R. Sammy, dopotutto, era un parente di R. Daneel, e R. Daneel non era una persona — o piuttosto una cosa — che gli provocasse irritazione. Baley provò a immaginare un pianeta dove uomini e automi costruissero una cultura che partiva da quella delle Città. Era un problema che meritava considerazione.
Quando Baley entrò nell’ufficio del superiore, questi stava esaminando un fascio di documenti e ogni tanto s’interrompeva per prendere appunti.
Alzò la testa e disse: «Hai preso un bel granchio, laggiù a Spacetown».
I ricordi lo assalirono improvvisamente. Il duello verbale con Fastolfe…
La faccia lunga di Baley assunse un’aria lugubre e contrita. «Lo ammetto, questore, mi dispiace.»
Enderby lo fissò e attraverso gli occhiali brillò uno sguardo penetrante. Sembrava di nuovo se stesso, come se l’incubo delle trenta ore precedenti si fosse allentato. «Non ha molta importanza, Lije. Fastolfe non ci ha dato peso, quindi dimenticheremo. Imprevedibili, questi Spaziali. Ma non ti meriti la fortuna che hai avuto: la prossima volta parlerai con me prima di comportarti come un eroe della subeterica.»
Baley fece cenno di sì con il capo. Si sentiva sollevato da un peso enorme, come se, provando un salto mortale, si fosse accorto di averlo sbagliato e scoprisse nonostante tutto di essere illeso. Okay, era sorpreso che tutto si fosse sgonfiato tanto facilmente, ma così era.
«Senta, questore, voglio che faccia assegnare un appartamento per uomini a R. Daneel e a me. Non lo porterò a casa, stasera.»
«Come sarebbe?»
«Si è sparsa la notizia che è un robot, ricorda? Forse non succederà niente, ma se ci sono disordini non voglio che la mia famiglia ci vada di mezzo.»
«Sciocchezze, Lije. Ho fatto controllare e ti assicuro che non si è sparsa nessuna notizia.»
«Jessie ha saputo la verità da qualche parte.»
«E io insisto che non c’è niente di cui preoccuparsi. Ho lavorato al problema da quando è finito il collegamento con Spacetown, anzi, ho lasciato il buon Fastolfe proprio per dedicarmi a questo. Dovevo accertare la situazione, e in fretta, così ho incaricato Doris Gillid di farmi un rapporto. Puoi controllare da te: è stata in una decina di Personali per donne in diverse parti della Città e non ha sentito voci allarmanti. Conosci Doris, è una ragazza in gamba, ma non è emerso niente. Proprio niente.»
«Allora come ha fatto Jessie a sentire la storia?»
«C’è una spiegazione. R. Daneel ha dato spettacolo nel negozio di scarpe… ha tirato veramente fuori un’arma, Lije, o hai esagerato un pochino?»
«L’ha tirata fuori e l’ha anche puntata.»
Il questore scosse la testa. «Va bene, qualcuno l’ha riconosciuto. Come robot, intendo.»
«Un momento» fece Baley, indignato. «Nessuno potrebbe capire che non è umano.»
«Perché?»
«Lei ci riesce? Io no.»
«Ma questo cosa prova? Noi non siamo esperti. Supponi che tra la folla ci fosse un tecnico delle fabbriche di Westchester. Un professionista della robotica, un uomo che ha passato la vita con gli automi. Nota qualcosa di strano in R. Daneel, forse nel modo in cui parla o in cui si comporta. Ci pensa su e magari lo racconta a sua moglie, che a sua volta spettegola con un paio di amiche. Ma tutto finisce lì: è una storia troppo fantastica, la gente non ci crede. Jessie l’ha sentita un attimo prima che si estinguesse.»
«Forse» disse Baley, dubbioso. «Ma la prego di farmi assegnare lo stesso un appartamento per uomini.»
Il questore si strinse nelle spalle e prese l’intercom. Dopo un po’ disse: «Settore Q 27, è tutto quello che posso fare. Non è un buon quartiere».
«Andrà benissimo» fece Baley.
«A proposito, dov’è R. Daneel?»
«Allo schedario. Cerca informazioni sui medievalisti facinorosi.»
«Buon Dio, saranno milioni.»
«Lo so, ma lui è contento.»
Baley era sulla porta quando si voltò d’impulso e disse: «Questore, il dottor Sarton le ha mai parlato del programma di Spaceto.wn? Voglio dire, l’idea di introdurre qui da noi una cultura C/Fe…».
«Una che?»
«I robot. Introdurre i robot sulla Terra.»
«Di quando in quando.» Il questore non sembrava particolarmente interessato all’argomento.
«E le ha spiegato qual era lo scopo?»
«Oh, migliorare la salute, alzare il livello di vita, le solite cose. Non m’ha incantato. Naturalmente mi fingevo d’accordo, annuivo: che altro avrei potuto fare? Tutto sta nell’assecondarli e sperare che si mantengano nei limiti della ragione. Forse un giorno…»
Baley aspettò, ma Enderby non specificò quello che un giorno lontano sarebbe potuto avvenire.
«Non le ha mai parlato di emigrazione?»
«Emigrazione! Mai. Far accettare un terrestre sui Mondi Esterni è più difficile che trovare un diamante grosso come un asteroide tra gli anelli di Saturno.»
«Intendevo emigrazione su nuovi mondi.»
Ma il questore si limitò a lanciargli un’occhiata incredula.
Baley rifletté un momento e poi, con faccia tosta, chiese: «Che cos’è l’analisi cerebrale, questore? Ne ha mai sentito parlare?».
Il viso tondo di Enderby non fece una grinza, non batté nemmeno gli occhi. «No, che sarebbe?»
«Niente, una parola che ho sentito.» Baley uscì, tornò alla sua scrivania e rifletté. Impossibile che il questore recitasse, non era un attore così bravo. Quindi…
Alle 16,05 Baley chiamò Jessie e le disse che quella sera non sarebbe tornato a casa, né per qualche sera ancora. Le ci volle un po’ per tranquillizzarla. «Lije, c’è qualche problema? Sei in pericolo?» Un poliziotto è sempre più o meno in pericolo, le spiegò. La cosa non le piacque. «Dove dormirai?» Non glielo disse. «Se pensi di sentirti sola vai da tua madre.» Chiuse la comunicazione di scatto, tanto non cambiava niente.
Alle 16,20 fece una chiamata a Washington. Ci volle un certo tempo per raggiungere l’uomo che voleva e quasi altrettanto tempo per convincerlo a venire a New York con l’aereo del giorno dopo. Alle 16,40 riuscì nell’intento.
Alle 16,55 il questore se ne andò, passandogli davanti con un sorriso incerto. I colleghi del turno di giorno uscirono in massa, mentre la più scarsa popolazione del turno di notte cominciò ad affluire salutando Baley con sorpresa.
R. Daneel si avvicinò alla scrivania con un fascio di carte.
«Che roba è?» chiese Baley.
«Una lista di uomini e donne che probabilmente appartengono a organizzazioni medievaliste.»
«Quanti sono?»
«Più di un milione» rispose l’automa. «Ne ho scelti soltanto una parte.»
«E pensi di controllarli tutti?»
«Non sarebbe pratico, Elijah.»
«Vedi, Daneel, in un certo senso tutti i terrestri sono medievalisti. Il questore, Jessie, io… Prendi il questore con i suoi…» (Stava quasi per dire "occhiali", poi ricordò che i terrestri dovevano fare causa comune e che la faccia del questore andava salvata sia in senso figurato che letterale). Concluse quindi: «… Ornamenti oculari».
«Sì, li ho notati» ammise R. Daneel «ma ho pensato che fosse indelicato parlarne. Non ho visto ornamenti simili agli occhi di altri cittadini.»
«Sono oggetti antiquati.»
«Servono a qualcosa?»
Baley cambiò improvvisamente discorso. «Come hai avuto quella lista?»
«Me l’ha fatta una macchina: basta indicare il tipo di reato che si vuole e lei fa il resto. Ho raccolto tutti i casi di condotta disordinata nei confronti di robot degli ultimi venticinque anni. Un’altra macchina ha controllato tutti i quotidiani della Città per lo stesso periodo e mi ha fornito i nomi di persone che hanno rilasciato dichiarazioni sfavorevoli ai robot o ai Mondi Esterni. È stupefacente quello che si può fare in tre ore. La macchina ha perfino eliminato dalla lista i nomi dei deceduti.»