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Baley spalancò gli occhi: «Ma che dici, tu…».

Poi si calmò: «Dannazione, che mi arrabbio a fare?».

Continuò, con più calma: «Tu non capisci, Daneel. Fra noi terrestri è costume non esporre i propri figli al pericolo, anche se può sembrare una cosa logica».

«Pericolo!» esclamò Ben, quasi deliziato. «Che sta succedendo, papà? Eh, papà?»

«Niente, Ben. E comunque non sono affari tuoi, capito? Preparati ad andare a letto. Ti voglio a letto, quando sarò tornato.»

«Oh, papà, non aprirò bocca con nessuno. Te lo giuro.»

«A letto!»

«Oh, papà!»

Baley spinse indietro il bordo della giacca per essere pronto a sparare. Si trovava nel comunico di zona, davanti a un ricevitore al quale aveva dato il suo numero personale; ora aspettava, mentre un computer distante venticinque chilometri controllava per vedere se la chiamata era inoltrabile. Si trattò di un’attesa breve, perché un agente investigativo non ha limite al numero di chiamate che può fare in servizio, e quando fu autorizzato dettò il numero di sua suocera.

Il piccolo schermo alla base dell’apparecchio si accese e un viso di donna lo fissò.

Baley disse, con un filo di voce: «Passami Jessie, mamma».

Jessie arrivò subito, perché evidentemente si aspettava la chiamata. Baley la guardò un attimo, poi tolse l’immagine.

«Va bene, Jessie, Ben è qui. Cosa c’è che non va?» Teneva d’occhio l’ambiente intorno a lui con estrema cautela. Non gli sfuggiva niente.

«Stai bene? Non sei nei guai?»

«Sto bene, Jessie, questo lo vedi. Ora calmati.»

«Oh, Lije, sono stata così in pena…»

«Perché?» le chiese a gola stretta.

«Lo sai. Il tuo collega.»

«Cosa c’è che non va nel mio collega?»

«Te l’ho detto la notte scorsa. Ci saranno guai.»

«Queste sono sciocchezze. Stanotte Ben rimane da me, tu vai a letto presto. Ciao, tesoro.»

Interruppe la comunicazione e fece due lunghi respiri prima di tornare indietro. Aveva la faccia grigia per la preoccupazione e la paura.

Quando Baley rincasò Ben era in mezzo alla stanza; una delle lenti a contatto che usava era posata nel recipiente, l’altra l’aveva ancora nell’occhio.

Il ragazzo disse: «Oh, papà, non c’è acqua in questo posto? Il signor Olivaw dice che non posso andare al Personale».

«Ha ragione, non puoi. Rimettiti quella cosa nell’occhio, Ben, non ti farà male dormirci per una notte.»

«Okay.» Ben rimise la lente, posò il recipiente e s’infilò a letto. «Cielo, che materasso!»

Baley disse a R. Daneeclass="underline" «Penso che non ti dia fastidio restare seduto».

«No, certo. A proposito, m’interessano gli strani vetrini che Bentley porta agli occhi. Tutti i terrestri li usano?»»

«No, solo alcuni» rispose Baley, distratto. «Io non ne ho bisogno, per esempio.»

«A cosa servono?»

Baley era troppo assorbito dai suoi pensieri per rispondere. E non erano pensieri rosa.

Le luci erano spente ma Baley era ancora sveglio. Sentiva vagamente il respiro di Bentley, profondo e regolare anche se un po’ roco. Girò la testa di lato e gli sembrò di vedere R. Daneel, seduto e assolutamente immobile, la faccia rivolta alla porta.

Poi Baley si addormentò e sognò Jessie. Sua moglie precipitava nella camera di fissione di una centrale atomica, e precipitando protendeva le braccia verso di lui, e urlava; ma lui riusciva soltanto a guardare, paralizzato, al di qua della riga rossa, finché il corpo di Jessie rimpiccioliva sempre più e diventava un puntino.

Guardava, e sapeva di essere stato lui a spingerla nella fornace.

XII

Parla un esperto

Elijah Baley alzò gli occhi e il questore Enderby entrò nell’ufficio. Baley fece un cenno con la testa, ma era ancora addormentato.

Il questore dette un’occhiata all’orologio e borbottò: «Non dirmi che sei stato qui tutta la notte!»

«No» rispose Baley.

L’altro abbassò la voce: «Hai avuto guai, per caso?».

Baley scosse la testa.

«Forse ho sottovalutato un po’ troppo l’eventualità che esplodano disordini. Se c’è qualcosa che posso…»

Baley disse, secco: «Questore, se fosse successo qualcosa glielo direi. Non ho avuto problemi».

«D’accordo.» L’alto funzionario si mosse verso il fondo della sala e attraversò la porta che dava nell’ufficio privato, segno inequivocabile della sua posizione.

Baley lo seguì con lo sguardo e pensò: lui avrà dormito, stanotte.

Poi si dedicò al rapporto di routine che stava redigendo per coprire le vere attività degli ultimi giorni, ma le parole che aveva appena battuto gli sembrarono sfocate e cominciarono a ballare davanti agli occhi. Lentamente si accorse che qualcosa stava in piedi accanto alla scrivania.

Alzò la testa: «Cosa vuoi?».

Era R. Sammy, e Baley pensò: "Il fattorino meccanico di Julius; rende, fare il questore!".

Attraverso il fatuo sorriso, R. Sammy disse: «Il questore vuole vederti, Lije. Subito».

Baley agitò una mano: «Mi ha appena visto. Digli che ci andrò più tardi».

«Ha detto subito» ripeté l’automa.

«Va bene, va bene. Vattene.»

Il robot indietreggiò ripetendo: «Il questore vuole vederti subito, Lije. Ha detto subito».

«Giosafatte!» ringhiò Baley. «Ci vado, ci vado.» Si alzò, si diresse verso l’ufficio e finalmente R. Sammy tacque.

Appena entrato, Baley disse: «Accidenti, questore, non mi mandi a chiamare da quel coso! Come glielo devo dire?».

Ma l’altro si limitò a dire: «Siediti, Lije».

Baley sedette e aspettò. Forse era stato ingiusto con il vecchio Julius; forse neanche lui aveva dormito, dopotutto. Aveva un’aria abbattuta.

Il questore picchiettava sulle carte davanti a lui. «Risulta che hai chiamato un certo dottor Gerrigel a Washington con il raggio isolato.»

«Esatto, questore.»

«Non esiste registrazione della conversazione, proprio perché isolata. Vuoi dirmi di che avete parlato?»

«Sto cercando informazioni supplementari.»

«È un robotista, vero?»

«Esatto.»

Il questore sporse il labbro inferiore e improvvisamente sembrò un bambino che tenesse il broncio. «Che cosa vuoi sapere? Che genere di informazioni cerchi?»

«Non ne sono sicuro, questore. Ho solo la sensazione che in un caso come questo tutte le informazioni riguardanti i robot possano servire.» Da quel momento in poi Baley si cucì la bocca: non voleva scendere in dettagli, e questo era tutto.

«Io non lo farei, Lije. Non credo che sia una mossa saggia.»

«Qual è la sua obiezione?»

«Meno persone vengono informate nel caso, meglio è.»

«Gli dirò meno che posso, è ovvio.»

«Non credo che sia una cosa saggia, te lo ripeto.»

Baley si sentiva abbastanza male per perdere la pazienza: «Mi sta ordinando di non vederlo?».

«No, no. Fai come credi opportuno, l’indagine è affidata a te. Solo…»

«Solo cosa?»

Il questore scosse la testa. «Niente. Dov’è lui? Sai chi intendo.»

Baley lo sapeva, e rispose: «Di nuovo allo schedario».

Il questore aspettò un lungo momento prima di parlare, poi: «Non stiamo facendo molti progressi, lo sai».

«Non ne abbiamo fatti finora, ma le cose possono cambiare.»

«Va bene, allora» disse il questore, come se non andasse veramente bene.

Quando Baley tornò nel suo angolo ci trovò R. Daneel.

«Be’, che hai scoperto?» chiese duro.

«Ho completato la mia prima e frettolosa ricerca nello schedario, collega Elijah, e ho rintracciato due delle persone che hanno cercato di bloccarci ieri sera, e che, fra parentesi, si trovavano al negozio di scarpe al momento dell’incidente.»