Allungò un braccio per prendere il blocco di fogli dalla tastiera. «Dammelo.» Andromeda liberò un braccio. «Non puoi averla vinta, lo sai bene.» Si volse di nuovo per allontanarsi, e quando Fleming fece per fermarla, d’improvviso gridò: «Lasciami in pace! Vattene! Fuori di qua.»
Stavano di fronte, tremanti tutti e due, come se non potessero muoversi. Poi Fleming l’afferrò saldamente con entrambe le mani, attirandola a sé.
L’annusò, sorpreso. «Hai usato del profumo.»
«Lasciami andare. Chiamo le sentinelle.»
Fleming cominciò a ridere. «Prendi fiato, allora.»
Andromeda dischiuse le labbra e lui vi depose un bacio. Poi, staccandola da sé, le braccia tese, la scrutò.
«Bello o brutto?»
«Lasciami sola, per piacere.» La voce di lei era malcerta. Lo guardava confusa, poi abbassò lo sguardo, ma lui continuava a tenerla.
«A chi appartieni?»
«Appartengo a quello che mi dice il mio cervello.»
«Allora dimmi questo…» La baciò ancora con sensualità ma senza passione, a lungo.
«No,» implorò Andromeda, ritraendosi. Lui la teneva stretta a sé parlandole dolcemente.
«Non ti piace il sapore delle labbra, o quello del cibo, o il profumo e la sensazione dell’aria fresca di fuori, o le colline oltre il filo spinato, con il sole, l’ombra e le allodole che cantano? E la vicinanza degli esseri umani?»
Scosse lentamente il capo. «Non sono importanti.»
«No?» Parlava con la bocca sulla bocca di lei. «Quale che sia l’intelligenza incorporea alla quale devi fedeltà, non ne ha tenuto conto, ma sono importanti per la vita organica, come scoprirai.»
«Si può tener conto di qualsiasi cosa,» rispose lei.
«Ma non se ne è tenuto conto nei calcoli.»
«Possono essere introdotti.» Sollevò il capo a guardarlo. «Non puoi batterci, dottor Fleming. Smettila di provarci, prima di avere la peggio.»
La lasciò andare. «È probabile che io abbia la peggio?»
«Sì.»
«E perché mi metti in guardia?»
«Perché provo qualcosa per te,» spiegò, e lui le rivolse un mezzo sorriso.
«Parli quasi come un essere umano.»
«Allora è tempo che la smetta. Per piacere, vattene, John, ora.» Lui restò immobile, ostinato, ma c’era nella voce di lei una nota di supplica che non c’era mai stata prima, e sul suo volto un’espressione di infelicità. «Per piacere. Vuoi che venga punita?»
«Da chi?»
«Da chi credi?» Andromeda fissò le apparecchiature di controllo del calcolatore. Fleming era colto di sorpresa: a questo non aveva pensato mai.
«Punita? Questa è bella.» Si infilò in tasca i fogli zeppi di cifre e si avviò alla porta. Sulla soglia si volse per lanciarle un’ultima frecciata: «A chi appartieni?»
Lei lo guardò andarsene e poi, riluttante, si volse verso il quadro di controllo e vi si diresse, lentamente, come se ci fosse costretta. Sollevò le mani per metterle a contatto con i terminali, poi esitò. Aveva il volto teso ma continuò ad alzare le mani fino a toccare le piastre. Per un attimo il solo risultato fu che le luci si misero a lampeggiare più forte mentre la macchina digeriva le informazioni che Andromeda le dava, poi il voltmetro sotto il quadro, all’improvviso, segnò il massimo.
Andromeda emise un grido di dolore e cercò di staccare le mani dalle piastre, ma la corrente la teneva prigioniera. La lancetta del voltmetro cadde ma solo per tornare a sollevarsi e Andromeda gridò di nuovo… Poi una terza volta e una quarta e ancora, ancora, ancora…
Anche questa volta fu Judy a scoprirla. Entrò qualche minuto dopo, cercando Fleming, e vide con orrore la ragazza abbandonata sul pavimento, nel medesimo punto in cui era crollata Christine.
«Oh, no!» Le parole le sfuggirono; le corse accanto per voltarla. Andromeda era ancora viva, e al contatto delle mani di Judy si ripiegò su se stessa, lamentandosi e toccandosi piano le mani. Judy sollevò quel capo biondo e se lo posò in grembo, poi le prese le mani aprendogliele. Erano nere e ustionate salvo che dove la carne si apriva rossa fino all’osso.
Judy le lasciò con dolcezza. «Com’è accaduto?» Andromeda gemette ancora aprendo gli occhi. Judy mormorò: «Le tue mani…»
«È facile medicarle.» La voce della ragazza era appena udibile.
«Cosa è accaduto?»
«Qualcosa non ha funzionato, ecco tutto.»
Judy la lasciò e telefonò al dottor Hunter.
Da quel momento gli eventi precipitarono con la velocità di un cataclisma. Hunter fece alle mani di Andromeda una fasciatura provvisoria, e cercò di persuaderla ad andare all’infermeria della base, ma lei si rifiutò di lasciare il calcolatore prima di avere visto Madeleine Dawnay.
«Faremo più in fretta così,» assicurò loro. Sebbene soffrisse per lo shock, lesse con la massima attenzione tutti i fogli della Dawnay, risolutamente, fino a trovare la parte che la interessava. Hunter le aveva fatto delle iniezioni locali per alleviare il dolore alle mani, ma tra queste e le fasciature aveva molta difficoltà a muoversi; ciò nonostante riuscì a trovare i fogli che voleva e li portò alla Dawnay. Riguardavano la produzione di enzimi nella formula DNA.
«E cosa ce ne facciamo di questi?» La Dawnay li guardava dubbiosa.
«Per ottenere la formula di un tessuto isolato. Potete prepararlo molto in fretta,» spiegò Andromeda e riportò i fogli al calcolatore. Era pallida, debole e camminava a fatica. La Dawnay, Hunter e Judy l’osservavano preoccupati. Lei si mise di nuovo tra i terminali e sollevò le mani bendate. Ma questa volta non accadde nulla e dopo qualche istante la macchina cominciò a stampare dati.
«È la formula di un enzima, potete prepararlo molto facilmente.» Indicò alla Dawnay il foglio stampato, quindi si rivolse a Hunter. «Vorrei stendermi, ora. Per piacere. L’enzima mi può essere applicato sulle mani con una base medicamentosa, quando la professoressa Dawnay lo avrà preparato; ma cercate di fare il più in fretta possibile.»
Restò ammalata per parecchi giorni; Hunter le medicava le mani con l’unguento fatto in base alla formula, una volta che la Dawnay lo ebbe preparato. La cicatrizzazione fu miracolosa: il nuovo tessuto, una carne soffice e fresca, ben diversa dal tessuto indurito delle cicatrici, rimarginò le ferite nel giro di poche ore e formò uno strato nuovo di pelle rosea sui palmi. Quando si fu rimessa dagli effetti dell’elettroshock, anche le sue mani erano come rigenerate.
Hunter, nel frattempo, aveva fatto rapporto a Geers, e Geers aveva mandato a chiamare Fleming. Il direttore, che non era ancora sicuro dell’origine dell’incidente, aveva il viso e le labbra tesi per la preoccupazione: la breve stagione del suo cameratismo era finita.
«Ebbene, così lei ha deciso di farlo saltare!» strepitò contro Fleming picchiando il pugno sul ripiano lustro. «Non consulta nessuno… è troppo intelligente. Tanto intelligente che scassa la macchina e, maledizione, quasi fa uccidere la ragazza.»
«Se non vuole neppure ascoltare quel che è accaduto.» La voce di Fleming si levò a sovrastare la sua, ma Geers lo interruppe.
«So che cosa è accaduto.»
«Era là, lei? Andromeda sapeva che sarebbe stata punita. Avrebbe dovuto cacciarmi via, avrebbe dovuto cancellare quanto avevo introdotto nel calcolatore ma non lo ha fatto o non abbastanza presto. Ha esitato, mi ha messo in guardia, ha lasciato che me ne andassi, poi è andata a toccare i terminali…»
«Credevo che lei se ne fosse andato,» gli ricordò Geers.
«Certo che me n’ero andato. Le sto raccontando come sono senz’altro andate le cose: Andromeda fece sapere alla macchina che era viva, che le erano state date delle false informazioni, che la sorgente delle informazioni era in circolazione e che lei non l’aveva fermata. Così la macchina l’ha punita dandole una serie di scosse elettriche. Sa come fare, adesso: lo ha imparato a spese di Christine.»