«Non riesco a crederci…» Hunter sbirciò nella tenda a ossigeno. «Posso dare un’occhiata?»
«Non c’è gran che da vedere: è solo un fagottino.»
Sotto la ricopertura di plastica della tenda c’era qualcosa che sarebbe potuto essere umano, ma il corpo era protetto da una coperta e il viso da una mascherina. Un tubo di gomma spariva sotto la coperta all’altezza del collo.
«Respira?»
«Aiutandola. Polso e respirazione normale. Peso, tre chili. Quando sono arrivata qui, non avrei mai pensato…» Si interruppe, sopraffatta improvvisamente, inaspettatamente, dall’emozione. Poi continuò, a voce più bassa: «E pensare a tutta quell’alchimia per trasformare il metallo in oro, per creare la vita.» Sfiorò il tubo di gomma e riprese il suo solito fare burbero. «La nutriamo per ipodermoclisi. È probabile che le sia sconosciuto il normale istinto di poppare. Bisognerà insegnarglielo.»
«Ci ha procurato una bella grana, professoressa,» commentò Hunter, che era colpito, sì, ma si preoccupava già delle responsabilità formali.
«Vi ho dato una vita umana, creata da esseri umani. La natura ci ha messo due miliardi di anni per fare un lavoro del genere. Noi ci abbiamo messo quattordici mesi.»
I modi rassicuranti, da medico di famiglia, tornarono a riaffiorare in Hunter: «Voglio essere il primo a congratularmi.»
«Ne parla come se si trattasse di una nascita normale,» disse la Dawnay, cercando di sorridere e di sbuffare contemporaneamente.
Sembrava che la piccola creatura, sotto la sua tenda, traesse profitto dal suo nutrimento endovenoso. Cresceva circa due centimetri al giorno, ed era chiaro che non avrebbe passato la normale fanciullezza di ogni bambino. Geers fece rapporto al direttore generale della Ricerca, al Ministero della Difesa, spiegando che al ritmo attuale la bambina avrebbe raggiunto le dimensioni di un’adulta nel giro di tre o quattro mesi.
Nelle sfere ufficiali la reazione a tutta questa storia fu un miscuglio di orgoglio e di segretezza. Il direttore generale richiese un rapporto completo che venne catalogato come segretissimo. Lo trasmise poi al ministro della Difesa che lo comunicò, in sintesi, a un primo ministro stupito e sbalordito. La cosa fu comunicata anche al governo, sotto la clausola della massima segretezza e Ratcliff tornò al suo ufficio, al Ministero della Scienza, alquanto scosso e incerto su quel che doveva essere il prossimo passo da compiere. Dopo lunghe riflessioni diede ordine a Osborne, che scrisse a Fleming invitandolo a fare un rapporto ufficioso.
Fleming rispose con una parola: «Uccidetela.»
Con regolare procedura fu convocato nell’ufficio di Geers e gli fu chiesto di dare spiegazioni.
«Non capisco,» disse Geers strizzando gli occhi fino a ridurli a una fessura dietro gli occhiali, «non capisco come la cosa la riguardi.»
Fleming pestò un pugno sull’enorme scrivania.
«Sono ancora sì o no un membro della squadra?»
«In un certo senso.»
«Allora forse lei farà bene ad ascoltarmi. Può avere l’aspetto di un essere umano, ma non lo è. È un’appendice della macchina, come l’altra creatura, solo è più perfezionata.»
«È basata su qualche elemento questa sua teoria?»
«È basata sulla logica. L’altra creatura era un primo abbozzo, un primo tentativo di produrre un organismo simile al nostro e perciò a noi accettabile. Questo è un tentativo migliore, basato su un numero di informazioni maggiore. Ho lavorato su quelle informazioni: so quanto sono premeditate.»
Geers socchiuse appena gli occhi. «E ora che questo miracolo è portato a termine lei vorrebbe che lo uccidessimo?»
«Se non lo fate ora, non ne sarete mai più capaci. La gente giungerà a considerarlo una creatura umana. Diranno che lo assassiniamo. Ci fregherà — la macchina ci fregherà, — proprio come vuole.»
«E se decidiamo di non seguire il suo consiglio?»
«Allora almeno tenete la creatura lontana dal calcolatore.»
Per un minuto Geers rimase in silenzio, gli occhiali scintillanti, poi si alzò per concludere il colloquio.
«Lei, Fleming, è qui solo per tacita tolleranza, e per cortesia verso il ministro della Scienza. Il giudizio in questo caso sta a me e non a lei. Faremo quello che riterrò meglio, e lo faremo qui.»
9
Accelerazione
Come Geers aveva predetto, prima che passassero quattro mesi la ragazza si era completamente sviluppata. Rimaneva per la maggior parte del tempo in una tenda a ossigeno, sebbene, a periodi sempre più lunghi, imparasse a respirare naturalmente. Alla fine del primo mese avevano smesso di nutrirla per iniezioni ed era passata a un biberon. Ma oltre a questo non veniva fatto nulla per stimolare la sua intelligenza e lei se ne stava sdraiata, inerte, come un neonato, fissando il soffitto. Man mano che continuava a crescere, Geers si faceva sempre più apprensivo, ma la crescita si arrestò a un metro e sessantasei: era una giovane donna completamente sviluppata.
«Ed è anche piuttosto bella,» commentò Hunter con uno schiocco delle labbra.
Geers non permetteva a nessuno salvo che a Hunter, alla Dawnay e ai loro assistenti di vederla. Mandava ogni giorno un rapporto strettamente confidenziale al Ministero della Difesa e il direttore generale della Ricerca fece visita due volte, stabilendo con lui dei piani per il futuro della ragazza. Per mantenere segreta la sua esistenza vennero prese estreme precauzioni, attorno all’edificio del calcolatore e del laboratorio venne montata la guardia giorno e notte, e a tutti coloro che avevano dovuto essere messi al corrente del segreto era stato fatto giurare il silenzio. A parte Reinhart, a cui lo disse Osborne in via privata, e a parte un gruppo di ufficiali superiori e di uomini politici di Londra, nessuno al di fuori della squadra di ricerca di Thorness sapeva dell’esistenza della ragazza.
Fleming, così pensava Geers, era l’elemento più dubbio dell’intero gruppo, e vennero date a Judy istruzioni ben precise di sorvegliarlo. Non avevano quasi mai parlato, dalla primavera precedente. Lui aveva fatto a malincuore uno sgarbato tentativo di scusarsi, ma lei aveva tagliato corto e da allora quando si incontravano alla base si ignoravano reciprocamente. Almeno, si diceva Judy, non lo aveva spiato: il fatto che lui si fosse staccato dall’esperimento della Dawnay al quale lei era stata assegnata dopo la morte di Bridger, significava che lui non era la sua principale occupazione. Qualsiasi rimorso di coscienza sentisse per il passato, era nascosto dall’anestetico di un’indifferente apatia, ma adesso era diverso. Prendendo il coraggio a due mani, andò a cercarlo nella sala del calcolatore, sentendosi le gambe stranamente fiacche. Gli passò la lettera di istruzioni che le era arrivata.
«Ti spiacerebbe leggerla?» disse senza preamboli.
Fleming vi gettò uno sguardo e gliela riconsegnò. «È su carta intestata del Ministero della Difesa: leggila tu. Sono pignolo riguardo a quello che tocco.»
«Sono preoccupati per la sicurezza della nuova creatura,» spiegò Judy rigidamente, ritirandosi di fronte all’attacco di lui. Fleming rise.
«Ti diverte?» gli chiese. «Ne sarò io responsabile.»
«E chi sarà responsabile di te?»
«John!» Il viso di Judy si imporporò: «Dobbiamo sempre stare con i fucili puntati?»
«Pare di sì, vero?» disse in un tono a metà tra comprensione e indifferenza. «Ho paura di non andare pazzo per la tua preziosa creatura.»
«Non è mia. Io non faccio altro che il mio dovere. Non ti sono nemica.»
«No. Sei proprio il tipo che si lascia trascinare dalle situazioni.» Fece scorrere lo sguardo per il locale, disperato. «Oh, finalmente l’ho detta!»
Judy fece un ultimo tentativo per avvicinarglisi. «Sembra che siano passati dei secoli da quando ce ne andavamo in barca a vela.»
«Sono passati davvero dei secoli.»
«Siamo ancora gli stessi.»