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«Sei stupito? Non dirmi che non avete computer, sui Mondi Esterni.»

«Di molti tipi, certo. E avanzati. Tuttavia nessuno è così grande e complesso come quelli che ho visto qui. Devi ricordare che il più grande dei Mondi Esterni ha una popolazione leggermente inferiore a quella di una Città, e quindi una tale complessità non è necessaria.»

Baley chiese: «Sei mai stato su Aurora?».

«No» rispose R. Daneel. «Sono stato fabbricato sulla Terra.»

«Allora come puoi conoscere i computer dei Mondi Esterni?»

«È ovvio, collega Elijah. La mia banca dati fa capo a quella del dottor Sarton. Puoi star certo che il materiale riguardante i Mondi Esterni è molto ricco.»

«Capisco. Sei capace di mangiare, Daneel?»

«Io sono alimentato dall’energia atomica, Daneel. Credevo lo sapessi.»

«Lo so, infatti. Non ti ho chiesto se hai bisogno di mangiare, solo se ne sei capace. Se puoi mettere del cibo in bocca, masticarlo e inghiottirlo. Credo che sia importante, se devi sembrare un uomo.»

«Capisco. Sì, sono in grado di masticare e inghiottire automaticamente. Naturalmente la mia capacità è limitata e prima o poi devo rimuovere il materiale ingestito da quello che tu chiameresti stomaco.»

«Va bene. Potrai vomitarlo o liberartene come credi nella quiete della nostra stanza, stanotte. Il punto è che io ho fame. Ho saltato il pranzo, maledizione, e voglio che tu stia con me quando andrò a mangiare. Ovviamente non potrai limitarti a guardarmi o desterai i sospetti. Ma visto che il problema non sussiste, andiamo!»

Le mense di settore erano le stesse in tutta la Città. Baley era stato a Washington, Toronto, Los Angeles, Londra e Budapest per lavoro e anche lì erano identiche. Forse nel medioevo il mondo era stato più vario, perché si parlavano lingue diverse e i cibi erano diversi. Ma oggi i prodotti dei lieviti èrano gli stessi da Shangai a Tashkent, da Winnipeg a Buenos Aires; e l’inglese, anche se forse non era più la lingua di Shakespeare o Churchill, era l’idioma corrente in tutti i continenti. Con lievi modificazioni, era parlato anche sui Mondi Esterni.

A parte la dieta e il linguaggio, c’erano altre e più profonde similarità. Ad esempio il particolare, indefinibile odore che si associava così strettamente alle "cucine". E la triplice fila che avanzava lentamente, convergendo verso la porta e poi disperdendosi di nuovo, a destra, a sinistra, al centro. C’era il rumoreggiare dell’umanità che si agitava e parlava, e lo stridulo risuonare della plastica contro la plastica. C’era il luccichio del fintolegno, tirato a specchio, il riflesso sui bicchieri e i lunghi tavoli, l’alito del vapore nell’aria.

Baley avanzava lentamente, in fila come tutti gli altri (questa specie di ginnastica dell’ora di pranzo era inevitabile, e si protraeva per almeno dieci minuti). Disse a R. Daneel, preso da un’improvvisa curiosità: «Sai ridere?».

L’automa, che era immerso in un freddo ma approfondito esame della mensa, replicò: «Come, prego?».

«Mi domandavo, Daneel, se eri capace di ridere.» Parlava a voce bassa, per non farsi sentire.

R. Daneel sorrise. Fu un gesto improvviso e sorprendente: le labbra si curvarono e la pelle, agli angoli, si piegò. Ma solo la bocca rideva, il resto della faccia aveva la solita espressione.

Baley scosse la testa. «Non preoccuparti, R. Daneel. Non è per te.»

Erano sulla porta, adesso. Uomo dopo uomo inseriva la propria piastra in un’apposita fessura perché i sensori la leggessero. Click, click, click…

Qualcuno aveva calcolato che una cucina efficiente poteva permettere l’ingresso di duecento persone al minuto; le piastre di ciascuno venivano lette attentamente per evitare frodi ai danni della mensa e delle razioni. Era stato calcolato quanto doveva essere lunga una fila per consentire la massima efficienza, e quanto tempo si perdeva se un commensale chiedeva un servizio particolare.

Era sempre un guaio interrompere l’ordinato succedersi dei click-click per passare allo sportello manuale, come fecero Baley e R. Daneel per mostrare il loro "pass" speciale.

Jessie, con l’esperienza di assistente dietologa, aveva spiegato una volta il perché.

"Sconvolge tutta la procedura" aveva detto. "Manda all’aria le statistiche dei consumi e le stime inventane. Significa buoni speciali, e quindi aggiornamento dei quadri in modo che corrispondano a quelli delle altre mense cittadine; è necessario mantenere un equilibrio, se capisci ciò che voglio dire. Ogni settimana bisogna riempire un rendiconto completo, e se salta fuori che nella tua cucina si è consumato troppo, sono guai. Non è mai colpa della Città se viene fatta una distribuzione di buoni speciali: la colpa è delle cucine. E quando noi che ci lavoriamo siamo costretti ad annunciare che per quel giorno la libera scelta è sospesa, la gente in fila comincia a bestemmiare. Ti ripeto, è sempre colpa di chi sta dietro il banco…"

Baley sapeva tutto questo e quindi capì lo sguardo velenoso che gli lanciò la donna dietro lo sportello. La funzionaria annotò il settore di appartenenza, il lavoro, la ragione per cui il pasto veniva richiesto in un altro settore; Baley dichiarò che si trattava di "motivi ufficiali", una definizione irritante ma a prova di bomba. La donna piegò la richiesta con rapidi movimenti delle dita e l’infilò in una fessura. Il computer la trattenne, divorò il contenuto e digerì rapidamente le informazioni.

La funzionaria scoccò un’occhiata a R. Daneel, poi Baley dette la mazzata finale: «Il mio amico non appartiene alla Città».

L’espressione della donna era di completo e assoluto livore. Nonostante ciò, disse: «Città di appartenenza, prego».

Ancora una volta Baley intervenne al posto del robot: «È tutto a carico del Dipartimento di polizia. Non sono necessari dettagli, motivi ufficiali.»

La donna prese un blocco di buoni speciali e riempì il formulario con il codice luce-ombra, ottenuto premendovi due dita della mano destra.

Poi chiese: «Per quanto tempo mangerete da noi?»

«Fino a nuovo ordine» rispose Baley.

«Posate le dita qui» disse lei, girando la scheda.

Baley ebbe un brivido quando le dita perfette, di R. Daneel premettero sul formulario; poi si disse che non c’era ragione di temere, perché Daneel era dotato sicuramente di impronte digitali.

La donna prese la scheda e la infilò nella macchina onnivora che le arrivava al gomito. Il buono non fu respinto e Baley cominciò a respirare meglio.

La funzionaria prese due piastre rosse che significavano "commensale temporaneo", quindi annunciò: «Niente scelta, questa settimana. Siamo a corto. Tavolo DF».

Si avviarono al DF.

«Mi pare di capire che la vostra gente mangia sempre alla stessa mensa.» disse R. Daneel.

«Sì, certo. Non fa piacere pranzare in un posto che non si conosce, fra gente che non si conosce. Nella mensa del tuo settore hai un posto tuo, che occupi tutti i giorni; sei fra amici o in famiglia. Quando si è giovani l’ora di pranzo è il clou della giornata.» Baley sorrise, ricordando i giorni in cui era stato scapolo.

Il tavolo DF faceva parte del gruppo assegnato ai temporanei. I commensali già seduti guardavano il piatto a disagio e non parlavano a nessuno, ma alzavano la testa con invidia quando dai gruppi vicini si alzavano scoppi di risa.

Baley pensò che nessuno è più a disagio dell’uomo che mangia fuori-settore. Per piccina che tu sia, diceva un vecchio proverbio, sei la mensa di casa mia. Perfino il cibo aveva un sapore migliore, a casa, benché i chimici si affannassero a ripetere che era esattamente lo stesso da New York a Johannesburg.

Baley prese posto su uno sgabello e R. Daneel si mise accanto a lui.

«Non si può scegliere, oggi» disse Baley muovendo le dita. «Perciò gira quell’interruttore e aspetta.»

Ci vollero due minuti. Una porzione circolare al centro del tavolo scivolò e al suo posto apparve un piatto.