ne fu andato, Christine attraversò la sala di controllo dirigendosi verso l’ala del laboratorio. Le costava sempre un certo sforzo entrare nella sala dove si trovava il serbatoio, e si fermò un istante sulla soglia, il viso teso, facendosi forza. Non si udiva alcun suono, salvo il continuo ronzio del calcolatore, ma quando giunse nel raggio dello spioncino praticato nel fianco del serbatoio, la creatura cominciò ad agitarsi, dimenandosi contro le pareti del serbatoio e facendo schizzare il liquido dall’apertura superiore.

«Buona,» disse a voce alta. «Sta’ buona!»

Si piegò, meccanicamente, e guardò attraverso lo spioncino: l’occhio era là, che la guardava fisso, ma la creatura si stava facendo sempre più agitata e muoveva le estremità del suo corpo come una medusa. Christine si passò una mano sulla fronte; si sentiva lievemente stordita per la posizione china, ma quell’occhio la teneva legata, come per ipnosi. Rimase così per un lungo minuto, e poi per un altro, riuscendo sempre meno a pensare. Lentamente, come per volontà sua, la mano destra salì lungo la parete del serbatoio e le sue dita cercarono il filo che lo collegava al cavo encefalografico. Toccarono il filo, e, quando furono percorse dalla leggera corrente, ne vibrarono.

Nell’attimo in cui toccò il filo la creatura si mise tranquilla. La guardava ancora fissamente, ma non si muoveva più. L’intera costruzione era immersa in un profondo silenzio; si sentiva solo il ronzio del calcolatore. Christine si raddrizzò lentamente, come se fosse in trance, continuando a stringere il filo. Le sue dita lo percorsero fino a toccare la guaina del cavo, e si richiusero su di esso, facendolo scivolare nell’interno della mano. Il cavo non era stato fissato: era legato con due nodi tra il serbatoio e il muro del laboratorio, ed era fermato lungo la parete con pezzi di nastro isolante, avvolto, a intervalli di qualche metro, attorno a dei chiodi. Seguendo il cavo con la mano, Christine camminò rigidamente verso la parete, la seguì fino alla porta che dava sulla sala del calcolatore. Aveva gli occhi aperti, sbarrati, ma non vedeva. Il cavo spariva in un buco praticato nella superficie di legno della porta e quando non poté andar oltre la ragazza sembrò perduta. Alzò allora l’altra mano e afferrò di nuovo il cavo dall’altra parte della porta.

Lasciò ricadere la mano destra e passò nell’altra stanza tenendo il cavo nella sinistra. Continuò il suo cammino lungo la parete, lentamente, fino all’estremità dell’intelaiatura dell’apparecchio di controllo, con un respiro profondo e faticoso, come se dormisse e fosse tormentata da un sogno. Al centro dell’intelaiatura dell’apparecchio il cavo passava nel trasformatore sotto il quadro di controllo. Le luci del quadro lampeggiavano continuamente, con un ritmo quasi ipnotico, e gli occhi di Christine si fissarono su di esse come si erano fissati sull’occhio della creatura. Rimase di fronte al quadro, per alcuni istanti, come se non intendesse andare oltre: poi, lentamente, la sinistra lasciò il cavo. Alzò di nuovo la destra e con tutte e due si attaccò ai fili ad alta tensione che correvano dal trasformatore ai due terminali dietro la sua testa. Questi fili erano ricoperti di nastro isolante, fino sotto ai terminali, dove il filo scoperto era fissato alle piastre sporgenti. Le mani di Christine li risalirono lentamente, centimetro per centimetro.

Il suo viso era pallido e teso: cominciò a tremare come il giorno in cui Fleming per la prima volta l’aveva fatta andare tra le piastre dei terminali. Stringeva i cavi: le dita si muovevano lentamente lungo di essi. Poi toccò il filo scoperto.

Accadde tutto molto rapidamente. Quando la corrente la percorse in pieno, il suo corpo si contorse. Cominciò a gridare, le gambe le si piegarono, la testa le cadde all’indietro, e restò appesa ai terminali con le braccia spalancate, come crocifissa. Le lampade del quadro di controllo lampeggiavano furiosamente, illuminandole il viso contorto, e nell’altra stanza cominciarono dei tonfi insistenti.

Durò circa dieci secondi. Poi il suo grido bruscamente venne interrotto, dal quadro di valvole sopra il capo di Christine partì una fragorosa esplosione, le luci si spensero, le sue dita si aprirono lasciando il filo nudo, e Christine cadde pesantemente, ammasso sconvolto, sul pavimento. Per un attimo regnò il silenzio. La creatura smise di agitarsi e il ronzio del calcolatore cessò, come se gli avessero tagliati i fili. Squillò il campanello di allarme.

Fu Judy la prima ad arrivare sul teatro della tragedia: passava vicino all’edificio quando l’allarme aveva incominciato a suonare sulla parete del portico. Spinta la porta, corse precipitosamente lungo il corridoio, fino alla sala di controllo. Dapprima non vide nulla. Le luci del soffitto funzionavano ancora, ma il banco di controllo nascondeva il pavimento di fronte al quadro. Poi vide il corpo di Christine: si precipitò verso di lei, le si inginocchiò accanto.

«Christine!»

Adagiò il corpo sulla schiena. Il viso di Christine la fissava, senza vita; le mani ricaddero mollemente sul pavimento: erano nere e bruciate fino all’osso. Judy cercò di sentire il cuore della ragazza, ma era fermo.

«Oh, mio Dio!» pensò. «Perché devo sempre trovarmi io di fronte alla morte?»

Le notizie raggiunsero Reinhart che era tornato a Londra. Quando le riferì a Osborne ne ottenne una risposta diversa da quella che si attendeva; Osborne ne era certamente preoccupato, ma sembrava tormentato da altri pensieri e accolse questa notizia come un grattacapo fra i tanti. Reinhart era stupito, non capiva: non solo Osborne, ma tutti gli altri che incontrava durante le sue continue visite agli uffici di Whitehall sembrava avessero in capo qualche peso segreto. Pensò di andare a Bouldershaw Fell dove non si recava da parecchio tempo, nel tentativo di liberarsi dell’atmosfera oppressiva che si sentiva attorno, ma venne a sapere che il radiotelescopio era stato messo sotto controllo militare e che era sorvegliato con estrema severità dal Servizio di Sicurezza del Ministero della Difesa. Questo passo era stato compiuto senza preavviso la settimana precedente, mentre Reinhart si trovava a Thorness. Era furibondo di non essere stato consultato, e andò a trovare Osborne, ma Osborne era troppo occupato per potergli concedere un appuntamento.