Ci domandò quali erano le nostre preferenze in fatto di stile. Io stetti al gioco, e chiesi un monopezzo sciolto in verde e argento, con molte tasche. Non era l’abito più bello che avessi mai posseduto, ma mi andava abbastanza bene.
— Non ho chiesto i bottoni — protestai.
— Spero che non le dispiaccia. Carlos, avrai i bottoni anche tu.
Carlos scelse una tunica rosso-fuoco con un drago verde e oro acciambellato sulla schiena. I bottoni avevano il monogramma della sua famiglia. Ausfaller si piazzò davanti a noi, esaminando con approvazione i nostri abbigliamenti nuovi.
— Ora state a vedere — disse. — Eccomi qui davanti a voi, disarmato…
— Giusto.
— Sicuro.
Ausfaller sogghignò. Afferrò con le dita il primo e l’ultimo bottone e tirò con forza. La stoffa si strappò, tra l’uno e l’altro, come se in mezzo ci fosse un filo teso.
Reggendo i bottoni come se tendesse quel filo invisibile, li portò ai due lati di una rozza scultura tattile. La scultura andò a pezzi.
— Catena molecolare di Sinclair. Tagli qualunque tipo di materia normale, se si tira con forza sufficiente. Dovete stare molto attenti. Vi taglierà le dita con tanta facilità che non vi accorgerete neppure di non averle più. Notate che i bottoni sono grandi, perché sia più agevole stringerli. — Li posò cautamente su un tavolo e in mezzo mise un grosso peso. — Il terzo bottone, contando dall’alto, è una granata sonica. A tre metri di distanza uccide, a dieci metri stordisce.
Io dissi: — Non è necessaria una dimostrazione.
— Forse vorrete esercitarvi a lanciare bottoni scarichi contro un bersaglio. Questo secondo bottone è una Pillola Energetica, lo stimolante comunemente in commercio. Rompete il bottone e prendetene metà quando ne avete bisogno. La dose intera potrebbe causare un arresto cardiaco.
— Non ho mai sentito parlare della Pillola Energetica. Come funziona in caso d’incidenti?
Ausfaller ci restò secco. — Non lo so. Forse sarà meglio limitarsi a un quarto di dose.
— O farne a meno — dissi io.
— C’è un’altra cosa di cui non darò dimostrazioni. Tastate la stoffa dei vostri indumenti. Sentite che ci sono tre strati? Quello di mezzo è uno specchio quasi perfetto. Riflette persino i raggi X. Ora potete respingere una raffica laser, almeno per il primo secondo. Il colletto si srotola e forma un cappuccio.
Carlos annuiva tutto soddisfatto.
Credo che sia proprio vero: tutti i terrapiattai la pensano allo stesso modo.
Per un miliardo e mezzo di anni, gli antenati dell’umanità si sono evoluti nelle condizioni di un unico mondo: la Terra. Un terrapiattaio cresce in un ambiente del tutto adatto a lui. E d’istinto vede l’intero universo allo stesso modo.
Noi che siamo nati su altri mondi sappiamo che le cose stanno diversamente. Su We Made It ci sono i venti infernali dell’estate e dell’inverno. Su Jinx, la gravità. Su Plateau, il ciglio del precipizio che circonda tutto, e una caduta di quaranta miglia nel calore e nella pressione più insopportabili. Su Down, la luce rossa del sole, e piante che non crescerebbero senza l’aiuto delle lampade ultraviolette.
Ma i terrapiattai credono che l’universo sia stato fatto apposta per loro beneficio. Per loro, il pericolo è irreale.
— Gli auricolari — disse Ausfaller, mostrando una manciata di cilindretti di plastica morbida.
Li inserimmo. Ausfaller chiese: — Mi sentite?
— Sicuro. — Non bloccavano affatto l’udito.
— Auricolari per la trasmittente e ausilio per l’udito, con un’imbottitura sonica in mezzo. Se vi bombardano con il suono, per esempio con un’esplosione o uno storditore sonico, l’ausilio per l’udito smette di colpo di trasmettere. Se diventate improvvisamente sordi, capirete che siete attaccati.
Per me, tutte le precauzioni di Ausfaller servivano soltanto a preannunciare quello che poteva capitarci. Non dissi niente. Se fossimo scappati, avremmo avuto anche meno probabilità di portare a casa la pelle.
Quando tornammo in sala comando, Ausfaller si collegò con l’Ufficio Affari Alieni, sulla Terra. Fornì una versione condensata di quello che ci era successo, ed espose qualche ipotesi. Invitò Carlos a leggere le sue teorie perché venissero registrate.
Carlos rifiutò. — Potrebbe ancora darsi che mi sia sbagliato. Lasciami la possibilità di studiarci un po’ sopra.
Brontolando, Ausfaller andò a sdraiarsi nella sua cuccetta. Era rimasto sveglio anche troppo, e si vedeva.
Carlos scrollò la testa quando Ausfaller sparì in cabina. — Paranoia. Nel suo mestiere, credo sia inevitabile essere paranoici.
— Forse un pizzico di paranoia non ti farebbe male.
Non mi senti neppure. — Immagina! Sospettare che una celebrità interstellare sia un pirata dello spazio!
— Quello è al posto giusto nel momento giusto.
— Ah, Bey, dimentica quello che ho detto. Il… uhm, il congegno mangianavi dev’essere al posto giusto, ma i pirati no. Possono semplicemente abbandonarlo e servirsi di navi hyperdrive per fare la spola alla loro base.
Era qualcosa da tener presente. In confronto al sistema interno, il volume entro l’alone cometario era enorme: ma per le navi a hyperdrive era come il quartiere intorno a casa. Dissi: — Allora perché andiamo a far visita a Forward?
— Voglio discutere le mie idee con lui. E c’è di più: probabilmente conosce il Capo Mangianavi, senza sapere chi è. Probabilmente, anzi, Io conosciamo entrambi. C’è voluto un esperto cosmologo per trovare il congegno e riconoscerlo per ciò che era. Chiunque sia, inevitabilmente è qualcuno che si è fatto un nome.
— Hai detto trovare?
Carlos mi rivolse un gran sorriso. — Lascia perdere. Ti è venuto in mente qualcuno su cui vorresti usare quel filo magico?
— Sto facendo un elenco. Tu vieni al primo posto.
— Bene, sii prudente. Sigmund sa che ce l’hai, anche se non lo sa nessun altro.
— Lui viene al secondo posto.
— Fra quanto arriveremo a Forward Station?
Avevo ricontrollato la nostra rotta. Stavamo decelerando a trenta gravità e viravamo lateralmente. — Venti ore e qualche minuto — risposi.
— Bene. Avrò la possibilità di studiare un po’. — Carlos incominciò a chiedere dati al computer.
Gli domandai il permesso di leggere alle sue spalle. Me lo diede.
Carogna. Lui legge due volte più svelto di me. Tentai di saltare qua e là, per farmi un’idea di quello che stava cercando.
Collapsar: se ne conoscono tre. Il più vicino era una componente d’una stella doppia nel Cigno, a oltre cento anni-luce di distanza. C’erano andate diverse spedizioni per lanciare le sonde.
La teoria dei buchi neri non era una novità per me, anche se la parte matematica mi sembrava incomprensibile. Se una stella è abbastanza massiccia, allora dopo aver bruciato tutto il combustibile nucleare e aver incominciato a raffreddarsi, non c’è nessuna possibile forza interna che possa impedirle di collassare superando il suo raggio di Schwarzschild. A questo punto la velocità di fuga dalla stella diventa maggiore della velocità della luce; e al di là di quel limite non si sa più nulla, perché niente può lasciare la stella, né informazioni, né la materia, né radiazioni. Niente… tranne la gravità.
Una stella collassata deve pesare cinque masse solari o più; altrimenti il collasso si arresterebbe allo stadio di stella di neutroni. E in seguito, può soltanto diventare più grande e più massiccia.
Non c’era la minima probabilità di trovare qualcosa di tanto massiccio lì ai margini del Sistema Solare. Se ci fosse stato qualcosa del genere nelle vicinanze, il sole gli orbiterebbe intorno.
La meteorite siberiana doveva essere stata abbastanza strana, perché la si ricordasse ancora dopo novecento anni. Aveva steso gli alberi per migliaia di miglia quadrate; eppure gli alberi presso il punto d’impatto erano rimasti in piedi. Della meteorite vera e propria non era mai stato trovato niente. Nessuno l’aveva vista toccare terra. Nel 1908 la Tunguska, in Siberia, doveva essere meno popolata della Luna terrestre ai giorni nostri.