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«Lei mi ha fatto?» André la guardò con disprezzo, poi si diresse al quadro di controllo e mise le mani sui terminali. Immediatamente le lampade si calmarono ma continuarono a lampeggiare per tutto il tempo che la ragazza rimase lì, forte e sicura come una giovane dea. Dopo un minuto si scostò, guardò la Dawnay.

«Ci stiamo stancando parecchio di questo… questo giochetto,» disse calma, come se stesse trasmettendo un messaggio. «Né lei, né il dottor Fleming, né alcun altro può mettersi tra noi.»

«Se cerchi di farmi paura…»

«Non so cosa abbia messo in macchina. Non posso assumermene la responsabilità.» Sembrava che Andromeda fissasse qualcosa al di là della Dawnay. Rumorosamente, la stampa-dati di uscita si mise in azione, e la Dawnay a quel suono si mosse. Seguì André fino al calcolatore, e quando arrivò il messaggio era finito. André esaminò il foglio, poi lo strappò dal rotolo e glielo passò.

«La formula del suo enzima.»

«Tutto qui?» La Dawnay provava una sensazione di sollievo.

«Non le basta?» chiese André e l’osservò andarsene con viso fermo e ostile.

La Dawnay aveva tre assistenti che lavoravano con lei in quel periodo: un chimico ricercatore e due aiutanti perfezionandi, un ragazzo e una ragazza. Tutti insieme lavorarono a una sintesi chimica basata sulla nuova formula. Questa sintesi comportava un certo lavoro di manipolazione, ma poiché non aveva un effetto irritante, nessuno di loro se ne preoccupava. Nel giro di un paio di giorni, tuttavia, cominciarono tutti a sentire segni di stanchezza e di deperimento. Sembrava che non ci fosse motivo alcuno, e continuarono a lavorare ma alla fine del terzo giorno, la ragazza ebbe un collasso e il mattino seguente la Dawnay e l’uomo erano altrettanto malandati.

Hunter li portò all’infermeria, dove furono presto raggiunti dal ragazzo. Di qualsiasi natura fosse la malattia, il suo corso si faceva sempre più veloce; non si avevano febbre o infiammazioni, ma le vittime deperivano, semplicemente. Le cellule morivano, i processi di base del metabolismo rallentavano o si fermavano, e uno dopo l’altro gli ammalati si indebolirono finendo in coma. Hunter era disperato e fece appello a Geers che mise a tacere tutta la faccenda.

Fleming non venne a conoscenza dei particolari fino al quarto giorno, quando Judy ruppe il silenzio per parlargliene. Telefonò subito a Reinhart e gli chiese di venire da Bouldershaw; e persuase Judy a trovargli una certa carta. Quando Judy gliela diede si rinchiuse con essa per tutta la notte nel suo alloggio e ne uscì il mattino seguente, sfinito ma soddisfatto. Ma ormai la ragazza era morta.

11

Antidoti

Quando Fleming arrivò all’infermeria, le stavano coprendo il viso. Gli altri tre giacevano silenziosi e immobili nei loro letti, i visi tesi, pallidi come il cuscino. La Dawnay, che occupava la cabina accanto a quella della ragazza, veniva tenuta in vita esclusivamente con trasfusioni di sangue. Stava immobile come il marmo: pareva la statua funeraria di qualche vecchio guerriero. Rimase a guardarla finché Hunter lo raggiunse.

«Che cosa vuole?» Hunter era ridotto a uno straccio. Rinunciò alla fatica di apparire educato con Fleming.

«È colpa mia,» disse Fleming, guardando il viso distrutto che riposava sul guanciale.

Hunter quasi rise. «L’umiltà per lei è cosa nuova.»

«Come vuole, allora, non era colpa mia.» Fleming si volse di scatto, gli occhi scintillanti: trasse di tasca i fogli: «Ma vengo per darle questi.»

Hunter prese con sospetto le carte. «Cos’è?»

«La formula dell’enzima.»

«Come diavolo ne è venuto in possesso?»

Fleming sospirò. «Illegalmente. Come tutto quel che devo fare.»

«La terrò io, se non le spiace,» disse Hunter. Lo guardò di nuovo. «Perché è cancellata?»

«Perché è sbagliata.» Fleming tolse il foglio superiore per mostrare quello di sotto. «Ecco la formula esatta. Sarà bene farlo preparare alla svelta.»

«La formula giusta?» Hunter aveva un’aria un po’ confusa.

«Quella che il calcolatore ha dato alla Dawnay era un’inversione di quella che lei voleva. Ha messo il negativo al posto del positivo, come era in realtà, per ripagarla di un piccolo scherzo che gli avevo fatto.»

«Che scherzo?»

«Dava l’antienzima al posto dell’enzima. Invece di una cellula rigeneratrice, una cellula distruttrice. Probabilmente agisce attraverso la pelle e l’hanno assorbito mentre lavoravano.» Sollevò una mano della Dawnay, abbandonata senza vita sul lenzuolo. «Niente da fare, a meno che non si prepari in tempo l’enzima adatto. Ecco perché le ho portato la formula esatta.»

«Pensa veramente…» Hunter corrugò le sopracciglia con aria scettica, fissando il blocco di fogli, e Fleming, alzando gli occhi dalla mano della Dawnay che ancora teneva, lo guardò con disgusto.

«Non vuole gloria e onore?»

«Voglio salvare delle vite,» rispose Hunter.

«Allora prepari la formula esatta. Dovrebbe agire come antidoto a quella che ha ottenuto la Dawnay. Può almeno tentare. Se no…» Si strinse nelle spalle e depose di nuovo la mano della Dawnay sul lenzuolo. «Questa macchina farà lo sporco giuoco di tutti finché le va bene.»

Hunter sospirò. «Se è così maledettamente intelligente, perché ha fatto un errore simile?»

«Non lo ha fatto. Il solo errore che ha commesso è stato quello di colpire la persona sbagliata. Era me che voleva colpire, e non si è curata di quanta gente avrebbe fatto fuori in questa ricerca. Uno dei vostri contratti commerciali con la Intel, e avrebbe potuto far fuori mezzo mondo.»

Lasciò Hunter tutto accigliato sulla formula; era ovviamente obbligato a tentare.

Quel pomeriggio l’uomo morì; ma il nuovo enzima era stato preparato e somministrato ai due che sopravvivevano. In principio non accadde nulla di rimarchevole, ma prima di sera era chiaro che il deperimento andava rallentando. Dopo cena Judy visitò l’infermeria e si diresse poi verso il cancello principale per accogliere Reinhart che era atteso con l’ultimo treno. Passando accanto all’edificio del calcolatore provò l’impulso di entrare. Non c’era alcun operatore in servizio e trovò André che sedeva sola al banco di controllo, lo sguardo fisso davanti a sé. L’odio accumulato per mesi, le frustrazioni di anni ribollirono d’improvviso in Judy.

«È morta un’altra persona,» sbottò selvaggiamente. André si strinse nelle spalle e Judy sentì una voglia terribile di picchiarla. «La professoressa Dawnay sta combattendo per la vita, e il ragazzo anche.»

«Allora hanno una possibilità,» disse la ragazza, senza alcuna intonazione.

«Grazie al dottor Fleming, non grazie a lei.»

«Non è affar mio.»

«È stata lei a dare la formula alla professoressa Dawnay.»

«Gliel’ha data la macchina.»

«Gliel’avete data assieme.»

André si strinse ancora nelle spalle. «Il dottor Fleming ha l’antidoto. È intelligente, lui, li può salvare.»

«Lei non se ne preoccupa, vero?» Judy si sentiva gli occhi ardenti e asciutti, guardandola.

«Perché dovrei preoccuparmene?» chiese la ragazza.

«La odio.» Judy si sentiva anche la gola secca e riusciva appena a parlare. Avrebbe voluto prendere qualcosa di pesante e spaccare la testa alla ragazza; ma in quel momento il telefono squillò e dovette andare al cancello principale e ricevere Reinhart.

Quando Judy se ne fu andata, la ragazza sedette immobile, per lungo tempo, fissando il quadro di controllo, e delle lacrime, delle vere lacrime umane, le sgorgarono dagli occhi scorrendole lentamente giù per le guance.

Judy condusse Reinhart direttamente alla baracca di Fleming dove venne messo al corrente dello stato delle cose.