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«Per l’amor di Dio!» balbettò Judy nella mano di Fleming. Lottò per liberarsi, ma egli la tenne stretta sino a che le grida di André cessarono e la macchina, sentendo forse che la ragazza non rispondeva più, lasciò andare la presa e André scivolò a terra. Judy con fatica riuscì a liberarsi e corse verso di lei, ma questa volta non sentì alcun gemito; non respirava, non dava segni di vita. Le esaminò gli occhi, ma erano vitrei, e la bocca era socchiusa, immobile.

«Temo che sia morta,» riuscì solo a dire Judy, sentendosi impotente.

«Cosa credevi?» Fleming era alle sue spalle. «Hai visto il voltmetro. È tutto successo perché non era riuscita a liberarsi di me… Perché io stavo eliminandola. Povera piccola.»

Abbassò lo sguardo sul corpo rattrappito, nella giacca a vento grigia, macchiata, e gli occhi gli si indurirono. «Farà meglio la prossima volta. Produrrà qualcosa contro cui non riusciremo mai a spuntarla.»

«A meno che tu non trovi cos’è che non funziona.» Si girò, sollevò il blocco di Fleming dall’unità di entrata e glielo diede.

Fleming glielo strappò di mano e lo scaraventò attraverso la stanza.

«È troppo tardi ormai! Non c’è niente in questa macchina che non funzioni.» Indicò la figura raggomitolata di Andromeda. «Ecco la sola risposta di cui ho bisogno. Domani la macchina chiederà un altro esperimento, e dopodomani… ancora.»

Si diresse con decisione ai terminali d’allarme vicino alle doppie porte, afferrò il collegamento con entrambe le mani e tirò. Cedettero ma non si spezzarono; allora Fleming mise un piede contro il muro per fare forza.

«Cosa fai?»

«Voglio farla finita con questa macchina. E questo è il momento. Forse il solo momento.» Tirò di nuovo i fili e poi ci rinunciò e si precipitò verso l’ascia antincendio che pendeva accanto a loro, al muro. Judy gli si gettò contro.

«No!» Gli si attaccò al braccio ma lui con un movimento laterale la spinse via e con il movimento di ritorno abbatté la scure contro i fili recidendoli: poi si girò ed esaminò con uno sguardo la stanza. Il quadro di controllo lampeggiava ancora a grande velocità: Fleming gli si avvicinò e lo frantumò con l’ascia.

«Sei impazzito?» Judy gli corse dietro una seconda volta e, afferrata l’ascia per il manico, cercò di strappargliela. Lui la fece ruotare e liberò l’arma dalla mano di lei.

«Lascia andare. Ti ho detto di non impicciarti.»

Lo guardò: lo riconosceva a fatica; aveva il viso coperto di sudore, come la ragazza, e pieno di rabbia e decisione. In quel momento Judy capì che questo Fleming aveva avuto in mente fin dal principio.

«Ecco cosa volevi fare.»

«Se fosse stato necessario.»

Si fermò, con l’ascia in mano, guardando meditabondo attorno e Judy capi che doveva arrivare alla porta prima di lui; ma fu lui a vincere e poggiò il dorso alla porta, con la stessa espressione ferma e il cupo accenno di un sogghigno agli angoli della bocca. Judy pensò che fosse davvero impazzito, ora. Sollevò una mano a toccare l’ascia, e gli parlò come a un bambino.

«Per piacere, John, dammela.» A sentirlo ridere sussultò. «Hai promesso.»

«Non ho promesso niente.» Stringeva con forza il manico e con l’altra mano chiuse a chiave la porta alle proprie spalle.

«Griderò,» disse lei.

«Provaci.» Si fece scivolare la chiave in tasca. «Non ti sentiranno mai.»

La spinse da parte, camminò a gran passi verso l’ala della memoria, aprì il fianco dell’unità più vicina e la colpì; quando la cavità sottovuoto venne invasa dall’aria si sentì una cupa esplosione.

«John!» Lui già si dirigeva all’unità successiva; cercò di fermarlo.

«So quel che faccio,» rispose, aprendo la parte laterale e colpendola con l’ascia. Un’altra piccola esplosione di qualcosa che andava in frantumi provenne dall’apparecchio. «Pensi che capiterà mai un’altra occasione del genere? Vuoi andare a fare la spia? Se pensi che io mi comporti in modo errato, vai.»

La guardò fisso, calmo e sensato, e si infilò una mano in tasca alla ricerca della chiave. «Vai a prendere la squadra dei tuoi scagnozzi, se vuoi; è sempre stata la tua occupazione preferita, o ti ha forse colpito il sospetto che io stia agendo per il meglio? È questo che vuole Osborne, no? ‘Il meglio.’»

Le tese la chiave, ma per qualche ragione impossibile a esprimersi, Judy non poté prenderla. Fleming attese a lungo, poi rimise in tasca la chiave, si volse e ricominciò con le altre unità.

«Le sentinelle sentiranno.» Il sapere che lui, dopotutto, non era pazzo, la faceva sentire legata a lui. Rimase accanto alla porta a fare la guardia mentre lui eseguiva il suo lavoro su tutto l’apparecchio, tagliando, facendo a pezzi e riducendo l’intricato complesso tecnico e i milioni di cellule elettroniche a frammenti contorti, divelti, sul pavimento, sulle intelaiature metalliche e dietro le facciate spezzate degli scomparti. Judy non riusciva quasi a sopportare quella vista, ma tra gli schianti e i tonfi, ascoltava tutti i suoni che venivano dal corridoio.

Ma nulla giunse a interromperli. La tempesta di neve che in quel cuore sepolto dell’edificio non si poteva vedere né udire, rumoreggiava cancellando il frastuono che facevano loro. In principio Fleming lavorava metodicamente, ma era un lavoro enorme, e cominciò ad andare più alla svelta man mano che si sentiva più stanco, fino a piegarsi disperatamente su se stesso, richiedendo ai propri polmoni il massimo, quasi cieco per il sudore che gli colava dalla fronte. Fece il suo lavoro tutt’intorno fino a tornare al centro dell’unità di controllo, e allora mandò in pezzi anche questa.

«Prendi questo, bastardo,» quasi gli gridò. «E questo, e questo.»

Pose l’ascia a terra appoggiandosi all’estremità del manico per riprendere fiato.

«Che accadrà ora?» chiese Judy.

«Cercheranno di ricostruirlo, ma non sapranno come fare.»

«Hanno il messaggio.»

«È finito.»

«Avranno l’originale.»

«Non l’avranno. Non avranno quello né il codice interrotto né alcuna sua parte, perché è qui dentro.» Indicò una solida porta di metallo nella parete dietro al banco di controllo. Poi sollevò di nuovo l’ascia e mirò ai cardini. Colpo dopo colpo cercò di spezzarli, ma non ottenne alcun risultato. Judy gli stava accanto, stordita e tesa, mentre il rimbombo del metallo sul metallo sembrava urlare per tutto l’edificio, ma nessuno sentì. Dopo parecchio tempo Fleming dovette rinunciare e si piegò di nuovo, ansimante, sull’ascia. La stanza era immersa in un profondo silenzio e adesso che il calcolatore si era fermato, la sua immobilità si accordava al corpo senza vita della ragazza, abbandonato in mezzo alla stanza.

«Dovremo trovare una chiave,» disse Fleming. «Dove ce n’è una?»

«Nell’ufficio del maggiore Quadring.»

«Ma è…»

Judy confermò i timori di lui. «È sempre sorvegliata,» disse.

«Ce ne deve essere un’altra.»

«No. È la sola.»

Cercò di pensare a qualche altra possibilità, ma non ce n’erano. Nessuno, almeno a quanto ne sapeva lei, nemmeno Geers ne aveva. Fleming in principio non le credeva, ma quando si convinse per un momento fu pazzo di rabbia. Sollevò l’ascia e l’abbatté con furia contro la porta e ancora, ancora, fino a reggersi a stento sulle gambe; quando alla fine rinunciò e si abbatté sulla sedia di quello che era stato il banco di controllo, vi rimase seduto a lungo, pensando, rimuginando e cercando di trovare un piano.

«Perché diavolo non me lo hai detto?» le disse infine.

«Non me l’hai chiesto.» Judy tremava per la violenza di lui e per lo sfacelo attorno a loro: si controllava a fatica. «Non me lo hai mai chiesto. Perché non me lo hai mai chiesto?»