«Ha ragione,» ammise la Dawnay rivolta a Fleming. «Non ha un cervello, ha un calcolatore.»
«Non è la stessa cosa?» Fleming fissò la fanciulla bionda e sottile che stava leggendo al tavolo di quella che era divenuta la sua stanza: era una delle sue rare visite nel regno della Dawnay. Il laboratorio era stato smantellato e trasformato in un insieme di stanze che sembravano uscite da una rivista di architettura; la fanciulla ne era una suppellettile.
«È infallibile,» commentò la Dawnay. «Non dimentica nulla. Non fa mai un errore. Già ora sa molto più di quel che sa la maggior parte della gente.»
Fleming si accigliò. «E continuerete a rimpinzarla di nozioni finché ne saprà più di voi.»
«Forse. I signori in alto hanno dei progetti su di lei.»
I progetti di Geers erano abbastanza chiari. Nonostante avessero fatto uso del nuovo calcolatore, i pressanti problemi delle apparecchiature di difesa restavano insoluti. La difficoltà principale era costituita dal fatto che non sapevano come usarlo. Lo toglievano di mano a Fleming per parecchie ore al giorno e cercavano di fargli elaborare velocemente una grande quantità di calcoli: ma non avevano la possibilità di attingere al suo potenziale effettivo, né di usare la sua immensa intelligenza per risolvere dei problemi che non gli venivano posti in termini di cifre. Se, considerava Fleming, le creature nate e cresciute con l’aiuto della macchina, avevano con essa un’affinità, allora sarebbe stato possibile usarle come interpreti. Il mostro che era nato per primo ovviamente non era capace di comunicare al calcolatore le necessità umane, ma con la ragazza era un altro paio di maniche. Se avessero potuto impiegarla come intermediario, avrebbero potuto fare qualcosa di molto notevole.
Il ministro della Difesa non fece alcuna obiezione all’idea, e, sebbene Fleming mettesse in guardia Osborne, come aveva fatto con Geers, Osborne non aveva influenza presso gli uomini al potere. Fleming poté solo tenersi in disparte e vedere come i fini della macchina venissero inconsapevolmente assecondati da gente che non voleva dargli ascolto. Anche lui non aveva che un tortuoso filo di logica su cui basarsi. Se si sbagliava, si era sbagliato sempre, fin da principio, e la vita non era quello che pensava. Ma se aveva ragione, si stavano incamminando verso la tragedia.
Quando Geers e la Dawnay portarono per la prima volta la ragazza nella sala del calcolatore, anche Fleming era presente.
«Per l’amor di Dio!» Passò lo sguardo da Geers alla Dawnay in un ultimo appello senza speranza.
«Sappiamo tutti come la pensa, Fleming,» disse Geers.
«Allora non fatela entrare qua dentro.»
«Se vuole lagnarsi, si rivolga al ministro.» Si volse verso la porta: la Dawnay si strinse nelle spalle; le pareva che Fleming creasse un sacco di complicazioni gratuitamente.
Geers tenne la porta aperta per Andromeda che entrò scortata da Hunter che le camminava accanto, leggermente più indietro, come due personaggi di Jane Austin. Andromeda si muoveva con rigidità, ma era perfettamente lucida di spirito: il viso calmo, gli occhi che registravano ogni particolare. In un certo senso era tutto formale e irreale, come se dovessero cominciare un minuetto da un momento all’altro.
«Questa è la sala di controllo del calcolatore,» le spiegò Geers, mentre lei si guardava attorno. Sembrava un padre gentile ma severo. «Si ricorda che gliene ho parlato?»
«Perché dovrei dimenticarmene?»
Sebbene parlasse in modo lento e artificioso, la sua voce, come il suo viso, era forte e affascinante.
Geers la guidò per il locale. «Questo è il gruppo di ingresso. L’unico modo di fornire informazioni al calcolatore è battere a macchina qui. Porta via molto tempo.»
«Credo bene.» Esaminò con calmo interesse la tastiera.
«Se vogliamo comunicare con il calcolatore,» proseguì Geers, «la cosa migliore è selezionare qualche informazione dal gruppo di uscita e di reintrodurlo.»
«È un sistema molto primitivo,» commentò lentamente la ragazza.
La Dawnay le si avvicinò affiancandolesi. «Ciclope, dall’altra stanza può passargli direttamente delle informazioni per mezzo di questo cavo coassiale.»
«Ed è questo che volete che faccia?»
«Vogliamo cercare di scoprire se funziona,» spiegò Geers.
La ragazza alzò il capo e notò che Fleming la fissava. Non si era accorta di lui, prima, e lo guardò senza espressione.
«Chi è?»
«Il dottor Fleming,» rispose la Dawnay. «È lui che ha progettato il calcolatore.» La ragazza si diresse rigidamente verso di lui e gli tese la mano.
«Piacere.» Parlava come se ripetesse una lezione. Fleming ignorò la mano tesa continuando a fissarla. Lei rispondeva al suo sguardo senza batter ciglio e dopo qualche momento lasciò ricadere la mano.
«Lei deve essere un uomo intelligente,» disse, senza espressione. Fleming rise.
«Perché lo fa?»
«Far cosa?»
«Ridere… si dice così?»
Fleming si strinse nelle spalle. «La gente ride quando è allegra, e piange quando è triste. Qualche volta ridiamo anche quando siamo tristi.»
«Perché?» Continuava a fissarlo in viso. «Cosa vuol dire essere felici, o tristi?»
«Sono sentimenti.»
«Io non li sento.»
«No. Lei non può.»
«Perché li avete, voi?»
«Perché siamo imperfetti.» Fleming ricambiò lo sguardo come una sfida. Geers dava segni di impazienza.
«Funziona tutto bene, Fleming? Il quadro di controllo non registra nulla.»
«Qual è il quadro di controllo?» chiese Andromeda, volgendosi. Geers glielo mostrò e lei rimase a fissare le file di lampade spente mentre Geers e la Dawnay glielo illustravano, spiegandole al tempo stesso l’uso dei terminali.
«Vorremmo che lei si mettesse lì, in mezzo,» le disse Geers.
La ragazza si diresse con decisione al quadro e quando fu vicina, le luci cominciarono a lampeggiare. Si fermò.
«Va tutto bene,» la rassicurò la Dawnay. Geers tolse le custodie ai terminali e spinse avanti la ragazza mentre Fleming, nervosissimo, guardava la scena senza parlare. La ragazza avanzò riluttante, il viso teso e rigido. Quando giunse al quadro, si fermò, i terminali a pochi centimetri dalle tempie. Le luci cominciarono a lampeggiare più velocemente. Il ronzio del calcolatore riempiva la stanza. Lentamente, senza che nessuno glielo dicesse, Andromeda sollevò le mani verso le piastre.
«È sicuro che sia neutralizzato?» Geers fissava Fleming preoccupatissimo.
«Si neutralizza da solo.»
Non appena le mani della ragazza toccarono le piastre metalliche, essa tremò. Stava immobile, il viso pallidissimo, come in trance: poi si lasciò andare e barcollò indietro. La Dawnay e Geers la sostennero facendola sedere su una sedia.
«Tutto bene?» chiese Geers.
La Dawnay annuì. «Ma guarda un po’.»
Le luci del quadro di controllo erano tutte accese e il ronzio del calcolatore si faceva più forte di quanto fosse mai stato.
«Che cosa è successo?»
«Mi sta parlando,» disse la ragazza. «Mi conosce.»
«Che cosa dice?» chiese la Dawnay. «Cosa sa di lei? E come le parla?»
«Noi… noi comunichiamo.»
Geers sembrava terribilmente perplesso. «In cifre?»
«Lo si potrebbe esprimere in cifre,» rispose guardando davanti a sé, lo sguardo vuoto. «Ci vorrebbe molto tempo per spiegarlo.»
«E lei può comunicare…?» La Dawnay fu interrotta da una forte esplosione nella stanza accanto. Il quadro di controllo si spense, il ronzio cessò.