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"Giosafatte!" pensò, in preda allo stupore.

Fece una pausa nella sala comune e sedette sull’angolo di una scrivania, ignorando l’occupante che alzò la testa, mormorò un saluto formale e tornò al suo lavoro.

Baley staccò il diaframma dal fornello della pipa e ci soffiò dentro. Rivoltò la pipa sul piccolo aspiracenere da tavolo e vi lasciò cadere il contenuto grigiastro. Guardò con rimpianto il fornello vuoto, reinserì il diaframma e mise via il tutto. Un’altra razione di tabacco andata via per sempre!

Rifletté su quanto era avvenuto. In un certo senso Enderby l’aveva sorpreso, perché si era aspettato maggiore resistenza alla sua idea di andare a Spacetown. Molte volte il questore aveva parlato della difficoltà di trattare con gli Spaziali e molte volte aveva ripetuto che solo i più abili diplomatici erano adatti a quel lavoro, anche se si trattava di un piccolo problema.

Eppure, in questo caso aveva ceduto facilmente. Baley si era aspettato che Enderby insistesse per accompagnarlo: il lavoro arretrato era una scusa banale, perché il caso a cui stavano lavorando aveva la precedenza assoluta.

Baley, tuttavia, non voleva la compagnia del superiore, ma esattamente ciò che aveva ottenuto. Voleva che il questore fosse presente sotto forma di proiezione tridimensionale, in modo da poter seguire le indagini da un punto sicuro.

Sicurezza: ecco la parola chiave. Baley aveva bisogno di un testimone che non potesse essere eliminato immediatamente. Ne aveva bisogno come garanzia minima della propria incolumità.

E il questore aveva accettato il piano. Baley ricordò di averlo sentito singhiozzare, o qualcosa di simile. Pensò: "Santo cielo, quell’uomo ci è dentro fino al collo".

Una voce spensierata, dalla pronuncia ridicola, risuonò dietro di lui facendolo trasalire.

«Che diavolo vuoi?» domandò furente.

Il sorriso sulla faccia di R. Sammy rimase fisso come quello di un idiota. «Jack dice di farti sapere che R. Daneel è pronto, Lije.»

«Va bene. Adesso circola.»

L’automa gli voltò le spalle e Baley pensò che niente era più irritante di quell’ammasso di ferraglia che gli dava regolarmente del tu. Si era lamentato del fatto appena R. Sammy era arrivato al Dipartimento, ma il questore aveva alzato le spalle: "Non si può avere tutto, Lije. Il pubblico insiste che i robot amministrativi siano costruiti con un forte circuito dell’amicizia. È logico, quindi, che lui si senta tuo amico e ti tratti in modo affettuoso".

Circuito dell’amicizia! Nessun robot, di nessun tipo, poteva danneggiare in alcun modo gli esseri umani. Era la Prima Legge della Robotica: "Un robot non può recare danno a un essere umano o permettere che, per il suo mancato intervento, un essere umano riceva danno".

I cervelli positronici venivano costruiti in modo che questo comandamento fosse così profondamente radicato nei suoi circuiti da rendere impossibile ignorarlo. Non c’era bisogno di circuiti "amichevoli" supplementari.

Eppure il questore aveva ragione. La diffidenza dei terrestri verso gli automi era un fatto irrazionale, quindi i circuiti dell’amicizia vennero costruiti. Come conseguenza, tutti i robot ridevano. Sulla Terra, almeno.

R. Daneel, per esempio, non rideva mai.

Baley sospirò e si mise in piedi. Pensò: "Prossima fermata, Spacetown! Speriamo che non sia l’ultima".

Le forze di polizia e i più alti funzionari avevano ancora il diritto di usare veicoli individuali lungo i corridoi della Città e sulle antiche strade sotterranee escluse ai pedoni. I Liberali chiedevano da sempre che le vie sotterranee venissero trasformate in campi da gioco per bambini, in zone per negozi o in estensioni delle strade celeri e locali.

Ma l’invariabile risposta, "Sicurezza cittadina!", finiva con l’avere la meglio. Nel caso di incendi troppo violenti per essere affrontati con mezzi locali, di gravi danni ai sistemi energetici e di ventilazione, ma soprattutto di disordini e dimostrazioni, le forze della Città dovevano poter raggiungere il punto colpito in fretta. Non esisteva, e non poteva esistere, alcun sostituto delle antiche strade sotterranee fatte per i veicoli a motore.

Molte volte Baley aveva viaggiato su una strada di quel tipo, ma l’indecente abbondanza di spazio l’aveva immancabilmente depresso. Sembrava di essere a mille chilometri dal cuore caldo e brulicante della Città. La strada si stendeva come un verme cieco e cavo davanti ai suoi occhi, aprendosi continuamente in nuove diramazioni. "Baley, al volante dell’auto di pattuglia, seguiva diligentemente le curve della galleria. Dietro di lui lo sapeva anche senza voltarsi, un altro verme cieco e cavo si contorceva e si chiudeva continuamente. La strada era ben illuminata, ma la luce non aveva senso in quel deserto silenzioso.

R. Daneel non faceva il minimo sforzo di riempire quel vuoto o infrangere quel silenzio; guardava dritto davanti a sé, poco impressionato dall’autostrada come dai nastri mobili di superficie.

Un momento dopo, al suono della sirena della polizia, uscirono dal tunnel e curvarono gradualmente in uno dei corridoi per veicoli a motore della Città.

Tali corridoi, che ospitavano vere e proprie superstrade, erano considerati importanti vestigia del passato e tenuti in perfetto ordine. A parte le autopattuglie della polizia, i camion dei pompieri e quelli della manutenzione comunale, non esistevano più autoveicoli, e quindi la gente si serviva delle superstrade con completa fiducia, attraversandole a piedi in lungo e in largo. Davanti alla sirena di Baley e alla velocità sostenuta dell’autopattuglia molti si scostarono scandalizzati.

Baley tirò un sospiro di sollievo quando furono tra la folla e il rumore; ma fu un breve intervallo. Dopo meno di duecento metri imboccarono i corridoi ovattati che conducevano all’ingresso di Spacetown.

Li aspettavano. Le guardie, naturalmente, conoscevano R. Daneel di vista, e sebbene fossero umane gli fecero un cenno di saluto che non conteneva la minima prosopopea.

Una si avvicinò a Baley e salutò con rigida e perfetta cortesia militare. Era un giovanotto alto e serio, anche se non il prototipo dello Spaziale (che invece Daneel incarnava perfettamente).

Disse: «Prego, signore, la sua identificazione».

Il documento venne ispezionato rapidamente ma esaurientemente. Baley notò che la guardia portava guanti color carne e filtri quasi invisibili nelle narici.

Finita l’ispezione, salutò di nuovo e restituì la carta d’identificazione. Poi aggiunse: «C’è un piccolo Personale per uomini a pochi passi. Saremmo lieti se volesse fare una doccia».

Baley stava per dire che era inutile, ma R. Daneel gli tirò gentilmente la manica. La guardia, intanto, era tornata al suo posto.

R. Daneel disse: «È abituale, collega Elijah, che gli abitanti della Città facciano la doccia prima di entrare a Spacetown. Ti dico questo perché so che non hai nessuna intenzione di fare una gaffe per mancanza d’informazioni. Ti consiglio di provvedere qui a tutti i bisogni personali, perché a Spacetown non ci sono comodità di questo tipo».

«Non ci sono comodità!» sbottò Baley. «Ma è impossibile.»

«Volevo dire, naturalmente, che non sono a disposizione degli abitanti della Città.»

Baley era sbalordito, ma la sua faccia tradiva anche una certa ostilità.

R. Daneel aggiunse: «Mi dispiace, collega, ma è una questione di costumi».

Baley entrò nel Personale senza una parola. Sentì, più che vederlo, R. Daneel dietro di lui.

Pensò: "Mi controlla? Si assicura che mi tolga di dosso la polvere della Città?".

Per un feroce momento esultò al pensiero della sorpresa che stava per fare a Spacetown e gli sembrò del tutto trascurabile che equivaleva a puntarsi un disintegratore al petto.

Il Personale era piccolo, ma ben fornito e pulitissimo, addirittura asettico. Nell’aria c’era un odore acuto, su cui Baley s’interrogò brevemente.