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«Mi avresti fermato, se lo avessi fatto.»

Judy cercava di parlare con coerenza e si sforzò di non tremare. «Riusciremo a prenderla, in qualche modo. Troverò un sistema, domattina, per prima cosa.»

«Sarà troppo tardi.» Scosse il capo e abbassando lo sguardo fissò il corpo steso sul pavimento. «’Nulla di quanto puoi pensare manca di una risposta.’ Non possiamo vincere.»

«L’otterremo per mezzo di Osborne, o qualcosa di simile,» disse Judy. «Ma ora dobbiamo uscire di qui.»

Judy trovò il cappotto e la sciarpa del giovane operatore, l’aiutò a infilarli, e lo condusse fuori dall’edificio.

12

Annientamento

Era molto tardi quando tornarono al caffè. La neve soffiava tempestosa e si accumulava contro la parete settentrionale. Nella piccola sala sul retro Reinhart e Osborne, infagottati nei loro soprabiti, giocavano tristi e distratti una partita su una scacchiera portatile.

Fleming si sentiva troppo intontito per prendere le proprie difese. Lasciò che fosse Judy a spiegare e sedette, le spalle curve, su una delle dure sedie rustiche, mentre Reinhart faceva le sue domande e Osborne gli indirizzava, nitrendo, una lunga tirata di sconforto e disprezzo estremi.

«Come ha osato immischiarsi in questa storia?» Le ultime tracce della sua solita cortesia scomparvero a dispetto di tutta l’esperienza e l’educazione della sua carriera al Corpo Diplomatico. Era agitato in modo insopportabile. «Ho accettato di prendere parte a questa faccenda solo nella speranza che potessimo dare al ministro gli elementi. Ma sarà la fine della sua carriera, e della mia.»

«E della mia,» sospirò Reinhart. «Sebbene io pensi che l’avrei sacrificata volentieri se la macchina fosse radicalmente distrutta.»

«Ma non lo è,» obiettò Osborne. «Non è nemmeno riuscito a fare quello. Se il messaggio originale è intatto, possono ricostruirla.»

«È colpa mia,» ammise Fleming. «Potete darmi pure tutta la colpa. Me ne accollerò io la responsabilità.»

Osborne ebbe un nitrito sprezzante. «Questo non ci terrà fuori di prigione.»

«È questo che la preoccupa? E che ne dice del fatto che ricostruiranno la macchina e faranno un’altra creatura e che non saremo mai capaci di liberarci da questa morsa?»

«Non possiamo fare nulla?» chiese Judy.

Guardarono tutti Reinhart, con pochissime speranze. Questi esaminò la situazione passo a passo come se controllassero un calcolo, e alla fine rimase con un pugno di mosche. Non avevano speranza di trovare la chiave fino al mattino, e prima di allora Geers sarebbe venuto a conoscenza di quanto era successo, e l’intera faccenda si sarebbe messa di nuovo in moto. Nella loro mente ora non c’era più alcun dubbio sul fatto che Fleming aveva ragione; ma quel che adesso li preoccupava era che questi, alla prova dei fatti, li aveva messi nei guai.

«L’unica,» riprese Reinhart, «è che Osborne torni a Londra con il primo treno e che, quando scoppierà la bomba, faccia l’indiano.»

«E dove sarei stato, stasera?» volle sapere Osborne.

«È venuto qui, ha fatto una breve ispezione ed è ripartito. È tutto accaduto dopo che lei se n’è andato. E questa è la pura verità. Lei non può saperne niente.»

«E il funzionario che avrei portato con me?»

«Se n’è andato con lei.»

«E chi era?»

«Una persona di cui si possa fidare. Intimidisca o corrompa qualcuno: basta che dica di essere venuto su da Londra e di esservi tornato assieme a lei. Deve togliersi d’impaccio e mantenere la sua influenza. Dobbiamo tutti dichiararci innocenti, se possibile. Lo ricostruiranno, come dice John, e ci deve essere almeno uno di noi di cui vengono ancora presi in considerazione i pareri.»

«E chi avrebbe fatto a pezzi il calcolatore?» chiese Fleming.

Il professore ebbe un piccolo sorriso soddisfatto. «La ragazza. Si può dare ad intendere che era impazzita e gli si è rivoltata contro, e che è stata colpita da una scarica elettrica mentre lo distruggeva, oppure che è morta per lo shock ritardato della sua punizione aggravato dal parossismo della pazzia che l’aveva presa: o qualsiasi altra cosa decidano, a piacer loro. Comunque è morta, e non può negarlo.»

«Siete sicuri che sia morta?» chiese Osborne a Fleming.

«Vuole esaminare il cadavere?»

«Lo chieda a me,» mormorò Judy con un’amara sensazione di nausea. «Tocca a me vederli morire tutti.»

«Bene.» Fleming si alzò e si rivolse a Reinhart. «E cosa avremmo fatto Judy e io?»

Il professore gli rispose tranquillo: «Voi non c’eravate. Per quello che si sa, abbiamo lasciato nella sala del calcolatore l’operatore con Miss Adamson. Se ne sono andati insieme ed è accaduto dopo.»

«Non reggerà,» disse Osborne. «Ci sarà un’inchiesta dell’accidente.»

«È la cosa migliore che possiamo fare.» Reinhart ebbe un piccolo brivido. «Da qualsiasi parte consideriate la cosa è un bel pasticcio.»

Sedevano attorno al tavolo, avvolti nei soprabiti, come a una seduta spiritica, aspettando che la notte trascorresse e la neve cessasse di cadere.

«Pensate che questa neve fermerà i treni?» chiese Osborne dopo un poco.

Reinhart piegò la testa da un lato ascoltando il rumore di fuori. «Non credo. Sembra che vada un po’ calmandosi.» Rivolse la sua attenzione a Fleming. «E tu che fai, John?»

«Judy e io torneremo in auto alla base. La strada era decente quando siamo venuti qui, poco fa.»

«Allora farai bene a partire subito,» disse Reinhart. «Fate finta di essere stati a fare una gita in macchina e andate dritti nelle vostre stanze. Non avete visto nulla e nessuno.»

«Bella serata per una gita in macchina!» Fleming si interruppe, preoccupato, il suo sguardo passò dall’uno all’altro di loro. «Mi spiace. Mi spiace veramente.»

Tornando guidò a naso sotto la neve sferzante. Judy puliva ogni minuto il parabrezza, ma la tempesta stava già diminuendo. Lasciò Judy al suo alloggio e si diresse al proprio. Era così stanco che non ce la faceva a uscire dalla macchina. Era circa l’una di notte e la base era addormentata e calma sotto il manto di neve. Quando aprì la porta, l’interno del suo alloggio gli parve più buio che mai, in contrasto con il terreno bianco di neve, di fuori. Camminò a tentoni, lungo il muro, cercando l’interruttore della luce, e quando lo toccò un’altra mano, una mano bendata, si posò sulla sua.

Per un attimo fu preso da un panico folle, poi respinse la mano e accese la luce.

Era André, che teneva le mani bendate, l’una nell’altra, e gemeva: sembrava terribilmente pallida e sconvolta, ma non era morta. Per un attimo la fissò incredulo, poi chiuse la porta e si diresse alla finestra per tirare le tende.

«Siedi e dammi le mani.» Prese da un armadietto delle bende e un tubetto di linimento, e cominciò gentile e metodico a sostituire la rozza fasciatura di lei.

«Non pensavo che ci fosse qualche possibilità che fossi viva,» le disse, mentre la medicava. «Ho visto il voltmetro.»

«L’hai visto?» sedette sul letto porgendogli le mani.

«Sì, l’ho visto.»

«Allora sei stato tu.»

Le guardò il viso, pallido, sconvolto. «Se avessi pensato che eri ancora viva…»

«Avresti fatto fuori anche me.» Lo disse senza astio, una semplice dichiarazione di fatto. Poi, in una fitta di dolore, chiuse per un attimo gli occhi. «Ho un cuore più forte della… della gente normale. Ce ne vuole per mettermi fuori combattimento.»

«Chi ti ha medicato le mani?»

«Io.»

«A chi lo hai detto?»

«A nessuno.»

«Nessuno sa del calcolatore?»

«Non credo.»

«Perché non sei andata a dirglielo?» Era sempre più sbalordito. «Perché sei venuta qui da me?»

«Non sapevo cosa sarebbe accaduto, cosa era accaduto. Quando rinvenni, in un primo momento non potei pensare a nulla salvo che alle mani, che mi facevano un male terribile. Poi mi guardai attorno e vidi che era tutto distrutto.»