Sussurrò: «Non Daneel. L’hanno fatto uguale a noi di proposito. Volevano che venisse accettato come essere umano, quindi deve avere sensi come i nostri».
«Come lo sai?»
«Se ne avesse di più correrebbe il rischio di tradirsi. Farebbe troppo, saprebbe troppo eccetera.»
«Forse.»
Di nuovo il silenzio.
Passò un minuto e Baley tentò per la seconda volta. «Jessie, se lasci perdere questa storia fino a che… fino a che… insomma, non è giusto che tu sia arrabbiata.»
«Arrabbiata? Oh, Lije, stupido. Non sono arrabbiata, sono spaventata. A morte.»
Deglutì e gli strinse il collo del pigiama. Per un po’ rimasero stretti insieme, e la sensibilità ferita di Baley si placò, lasciando il posto alla preoccupazione.
«Perché, Jessie? Non c’è nulla di cui preoccuparsi, te lo giuro. È innocuo.»
«Non puoi liberarti di lui, Lije?»
«Sai che non posso. È una faccenda imposta dal Dipartimento, io non c’entro.»
«Che tipo di storia è, quella di cui vi state occupando? Dimmelo, Lije.»
«Jessie, mi meravigli.» Cercò la sua guancia nel buio e la carezzò. Era bagnata. Gliel’asciugò con la manica del pigiama.
«Stammi a sentire, ora» disse teneramente. «Ti stai comportando come una bambina.»
«Di’ a quelli del Dipartimento che assegnino il caso a qualcun altro, di qualunque cosa si tratti. Per favore, Lije.»
La voce di Baley s’indurì un poco. «Jessie, sei la moglie di un poliziotto da parecchi anni e sai che un incarico è un incarico.»
«Ma perché proprio tu?»
«Julius Enderby…»
Jessie s’irrigidì fra le sue braccia. «Avrei dovuto capirlo. Perché non dici a Julius Enderby che il lavoro sporco lo faccia qualcun altro, una volta tanto? Hai sopportato abbastanza, Lije, e questo è veramente…»
«D’accordo, d’accordo» disse lui per calmarla.
Lei si rilassò e cominciò a tremare.
"Non capirà mai" pensò Baley.
Fin dai tempi del fidanzamento Julius Enderby era stato fra loro la pietra della discordia. Enderby aveva frequentato la Scuola di Studi Amministrativi della Città, due classi più avanti di Baley. Quando Baley aveva superato i test attitudinali e la neuranalisi, ritrovandosi in coda per un posto alla polizia, aveva trovato Enderby ancora davanti a lui. Faceva parte della squadra investigativa.
Baley aveva seguito le orme dell’ex-compagno di studi, ma a una distanza sempre più grande. Non era colpa di nessuno: Baley era capace quanto bastava, efficiente quanto bastava, ma gli mancava un quid che l’altro aveva. Enderby si adattava perfettamente alla macchina amministrativa. Era una di quelle persone nate per la gerarchia, e che in un ambiente burocratico si sentono come in una seconda pelle.
Il questore non era un faro, e Baley lo sapeva. Aveva parecchie fisime infantili, come ad esempio le periodiche ma vistose crisi di medievalismo; tuttavia era diplomatico, non offendeva nessuno, prendeva gli ordini con grazia e li dava con la giusta mistura di fermezza e gentilezza. Riusciva ad andare d’accordo perfino con gli Spaziali. Forse era troppo ossequioso nei loro confronti (Baley pensava che lui non ci sarebbe mai riuscito, e che sarebbe esploso dopo poche ore, ma era un’illazione perché non aveva mai dovuto frequentarne), e tuttavia aveva fatto in modo che gli Spaziali si fidassero di lui. Questo lo rendeva estremamente utile alla Città.
In un servizio pubblico dove le capacità diplomatiche e sociali contavano più dell’abilità individuale, dunque, Enderby aveva salito la scala in fretta ed era arrivato al posto di questore quando Baley era ancora un C-5. Baley non provava risentimento per questo, anche se, come ogni essere umano, rimpiangeva che lo scarto fosse così evidente. Enderby non aveva dimenticato la vecchia amicizia che c’era stata fra loro, e con i suoi metodi più o meno tortuosi cercava di farsi perdonare il successo aiutando Baley come poteva.
Avergli assegnato R. Daneel come compagno era un tipico esempio dei suoi sistemi. L’incarico era spinoso e pieno di problemi, ma non c’era dubbio che l’uomo che l’avesse portato a termine sarebbe avanzato di parecchio nella scala. Il questore avrebbe potuto offrire l’opportunità a un altro, e ciò che aveva detto quella mattina (il fatto che era Lije a fargli un favore, accettando) mascherava ma non nascondeva una realtà ben diversa.
Jessie non vedeva mai le cose in questi termini. In occasioni simili che si erano verificate in passato aveva detto: "È tutta colpa del tuo stupido indice di lealtà. Sono stanca di sentire che ti apprezzano solo per il senso del dovere. Pensa a te, una volta ogni tanto. Ho notato che gli alti papaveri non parlano mai del loro indice".
Baley era steso nel letto, rigido, e non riusciva a dormire. Jessie doveva calmarsi, lui doveva pensare. Doveva essere certo dei suoi sospetti. Piccoli frammenti si davano la caccia nel suo cervello e cercavano di mettersi insieme. Poco a poco formarono una specie di schema.
Jessie si mosse e il materasso ondeggiò.
«Lije?» Le labbra gli sfioravano le orecchie.
«Cosa?»
«Perché non ti dimetti?»
«Non essere sciocca.»
«Perché no?» Si era di colpo infervorata. «È l’unico sistema per liberarti di quell’orribile robot. Vai in ufficio e di’ a Enderby che sei stufo.»
Baley rispose freddamente: «Non posso dimettermi nel mezzo di un caso importante. Non posso buttare il lavoro nell’inceneritore tutte le volte che voglio. Uno scherzo del genere comporta il declassamento per giusta causa».
«Ammettiamolo pure. Puoi ricominciare a salire dal basso, Lije, puoi farcela; ci sono una decina di posti in cui potresti prendere servizio.»
«L’amministrazione della Città non assume i declassati per giusta causa. Il lavoro manuale è l’unica cosa che mi verrebbe concesso di fare, e lo stesso dicasi per te. Bentley perderebbe i privilegi che ha ereditato. Per l’amor di Dio, Jessie, tu non sai che significa.»
«L’ho letto, però, e sono pronta» sussurrò lei.
«Sei matta. Veramente matta.» Baley si sentiva tremare. Con l’occhio della mente vedeva la familiare immagine di suo padre disfarsi lentamente in attesa della morte.
Jessie sospirò pesantemente.
Baley cercò di non pensare a lei, e disperato tornò allo schema che stava costruendo.
Poi, a gola stretta, disse: «Jessie, devi spiegarmelo. Come hai scoperto che Daneel è un robot? Che cosa te l’ha fatto capire?».
Lei cominciò: «Be’…», ma s’interruppe. Era la terza volta che cercava di dare una spiegazione e non ci riusciva.
Baley le strinse una mano fra le sue, con violenza. Voleva che parlasse. «Per favore, Jessie. Che cosa ti spaventa?»
Lei rispose: «Ho solo indovinato, Lije. Ho indovinato che era un robot».
«Non c’era niente che potesse fartelo supporre, Jessie. Prima di uscire non la pensavi così, vero?»
«No, ma poi ho riflettuto.»
«Dimmi la verità.»
«Va bene, Lije. Nel Personale le ragazze spettegolavano: sai come sono fatte, parlano di tutto.»
"Le donne!" pensò Baley.
«Comunque la voce si è sparsa» disse Jessie. «In tutta la Città.»
«In tutta la Città?» Baley provò un improvviso e selvaggio senso di trionfo. Un altro pezzo andava a posto!
«Così sembra. Le ragazze parlavano di un robot Spaziale sguinzagliato per New York. Dicevano che era identico a un uomo e che doveva lavorare con la polizia. Mi hanno fatto perfino qualche domanda. Si sono messe a ridere e hanno detto: "Il tuo Lije ne sa qualcosa, Jessie?". Io ho risposto, ridendo: "Non fate le stupide!".