«E Madeleine?» chiese il vecchio. Sembrava stanco e incerto.
«Ancora viva, grazie a Dio,» rispose Fleming. «Ne possiamo salvare due.»
Sembrò che Reinhart ne fosse un po’ sollevato e parve meno stanco. Gli tolsero il soprabito, lo installarono in una sedia vicina al calorifero e gli diedero da bere. Aveva un aspetto invecchiato che Judy non gli aveva mai visto, patetico, era ormai Sir Ernest, e sembrava che, concedendogli l’onorificenza, lo avessero definitivamente invecchiato. Judy immaginava quanto lontana nel passato gli dovesse sembrare la sua amicizia di gioventù con la Dawnay, e sentiva che lui si aggrappava a quella vita come se la sua in qualche modo le fosse legata. Reinhart prese in mano il bicchiere e cercò di fissare la sua attenzione su quello che doveva dire.
«Non ne avete ancora parlato a Geers?»
«Cosa farebbe, Geers?» chiese Fleming. «Gli spiacerebbe soltanto che non si tratti di me. Mi avrebbe fatto buttare fuori dalla base e fuori dal paese, se avesse potuto. Sono secoli che dico che quell’apparecchio è pericoloso, ma tutti ne sono entusiasti; quante prove devo portare ancora, prima di convincere qualcuno?»
«Non devi più provare nulla, per quel che riguarda me,» disse Reinhart, faticosamente.
«Bene, questo è già qualcosa.»
«O me,» aggiunse Judy.
«Oh, bello, bello. Questo significa che siamo in tre contro l’intera organizzazione.»
«Cosa credevi che avrei potuto fare?» chiese Reinhart.
«Non so. Lei si è occupato di metà della ricerca scientifica di questo paese per una generazione. Sì, una buona metà. Certo qualcuno le darebbe retta.»
«Osborne, forse?»
«Fino a che non si sporca le mani.» Fleming meditò un attimo. «Potrebbe farmi tornare al calcolatore?»
«Usa la testa, John, deve risponderne all’autorità costituita.»
«Potrebbe farlo venire qui?»
«Posso provare. Cos’hai in mente?»
«Glielo posso spiegare più tardi,» rispose Fleming. Reinhart trasse di tasca un orario aereo-ferroviario.
«Se vado a Londra domattina…»
«Non ci può andare stanotte?»
«Sir Ernest è stanco,» intervenne Judy.
Reinhart le sorrise. «Può tenere quel Sir Ernest per le grandi occasioni. Prenderò un volo notturno.»
«Perché non si può aspettare qualche ora?» chiese Judy.
«Non sono un giovanotto, Miss Adamson, ma non sono un moribondo.» Si alzò. «Salutatemi Madeleine da parte mia, se…»
«Certo,» assicurò Fleming prendendo il soprabito del professore e aiutandolo a infilarselo. Reinhart si diresse alla porta, abbottonandoselo. Poi si rammentò di qualcosa. «A proposito, il messaggio è cessato.»
Lo sguardo di Judy passò da lui a Fleming. «Il messaggio?»
«Il messaggio di lassù.» Reinhart indicò il cielo con un dito. «Ha smesso di ripetersi, parecchie settimane fa. Può darsi che non lo captiamo mai più.»
«Può darsi che abbiamo raccolto la parte conclusiva di una lunga trasmissione,» disse Fleming calmo, soppesando tutte le implicazioni di questo fatto. «Se non fosse stato per quel puro caso di Bouldershaw, forse non l’avremmo sentito mai, e nulla di tutto ciò sarebbe accaduto.»
«Già, ci ho pensato anch’io,» annuì Reinhart; rivolse loro un altro stanco sorriso e se ne andò.
Fleming si aggirava silenzioso per la stanza, pensando a quanto era stato detto. Judy attendeva. Sentirono l’auto di Reinhart partire, allontanarsi, e a questo rumore Fleming si mise accanto a Judy, le passò un braccio attorno alle spalle.
«Farò tutto quel che vuoi,» mormorò lei. «Possono farmi comparire davanti alla corte marziale, se ne hanno voglia.»
«D’accordo.» Fleming tolse il braccio.
«Puoi fidarti di me, John.»
Lui la guardò dritto in viso e Judy cercò con gli occhi di costringerlo a crederle.
«Sì, bene.» Sembrava quasi convinto. «Ti dirò cosa devi fare. Per prima cosa, domattina, telefona a Londra, in privato. Cerca di metterti in contatto con Osborne quando il professore è con lui, e digli che deve portare un terzo visitatore.»
«Chi?»
«Non importa chi. Il sindaco di Londra, il presidente dell’Accademia Reale, qualche pezzo grosso del Ministero. Non ha bisogno di portarmi il tizio in carne e ossa, mi bastano i vestiti.»
«Solo l’involucro di un pezzo grosso?»
Fleming sogghignò. «Un cappello, una borsa e un ombrello saranno sufficienti. Oh, e anche un soprabito. Nel frattempo tu procurerai per lui un altro lasciapassare. D’accordo?»
«Proverò.»
«Brava.» Le mise di nuovo un braccio attorno alle spalle e la baciò. Lei rispose al bacio, poi si piegò all’indietro e gli chiese: «Che cosa intendi fare?»
«Non so ancora.» La baciò di nuovo poi si allontanò da lei. «Vado a nanna, è stata una giornata infernale. Faresti bene ad andartene, ho bisogno di dormire un poco.»
Abbozzò ancora un sorriso; lei gli strinse forte la mano e uscì con passo leggero, il cuore che le batteva forte.
Fleming si spogliò sognante, costruendo progetti e fantasticherie. Si lasciò cadere sul letto e un attimo dopo, spenta la luce, si addormentò.
Dopo la partenza di Reinhart e di Judy, la base era silenziosa. Era una notte molto buia: dei nuvoloni si stavano addensando da nord-est, portando con sé una corrente d’aria fredda, gravidi di neve, e nascondevano la luna piena. Ma a un certo punto la luna risplendette per pochi istanti attraverso le nuvole, e alla sua luce una figura pallida e sottile si lasciò scivolare fuori da una finestra sul retro dell’edificio del calcolatore, e cominciò a muoversi spettrale, per la base. Nessuna delle sentinelle la vide, per non parlare di riconoscerla per André, che, il viso sconvolto, si fece strada furtivamente tra le baracche fino all’alloggio di Fleming, tenendo in mano un rotolo di filo doppio.
Un po’ di luce pioveva dalla finestra della stanza di Fleming, perché lui aveva scostato un poco la tenda prima di andare a letto. Fleming non si mosse, quando, molto silenziosamente, la porta si aprì e André mise piede nella stanza. La ragazza era a piedi nudi e camminava con circospezione: le mani erano protette da un paio di guanti di spessa gomma. Dopo essersi assicurata che Fleming dormisse, si inginocchiò vicino al suo letto, accanto al muro, e inserì i due fili di un capo del suo rotolo a una presa nello zoccolo, li fissò stretti e inserì la corrente. Tenne lontano da sé l’altro capo del rotolo, afferrando separatamente i due fili tra il pollice e l’indice, qualche centimetro sotto la parte isolante, e tenendo i capi nudi protesi in avanti, si alzò e si diresse lentamente verso Fleming. C’erano ben poche possibilità che sopravvivesse a una scarica alta; era addormentato e André era sicura che sarebbe riuscita a mantenere il contatto su di lui per un tempo abbastanza lungo da fermare il suo cuore.
Non fece alcun rumore nel muovere i capi del filo verso gli occhi di lui. Non c’era quindi alcun motivo per cui dovesse svegliarsi: ma d’improvviso, per qualche ragione misteriosa, aprì gli occhi. Vide solo una figura che si levava sopra di lui, e più per istinto che per ragionamento, piegò le ginocchia sotto le coperte e tirò un calcio attraverso il lenzuolo e il copriletto con tutta la sua forza.
La colpì allo stomaco, e lei cadde riversa in mezzo alla stanza, con una specie di rantolo doloroso. Fleming cercò l’interruttore e accese la luce. Per un attimo ne fu abbagliato: si rizzò a sedere, confuso e ansimante, mentre la ragazza si tirava su in ginocchio, si dibatteva, continuando a stringere i capi del filo: poi, non appena comprese quel che stava accadendo, balzò fuori dal letto, strappò dalla presa i capi del filo e si volse a lei. Ma ormai André era in piedi e quasi fuori dalla stanza. «No.» Si gettò verso la porta. Lei si fece di lato tenendo le mani dietro la schiena e indietreggiò fino al tavolo sul quale lui aveva cenato. Per un attimo parve che stesse per arrendersi: poi, senza preavviso, la sua destra scattò in avanti; stringeva un coltello.