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«E il lavoro di Fleming e della Dawnay?» chiese Reinhart.

«Non li butterò a mare,» disse Geers. «Avremo bisogno, qualche ora al giorno, del calcolatore, ma ci si può mettere d’accordo…»

«Se buttate a mare me…»

«Non vi si muove nessuna accusa, Ernest,» disse Osborne. «Come vedrete dalla prossima lista d’onorificenze.»

«Al diavolo la vostra lista.» Le unghie di Reinhart si conficcarono nel palmo della mano. «Il lavoro in cui sono impegnati Fleming e la Dawnay è il progetto di ricerca più importante che sia mai stato fatto in questo paese. È l’unica cosa che mi interessa.»

Geers lo guardò attraverso gli occhiali scintillanti. «Faremo il possibile per loro, se si comportano bene.»

«Ci saranno alcuni cambiamenti, Miss Adamson.»

Judy si trovava nell’ufficio di Geers, di fronte al dottor Hunter, il sovrintendente sanitario della base. Questi era un omone ossuto, che aveva molto più del militare che del medico.

«La professoressa Dawnay si prepara a iniziare un nuovo esperimento, ma non sotto la direzione del professor Reinhart, questa volta. Reinhart ne è fuori.»

«E allora chi?…» Lasciò la domanda in sospeso. Non le piaceva quell’uomo, e non le piaceva avere a che fare con lui.

«Sarò io il responsabile.»

«Lei?»

Hunter, forse, era abituato a questo genere di insulti; sulla sua faccia larga, grossolana, apparve solo l’ombra di una smorfia.

«Certo, io sono soltanto un umile medico. L’autorità suprema sarà nelle mani del dottor Geers.»

«E se la professoressa Dawnay avesse qualcosa da obiettare?»

«No, non ha nulla da obiettare. L’organizzazione non le importa molto. Quello che dobbiamo fare per lei è disporre le cose in bell’ordine. Il dottor Geers avrà la suprema giurisdizione sul calcolatore, e io lo aiuterò negli esperimenti biologici. Ora lei…» raccolse un foglio dalla scrivania del direttore, «… lei era stata assegnata al Ministero della Scienza. Bene, può dimenticarselo. Tornerà con noi. Ho bisogno del suo aiuto per mantenere ben sicura la nostra parte dell’operazione.»

«Cioè il programma della professoressa Dawnay?»

«Sì. Penso che stiamo per creare una nuova forma di vita.»

«Una nuova forma di vita?»

«Le toglie il respiro l’idea, vero?»

«Che genere di forma?»

«Non lo sappiamo ancora, ma quando lo sapremo dovremo tenercelo per noi.»

Le rivolse un sorriso confidenziale. «Avremo il privilegio di fare da padrini a un grande avvenimento.»

«E il dottor Fleming?» chiese Judy guardando dritto di fronte a sé.

«Rimarrà qui, su richiesta del Ministero della Scienza: ma credo che ormai non abbia più gran che da fare.»

Fleming e la Dawnay accolsero quasi senza commenti la notizia dell’allontanamento di Reinhart. La Dawnay era completamente assorbita da quello che stava facendo, e Fleming isolato e solitario. La sola persona a cui avrebbe potuto parlare era Judy, ma la evitava. Sebbene lui e la Dawnay lavorassero sempre insieme, continuavano a diffidare l’uno dell’altra e non parlavano mai tranquillamente di qualcosa che non fosse l’esperimento: e anche allora gli riusciva difficile convincerla di qualsiasi postulato fondamentale.

«Suppongo,» disse lei una volta che se ne stavano vicino alla stampa-dati d’uscita a controllare nuove valanghe di cifre, «suppongo che queste siano tutte informazioni che ha inserito Ciclope.»

«Alcune, più quello che la macchina ha appreso da Christine quando l’ha presa in trappola.»

«Che cosa poteva apprendere da lei?»

«Non si ricorda quando le dissi che la macchina doveva avere un sistema più svelto per ottenere informazioni sul nostro conto?»

«Ricordo che lei era impaziente.»

«Non solo io. In quei pochi secondi prima che saltassero le valvole, credo che abbia ottenuto molti più dati fisiologici di quanti non se ne potrebbero ottenere in tutta una vita.»

La Dawnay ebbe uno di quei suoi brevi sbuffi asciutti, e lo lasciò a crogiolarsi nelle sue riflessioni. Fleming raccolse un pezzo di cavo e si diresse al gruppo di controllo, dove si fermò di fronte al quadro lampeggiante, tenendo in mano, sovrappensiero, i capi scoperti del filo. Raggiunto uno dei terminali, vi fissò uno dei capi del cavo, poi, tenendolo per la parte isolata, avvicinò lentamente l’altro capo al terminale opposto.

«Che sta cercando di fare?» La Dawnay si precipitò verso di lui. «Ne farà un arco voltaico.»

«Non credo,» rispose Fleming. Mise il capo scoperto del filo a contatto con il terminale. «Vede?» Al contatto delle due superfici metalliche ci fu solo una piccola scintilla.

Fleming lasciò cadere il filo e rimase pensieroso per qualche istante, poi alzò lentamente le mani verso i terminali, così come aveva fatto Christine.

La Dawnay fece un passo avanti per fermarlo. «Per l’amor di Dio!»

«Non si preoccupi.» Fleming toccò simultaneamente i due terminali e non accadde nulla. Rimase immobile, le braccia distese, stringendo le piastre metalliche mentre la Dawnay lo osservava con un miscuglio di scetticismo e e paura.

«Non le pare che ci siano stati abbastanza morti?»

«Ha imparato.» Abbassò le braccia. «Ha imparato. Non conosceva l’effetto degli alti voltaggi sui tessuti organici, finché non l’ha sperimentato su Christine. Non sapeva che avrebbe danneggiato anche se stesso. Ma ora che lo sa, prende le sue precauzioni. Se prova a passare attraverso questi elettrodi, la macchina ridurrà il voltaggio. Su, provi.»

«No, grazie, ne ho abbastanza delle sue idee.»

Fleming la guardò duramente.

«Non ci troviamo di fronte a un macchinario. Siamo di fronte a un cervello, e a un cervello maledettamente buono.» Lei non rispose ed egli uscì.

Nonostante l’urgenza del lavoro per la Difesa, Geers trovava tempo e mezzi per aiutare la Dawnay. Era il tipo che si nutre di lavoro, come una locusta; il fatto di avere una quantità enorme di cose sotto il proprio controllo soddisfaceva le riposte ambizioni della sua mente e sostituiva forse il genio creativo che gli era mancato. Riuscì a fare in modo che fosse messo a disposizione della Dawnay un maggior numero di attrezzature e faceva rapporto sui suoi progressi con orgoglio crescente. Lui sarebbe stato più in gamba di Reinhart.

Al complesso del calcolatore fu aggiunto un nuovo laboratorio che avrebbe ospitato l’enorme, complicato sintetizzatore di DNA e durante le settimane successive furono installati apparecchi cristallografici a raggi X di recente progettazione, e apparecchiature per la sintesi chimica, per ottenere fosfati, deossiribosio, adenina, timina, citosina, tirosina e altri ingredienti necessari a formare le molecole di DNA, il germe della vita. Nel giro di pochi mesi avevano in formazione una elica di DNA di circa cinque bilioni di lettere del codice nucleotidico, e prima della fine dell’anno avevano ottenuto un’unità genetica di cinquanta cromosomi, simile a quella umana ma leggermente più grande.

Nei primi giorni di febbraio la Dawnay, nel suo rapporto, annunciò l’esistenza di un embrione vivente apparentemente umano.

Hunter si precipitò al laboratorio per vederlo. Mentre passava nella sala del calcolatore, incrociò Fleming, ma non gli rivolse la parola. Fleming si era limitato alla sua parte di lavoro, come aveva promesso, e non aveva fatto alcun tentativo di dare la propria collaborazione in campo biochimico. Hunter trovò la Dawnay nel laboratorio, china su una piccola tenda ad ossigeno, circondata dai suoi apparecchi e da molti dei suoi assistenti.

«Vive?»

«Sì.» La Dawnay si drizzò per guardarlo.

«Che aspetto ha?»

«È un bambino.»

«Un bambino… Un essere umano?»

«Direi di sì, sebbene creda che Fleming non sarebbe d’accordo.» Ebbe un sorriso soddisfatto. «Ed è una femmina.»