«Ho giurato sul mio onore per ottenerlo,» disse Osborne con aria infelice. «È solo per un esame del calcolatore. Nessuna azione diretta.»
Fleming smise di sorridere. «Vuole legarmi le mani?»
«Ma si rende conto del rischio che corro?» disse Osborne.
«Rischio! Avrebbe dovuto essere nella mia capanna ieri sera.»
«Mi sarebbe piaciuto esserci, così avrei le idee più chiare. Questa nazione, giovanotto, dipende da quella macchina…»
«Che ho costruito io.»
«Ha più significato per noi, potenzialmente, della macchina a vapore o dell’energia atomica o di qualsiasi altra cosa.»
«Allora è ancora più importante…» cominciò Fleming.
«Lo so! Non faccia la predica, proprio a me. Crede che sarei qui se non pensassi che è importante, e se non avessi la massima stima della sua opinione? Ma ci sono mezzi e mezzi.»
«Conosce un mezzo migliore?»
«Di controllarlo, no. Ma non deve esserci nulla più di un controllo. Un uomo nella mia posizione…»
«Qual è la sua posizione? Il più nobile fra tutti i Romani?»
Osborne sospirò. «Lei ha il suo lasciapassare.»
«Hai quello che hai chiesto, John,» osservò Reinhart.
Fleming raccolse la valigia e la mise sul tavolo. L’aprì: ne tirò fuori un cappotto scuro di lana morbida, un cappello floscio nero e una cartella, e si vestì, pronto a recitare la sua parte. Gli indumenti si intonavano a quella notte buia, ma non andavano molto d’accordo con il suo viso.
«Sembri uno spaventapasseri più che un funzionario,» osservò sorridendo Reinhart.
Judy cercava di non ridere. «Se sei con me non ti esamineranno troppo da vicino.»
«Ti rendi conto che finirai davanti al plotone di esecuzione, per questo?» domandò Fleming affettuosamente.
«Solo se veniamo scoperti.»
Osborne non apprezzava gli scherzi. Se negli altri nascondevano la preoccupazione, lui non se ne accorgeva: aveva lui stesso preoccupazioni in numero più che sufficiente.
«Lasciamo perdere.» Sollevò la manica del cappotto per vedere che ora fosse.
«Dobbiamo aspettare fino a che non viene buio e il turno di giorno è finito,» disse Judy.
Fleming si frugò sotto le falde del cappotto e trasse la fiasca. «Che ne direste di un sorso alla fortuna della nostra impresa?»
Quando raggiunsero la base nevicava fitto: non era una nevicata soffice ma un infuriare di fiocchi pungenti, gelati, spinti da un vento che soffiava da nord. Le due sentinelle di guardia all’esterno dell’edificio del calcolatore si erano alzato il bavero del cappotto militare, sebbene si fossero rifugiate sotto il portico dell’ingresso. Diedero un’occhiata di fuori, nel biancore che si tramutava in oscurità, alle quattro figure che si avvicinavano.
Judy andò avanti e presentò i lasciapassare; i tre uomini si tenevano indietro.
«Buona sera. Questa è la comitiva del Ministero.»
«Buona sera.» Una delle sentinelle, con una striscia da appuntato sulla manica del cappotto, salutò militarmente ed esaminò i lasciapassare.
«Benissimo,» concluse restituendoli.
«C’è nessuno dentro?» chiese Judy.
«Solo l’operatore di turno.»
«Ci tratterremo solo pochi minuti,» disse Reinhart facendosi innanzi.
Le sentinelle aprirono la porta e si schierarono da parte mentre Judy entrava, seguita da Osborne e da Reinhart con Fleming tra loro.
«E la ragazza?» chiese Reinhart quando ebbero percorso un lungo tratto di corridoio.
«Non è di turno stanotte,» rispose Judy. «Ce ne siamo occupati noi.»
Era un lungo corridoio, che formava due angoli retti, e le porte che davano nella sala del calcolatore erano all’estremità, in modo che dalla porta principale non si sentiva e vedeva nulla. Judy aprì una delle porte e li fece entrare: la sala di controllo era piena di luce, ma vuota; c’era solo un giovane che sedeva al banco e leggeva. Al loro ingresso si alzò.
«Salve,» disse a Judy. «Tutto bene?»
Era il giovanissimo assistente. Sembrava che la situazione lo divertisse.
«Ecco i vostri lasciapassare.» Judy li restituì a Osborne e a Reinhart e diede all’operatore quello di Fleming. Fleming si levò il cappello ficcandolo in testa al giovanotto. «Ecco cosa portano gli alti papaveri.»
«Non è necessario che faccia tutta questa scena,» disse Osborne a disagio, tenendo d’occhio la porta, mentre l’operatore indossava il soprabito e prendeva la borsa di Fleming. Perfino con il bavero rialzato era evidentemente diverso dalla persona che era entrata prima, ma, come disse Judy, non era una notte in cui ci si vedesse gran che, e con lei a rassicurarle, le sentinelle si sarebbero limitate a contarli.
Non appena il ragazzo fu pronto, Osborne aprì la porta. «Dipende da lei che tutto vada bene,» disse a Fleming. «Ha un test di controllo?»
Fleming trasse di tasca un blocco ben noto e aspettò che se ne andassero.
«Ritornerò,» disse Judy, «non appena li avrò accompagnati oltre il posto di guardia.»
Fleming parve sorpreso. «Non tornerai, lo sai bene.»
«Mi spiace,» intervenne Osborne, «è una delle condizioni.»
«Non voglio nessuno…»
«Non fare lo sciocco, John,» ribatté Reinhart, e lo lasciarono.
Fleming si diresse all’unità di controllo e la guardò torvo, quasi ridacchiando tra sé per pura tensione nervosa: poi si mise al lavoro all’unità di entrata, battendovi le cifre che erano sul blocco che aveva portato con sé. Aveva quasi finito quando Judy rientrò.
«Cosa fai?» chiese. Anche lei era nervosa, anche se sollevata per avere portato oltre il posto di controllo l’assistente.
«Sto cercando di sistemarlo.» Batté l’ultimo gruppo di cifre. «Lo stesso vecchio trucco della formula andrà bene, per cominciare.»
Ci volle qualche minuto prima che il calcolatore reagisse, poi le lampade di controllo cominciarono a lampeggiare violentemente. Rimasero in ascolto, aspettando il rumore della stampatrice, ma udirono invece dei passi che si avvicinavano lungo il corridoio. Judy rimase immobile, radicata a terra, paralizzata, fino a che Fleming l’afferrò per un braccio trascinandola nell’oscurità del laboratorio da dove potevano vedere senza essere visti attraverso lo spiraglio della porta. I passi dietro l’entrata della sala di controllo si fermarono. Videro girare la maniglia della doppia porta, poi questa si aprì e dal corridoio entrò André.
Judy diede un piccolo grido che venne soffocato dal ronzio del calcolatore, e la stretta di Fleming sul suo braccio si fece ancora più forte, a metterla in guardia. Da dove si trovavano, potevano vedere André chiudere la porta e camminare lentamente verso i dispositivi di controllo. Sembrava che il lampeggiare e il ronzare della macchina la stupissero e a pochi passi di distanza dal quadro di controllo si fermò, assolutamente immobile. Indossava una vecchia giacca a vento con il cappuccio abbassato e sotto la dura luce delle lampade sembrava particolarmente bella e decisa; ma il suo volto era teso e dopo qualche minuto i muscoli attorno alle labbra e alle tempie cominciarono a contrarsi, sotto la crescente agitazione dei suoi nervi. Avanzò, lenta e riluttante, verso il quadro, poi si fermò di nuovo, come se potesse preavvertire una reazione violenta che ne sarebbe venuta. Come se ne conoscesse i segni premonitori e ciò nonostante fosse magnetizzata dalla macchina.
Il viso ora le luccicava di sudore. Fece un altro passo avanti e lentamente alzò le mani verso i terminali. Judy, nonostante tutto il suo odio, sentì dolorosamente l’impulso a correre verso di lei, ma Fleming la trattenne. Davanti ai loro occhi la ragazza si sollevò lentamente, piena di paura, a toccare le piastre di contatto.
Il primo grido di lei e quello di Judy furono simultanei. Fleming posò una mano sulla bocca di Judy ma il grido di André continuava, continuava, diventando un gemito quando la freccia del voltmetro si abbassava e tornando a risuonare fortissimo quando era sul massimo.