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Leblanc non rispose. Forzon riprese la torcia e si chinò a esaminare il pavimento di pietra. Non vi erano due pietre della stessa dimensione, eppure il muratore le aveva combinate in maniera perfetta, traendone disegni squisiti. Rivolse la sua attenzione a una tavola, alla quale delle gambe a spirale conferivano una incantevole impressione di altezza, e poi sollevò lo sguardo per ammirare l’adorabile semplicità delle travi nude del soffitto.

«Io vi abbandono Rastadt» disse a Leblanc. «Non saprei comunque cosa farne. Mettetevi in contatto con Wheeler, se potete, o cercate di spedire una comunicazione fuori del pianeta in altro modo. Non credo sia una cosa urgente. Rastadt non può far nulla alla Squadra B anche se voi non ottemperate ai suoi ordini, cosa che io vi autorizzo a fare, e in ogni caso la prossima ispezione planetaria lo sistemerà. Il Kurr è un pasticcio da quattro secoli, due anni di più non cambieranno nulla. In quanto a me, mi occorrono lezioni di lingua. Avete tutto l’occorrente?»

«Vi faremo seguire il corso fondamentale, come a tutti i nuovi agenti della Squadra B. Dura dieci giorni. Che cosa volete fare?»

«Avevo intenzione di mettere in piedi un rilievo culturale, ma non c’è neanche da parlarne. È un lavoro troppo vasto per una persona sola e ovviamente non posso contare su una grande collaborazione da parte della Squadra B.»

«Vi daremo tutto l’aiuto di cui avrete bisogno» protestò Leblanc.

Forzon scosse il capo. «Un rilievo culturale non è un censimento agricolo. Richiede addestramento e attitudini non comuni, e voialtri della Squadra B non avete né l’uno né le altre. Ann suona il torru, d’accordo, e lo suona molto bene; ma sa ascoltare altrettanto bene? Quanti stili vi sono nella musica di torril, Ann?»

Ann non rispose.

«Ciò che mi propongo di fare è una indagine sulla passione dei Kurriani per la bellezza.»

«Credete che in quel campo potrà esserci uno spunto che ci aiuti a rovesciare Re Rovva?» chiese Leblanc.

Forzon sorrise. «Non ne ho la più pallida idea. Indagherò sulla passione dei Kurriani per la bellezza perché mi interessa.»

CAPITOLO VI

Molto prima di avere imparato bene la lingua, Forzon già non vedeva l’ora di trasferirsi. Gli altri agenti se ne andavano per i fatti loro, lasciandolo solo con Leblanc, e sebbene egli scoprisse inattese bellezze nella vecchia fattoria, la compagnia del comandante della Squadra B lo annoiava. Leblanc viveva circondato da cose stupende e le ignorava.

Quest’ultimo era rimasto profondamente turbato dalla faccenda della contadina che aveva tanto gradito la veste del sacerdote di Larnor. «Ma perché?» chiedeva, perplesso, aggrottando la fronte. «Non la può indossare e neppure trasformare in qualche altro indumento per sé.» E dopo alcune ore era capace di voltarsi bruscamente, facendo traboccare la sua ciotola di vino speziato, e protestava: «Non la può neanche mostrare a un’amica. Nel momento stesso in cui risultasse che ha ospitato un sacerdote larnoriano, non le rimarrebbe neanche un’amica!»

Forzon esaurì la sua scorta di citazioni sull’argomento della bellezza e divenne silenzioso.

Venti giorni dopo il suo arrivo comparve un altro agente della Squadra B. Era un uomo robusto, abbronzato, gioviale, che si chiamava Hance Ultman. Faceva il negoziante di prodotti agricoli. Questa sua occupazione gli permetteva di girare liberamente nelle province centrali del Kurr.

«Avete posto per un passeggero?» gli chiese Forzon.

Ultman sorrise, d’un rapido sorriso contagioso. «Se al mio passeggero non dispiace camminare!»

Leblanc non fece obiezioni. Il mestiere di Ultman era perfettamente legale, Forzon con lui sarebbe stato al sicuro, e quella peregrinazione senza fretta gli avrebbe fornito un’ottima occasione per conoscere il Kurr e il suo popolo.

«Fate pure il giro» disse Leblanc. «Farete la conoscenza di altri agenti sia cammin facendo sia a Kurra, e forse io potrò vedervi laggiù. Altrimenti potete tornare qui. Se nel frattempo vi viene in mente qualcosa…»

Forzon annuì con impazienza. Leblanc si era messo in testa ultimamente che la strana passione dei Kurriani per la bellezza si potesse convertire in una passione per la democrazia, ma che se Forzon avesse scoperto per quale strada arrivarci, non gliene avrebbe detto nulla.

Partirono due giorni dopo. Ultman conduceva con sé sei grandi carri coperti, ognuno trainato da una coppia di placidi e ubbidienti esg. Ultman marciava accanto alla coppia di testa, gli altri erano legati al carro precedente, partendo quando esso si muoveva, fermandosi quando si fermava. Forzon si piazzò in testa dall’altra parte, rispetto a Ultman, e per parlarsi dovevano urlare, per superare l’incessante scricchiolio dei carri.

«Ma perché non ungete queste cose?» chiese Forzon.

«Regola dell’Uno!» urlò Ultman ridendo «che corrisponde in realtà alla regola dello zero. Se io ungessi queste ruote, sarei colpevole di avere introdotto una innovazione tecnica. In realtà i Kurriani vi avrebbero pensato da molto tempo, se questo legno non fosse così duro da resistere all’infinito senza alcuna lubrificazione.»

«Può darsi che il legno resista; ma i loro timpani?»

Ultman sorrise e non rispose, e Forzon, durante l’ora successiva, cercò di spiegarsi come facevano gli indigeni a conciliare il loro amore per la musica con l’indifferenza al rumore.

Ultman era specializzato in un prodotto agricolo di lusso, un tipo di tubero che pochi agricoltori coltivavano. Se lo procurava sempre dagli stessi produttori, sparsi in tutte le province del Kurr centrale. Essi avanzavano lentamente lungo le stradine di campagna, da un villaggio all’altro, da una fattoria all’altra, e per Forzon era come un viaggio nel paese delle meraviglie.

Visitarono un villaggio di pittori con le sue originali case a fungo dalla base quadrata. Il paese era attraversato da un lento e pittoresco fiume. Tutti i maschi, dai bambini che sapevano appena camminare, sino agli adolescenti, stavano fuori al sole a dipingere: il fiume, le case, il paesaggio agreste, le loro sorelline; o si facevano l’un l’altro il ritratto. Non si vedevano in giro maschi adulti, quelli erano lontano, viaggiavano quasi tutto l’anno, dipingendo ritratti e soggetti locali per le raccolte private che adornavano ogni casa kurriana. Ultman acconsentì amabilmente a sostare nel villaggio il tempo necessario affinché Forzon si facesse fare il ritratto da un giovane la cui tecnica lo aveva interessato; ma l’eccitazione di questa prima commissione aveva talmente agitato il ragazzo che il risultato fu mediocre.

I segreti delle arti e mestieri erano gelosamente custoditi e trasmessi di padre in figlio, e lungo il percorso a spirale che li portava verso la capitale, essi incontrarono un villaggio di intagliatori in legno, un villaggo di scultori, persino un villaggio di poeti, e ognuno di questi centri documentava l’insaziabile bisogno d’arte del Kurr e la ricchezza che il paese era disposto a profondervi.

Visitarono un villaggio di musicisti un giorno festivo. La strada del villaggio ospitava decine di concerti. Forzon passò da un gruppo all’altro, osservando affascinato i ragazzetti dal viso lucido che facevano la loro prima apparizione in pubblico, con i loro piccoli torril dai suoni acuti, adeguati alla loro statura, e i giovanotti sotto i vent’anni che suonavano con maestria gli istrumenti di dimensioni normali, dai profondi toni bassi. Le donne e i bambini, nei costumi sgargianti della festa, ascoltavano rapiti e applaudivano con frenesia, alla loro maniera, scalpitando sulle pietre dipinte del selciato. Forzon andava qua e là, ubriaco di musica, fino al momento in cui gli venne l’improvviso rimorso di non essersi portato dietro alcun apparecchio registratore.

Ultman, ovviamente felice di avere qualcuno con chi parlare, non smetteva mai. Ciò che gli diceva era quasi sempre coperto dal cigolio delle ruote dei carri, ma Forzon era riuscito ad afferrare parecchie cose utili. Poi Ultman attaccò l’argomento degli insuccessi della Squadra B, e andò avanti per ore. Forzon che ricordava la sala dell’archivio, laggiù alla base, colma di raccoglitori polverosi, si faceva forza per non cedere alla noia.