«Avresti potuto chiamare le sentinelle.»
«Non sapevo che fare: non avevo più direttive. Mi sentivo perduta senza il calcolatore. Sai che è completamente inservibile?»
«Lo so.»
Gli occhi ardevano nel pallido viso. «Riuscivo a pensare solo che dovevo trovarti. E alle mie mani. Le ho bendate e sono venuta qui. Non ho detto nulla alle sentinelle. E siccome non eri qui, ho aspettato. Cosa accadrà, ora?»
«Lo ricostruiranno.»
«No!»
«Non lo vuoi?» le chiese, sbalordito. «E cosa è accaduto del tuo ‘fine superiore’? Della tua forma di vita più alta?»
André non rispose. Quando Fleming ebbe finito di legare le bende lei chiuse gli occhi, contro le fitte, e John vide che tremava.
«Sei gelata, vero?» mormorò, toccandole la fronte. Prese la trapunta dal letto e gliel’avvolse attorno alle spalle. «Tienila su.»
«Pensi che lo ricostruiranno?»
«Certamente.» Trovò una bottiglia di whisky e riempì due bicchieri. «Adesso butta giù questo. Non avranno me ad aiutarli, ma avranno te.»
«Mi costringeranno a farlo?» Sorseggiò il whisky e lo guardò con occhi ansiosi, brucianti.
«Sarà necessario che ti costringano?»
André quasi rise. «Quando ho visto il calcolatore tutto a pezzi, sono stata così felice!»
«Felice?» chiese John smettendo di bere.
«Mi sono sentita libera. Mi sono sentita…»
«Come la greca Andromeda quando Perseo ne spezzò le catene?»
Non ne era molto sicura, André. Gli restituì il bicchiere. «Quando il calcolatore funzionava, lo odiavo.»
«Odiavi noi.»
Scosse il capo. «Detestavo quella macchina e tutto quel che la riguardava.»
«E allora perché…?»
«Perché la gente si comporta come fa? Perché ci si sente costretti. Perché si è legati da quelle che pensiamo siano le necessità logiche al nostro lavoro, alla nostra famiglia o alla nostra patria. Tu pensi che questi legami siano emotivi? Il legame più saldo è la logica che non si può contraddire. Lo so.» La sua voce tremò facendosi più incerta. «Facevo quel che dovevo fare, e ora la logica è sparita e io non so come agire… Non lo so.»
Fleming le si sedette accanto. «Avresti potuto dirlo prima.»
«L’ho detto ora.» Lo guardò dritto negli occhi. «Sono venuta da te.»
«È troppo tardi.» Fleming abbassò lo sguardo sulla garza e le bende della mano di lei, pensando ai segni che ancora André portava della volontà della macchina. «Nulla al mondo potrà impedir loro di ricostruirla.»
«Ma non possono, senza il codice del progetto.»
«Che esiste ancora.»
«Non l’hai…» Anche se Fleming avesse dubitato delle sue affermazioni fino ad allora, non si poteva mettere ora in dubbio l’angoscia della voce e degli occhi di André.
«Non ho potuto aprire la cassaforte, e l’unica chiave l’ha Quadring.»
André frugò nella tasca della sua giacca a vento. «Io ne ho una.»
«Mi avevano detto che nessuno ne aveva un’altra.»
Lei tirò fuori la chiave, sussultando al contatto delle bende con il tessuto. «Nessuno ne ha un’altra, salvo me, e questo nessuno lo sapeva.» Gliela porse. «Va’ a terminare l’opera.»
Era così facile e così impossibile: ecco la cosa di cui aveva più bisogno e ormai non poteva più tornare al calcolatore per usarla.
«Devi andare tu,» disse. Lei si strinse maggiormente nella trapunta, ma Fleming gliela scostò e la prese per le spalle. «Se lo odii veramente, se vuoi davvero essere libera, non devi fare altro che entrare, aprire la cassaforte murale, e prendere il messaggio originale, che è su nastro, e i miei calcoli, che sono su dei fogli, e il programma, che è su schede perforate. Fa’ un falò di tutte le carte e, quando ha preso fuoco, puoi buttarci su tutti i rotoli magnetici, così non se ne parla più. Poi te ne esci alla svelta.»
«Non posso.»
La scosse, e André si lamentò un poco per il dolore. «Devi assolutamente.»
Era agitatissimo, e non si fermava a riflettere alle conseguenze per lei e per se stesso, o al destino di tutti loro, ora che André era viva; ma pensava soprattutto al fatto essenziale, immediato.
«Puoi passare oltre le sentinelle senza che ti facciano domande. Hai bisogno di questi per nascondere la fasciatura.» Prese un paio di grossi guanti da guida dal cassetto e cominciò ad infilarglieli.
«No, per piacere!» Quando i guanti le toccarono la fasciatura tremò, ma lui continuò a infilarli molto piano, con delicatezza.
«Puoi fare un falò sul pavimento. Ti darò dei fiammiferi.»
«Non mandarmici. Non farmi andare là di nuovo.» Gli occhi le bruciavano per la paura, e il viso, nonostante il whisky, era ancora pallido ed estenuato.
«Puoi.» Le ficcò i fiammiferi in tasca, e la spinse gentilmente verso la porta. L’apri, e là, davanti a loro, si stendeva la terra bianca e la notte nera. La neve aveva smesso di cadere e il vento era sparito. Le luci della base risplendevano, gelide, e si poteva appena vedere il profilo degli edifici, scuri contro il terreno, con un’infarinatura di bianco sui tetti. «Puoi farlo,» disse.
André esitò, e lui la prese per un braccio. Dopo un minuto la ragazza usciva nella neve diretta all’edificio del calcolatore. Fleming andò con lei fino a dove poteva. Quando furono quasi in vista delle sentinelle, le diede un colpetto sulla spalla.
«Buona fortuna,» le disse, e tornò riluttante al suo alloggio.
La temperatura si era abbassata e c’era un freddo gelido. Fleming si accorse di avere i brividi, così chiuse la porta e andò alla finestra, e, tirata la tenda, vi si appoggiò per guardare fuori. Fino a quel momento non aveva sentito la fatica delle ultime ore, ma mentre se ne stava lì in attesa, gli piombò addosso una grande onda di stanchezza. Desiderava enormemente sdraiarsi sul letto, dormire, e svegliarsi per scoprire che tutto era finito: cercava di immaginare quel che la ragazza stava facendo, per scoprire le alternative di quello che sarebbe potuto accadere, di quel che sarebbe stato il risultato, ma la sua mente non riusciva ad andare oltre gli avvenimenti della serata e l’immagine della diafana figura di lei che si allontanava sulla neve.
Non riusciva a scaldarsi. Accese la stufetta elettrica, e si versò un altro whisky; avrebbe voluto non averne bevuto tanto in passato, ora avrebbe fatto più effetto; fece vari propositi sul proprio futuro e su quello di Judy, se mai fossero usciti da quella storia. Appoggiandosi con le braccia al davanzale della finestra, attese per quello che gli parve un tempo lunghissimo, fissando l’intatta immobilità della notte.
Verso le tre la neve riprese a cadere, non tempestosa, ora, ma calma e regolare, e le lampade che restavano accese per tutta la notte, qua e là nella base, divennero sempre più confuse dietro i fiocchi di neve che cadevano bianchi. Per un po’ non fu sicuro se era fumo quel che vedeva contro il fanale vicino all’edificio del calcolatore, o se fosse solo la foschia dovuta alla nevicata; poi sentì suonare una campana d’allarme, e udì le grida eccitate delle sentinelle. Alzatosi il bavero del soprabito, aprì la finestra e subito poté sentire e vedere più chiaramente. Era fumo, senza possibilità di errore.
L’istinto lo spingeva a correre fuori, e a vedere di persona quel che era accaduto, a impedire che si domassero le fiamme, ma sapeva che non poteva far altro che contare sulla confusione e sul buio per dare tempo al fuoco e alla ragazza. Con un fumo come quello la sala del calcolatore doveva essere un inferno, in quel momento, e c’erano molte possibilità che nulla ne restasse, forse nemmeno André. D’improvviso si sentì invaso da emozioni contrastanti: certo, aveva voluto che se ne andasse e se ne stesse lontana, eppure l’idea di mandarla a morte non gli era venuta in mente. Una parte di lui voleva che la ragazza vivesse e si sentiva responsabile di lei in misura soffocante. I tre quarti di lei, o quel che era, che lui riusciva a capire, erano una creatura con sentimenti e paure ed emozioni che lui aveva collaborato a creare e che, ora che il cordone tra lei e l’intelletto che la guidava era stato tagliato, era in un limbo e forse lui solo poteva tirarla fuori e salvarla. Certo, se non era già morta.