Viaggiavano ora per verdeggianti sentieri lungo i quali i villaggi pittoreschi, con le loro strane case multicolori, erano disseminati come le perle di una collana, lucenti e intervallate, su un lungo filo verde. Di tanto in tanto, essi entravano in una taverna di villaggio o nel soggiorno di una casa privata, e assaggiavano il vino dell’ultimo raccolto. Locande non ce n’erano. Ma in quella terra temperata, accogliente, ricca e pacifica, il viaggiatore che aveva con sé una mantella pesante non aveva bisogno di nient’altro. Si dormiva all’aperto. Qualsiasi donna che possedesse una scodella di cibo sfamava volentieri il viandante che glielo chiedeva. E se questo viandante gli offriva in cambio uno o due tuberi, allora non solo le porzioni diventavano principesche, ma vi aggiungeva dei biscotti tolti dalla riserva di dolci preparati per la prossima festa.
Qualche volta incontravano degli agenti della Squadra B. Due di essi, un proprietario di taverna e sua moglie, invitarono Ultman e Forzon a pernottare, ma poi guastarono la gioiosa aspettativa di Forzon, che sperava di riposare finalmente in un letto, tenendolo sveglio tutta notte con i loro ricordi e quelli di Ultman. E ancora: un negoziante di vini, un viaggiatore di commercio, un compratore di lana all’ingrosso, che apparvero improvvisamente e passarono accanto alla fila di carri di Ultman senza neppure un cenno del capo. Un coltivatore, presso il quale Ultman sostò per comperare i suoi tuberi. Un altro coltivatore, che entrò in una taverna dove stavano sorseggiando lentamente un bicchiere di vino, e che ripartì senza avere scambiato con loro neppure una parola.
«Non ce n’era motivo» disse poi Ultman «altrimenti avrei fatto in modo di incontrarlo in privato. È entrato nella taverna perché voleva veder voi da vicino. Non si sa mai. Potrebbe tornarvi utile, un giorno, che quest’uomo sappia chi siete.»
I sei carri di Ultman erano carichi fino all’orlo di tuberi dal profumo dolciastro, quando imboccarono infine una via maestra che conduceva a Kurra. Era una strada abbastanza larga da permettere il traffico nei due sensi, ed era percorsa da innumerevoli carri che portavano prodotti agricoli e derrate alimentari alla capitale. Dovettero aspettare un’ora prima di trovare uno spazio sufficiente fra due carri consecutivi da potervi infilare i sei carri di Ultman. Quello stesso giorno, nel pomeriggio, quando Kurra era già una grossa macchia sull’orizzonte, il traffico sulla strada, davanti, si bloccò improvvisamente. Ultman portò in fretta i suoi carri fuori strada e si fermò.
Un viandante solitario si avvicinò. Portava una vistosa uniforme, già sporcata dal viaggio, e camminava pesantemente, con gli occhi fissi nella polvere che si alzava sotto i suoi passi. La gente scendeva nei campi per schivarlo, o si voltava dall’altra parte e si fermava finché non fosse passato. La manica sinistra della sua giacca batteva, vuota, sul suo fianco.
«È uno scudiero del re» sussurrò Ultman. «£ incorso nello sfavore del suo sovrano e ora se ne va in una moncopoli. Finché non arriva lì, è un reietto. La gente gli darà da mangiare; ma una sola volta, e non gli parlerà mai.»
Il monco era già lontano e dietro di lui il traffico dei carri riprese a muoversi, i viandanti tornarono sulla strada e la terra di Kurr fu di nuovo bella e serena; ma quel passaggio aveva gettato un’ombra, che continuava a incombere su Forzon.
Trascorsero la notte presso il contadino che prendeva cura dei carri e degli esg di Ultman quando questi non li adoperava, e di buon’ora, la mattina dopo, entrarono nella città fortificata di Kurra, con un solo carro, trainato da un solo esg.
«Così vuole la legge» spiegò Ultman. «Molto ragionevole, direi. La maggior parte delle leggi promulgate da Re Rovva sono ragionevoli. Un convoglio di sei carri, in questo punto, causerebbe uno di quegli ingorghi di traffico, che bisogna vederli per credervi. Probabilmente è accaduto una volta, e il re è rimasto intrappolato, ragion per cui, dopo avere spedito tutti gli interessati in una moncopoli, ha promulgato una legge per impedire che il fatto si ripetesse.»
Gli antichi edifici, cosa che faceva restare Forzon a bocca aperta, erano costruiti di pietra, ma avevano anch’essi quei muri sporgenti e svasati che egli aveva visto nelle case rurali di legno. Perfino le mura di cinta di Kurra avevano in cima quell’inflessione verso l’esterno. «Mi piacerebbe smantellarne una parte per vedere com’è fatto» disse a Ultman che alzò le spalle e disse che a lui piacevano i muri solidi e intatti, e che per conto suo li avrebbe lasciati stare.
Nelle campagne, i tetti ingobbati delle case poggiavano direttamente sulla sommità sporgente dei muri maestri. Invece gli edifici di pietra di Kurra avevano i piani superiori costruiti con muri verticali. E questo perché i muri più bassi essendo protesi verso la strada, ne ricoprivano spesso una buona parte e nelle viuzze più strette s’incontravano all’altezza del primo piano, per formare delle gallerie. Kurra era una città di gallerie, in cui solo le strade principali erano a cielo scoperto.
Mentre i villaggi erano la patria degli artisti, la città ospitava gli artigiani. Le botteghe artigianali e le piccole fabbriche rudimentali di lavori a mano fiancheggiavano tutte le strade. A poca distanza dalla porta cittadina, Ultman e Forzon attraversarono una larga piazza del mercato, vivace miscuglio di costumi multicolori, di pile di derrate alimentari, di prodotti artigianali di ogni specie e vi erano anche dei pittori che esponevano le loro opere e discutevano il prezzo dei loro lavori con clienti eventuali, oppure dipingevano ritratti sul posto. Ma al centro del mercato, nella zona più lontana dal rumore dei carri, alcuni suonatori di torril davano al pubblico un saggio della loro maestria, circondati da una improvvisata platea. Era tutto un rumore: le grida dei venditori, i chiassosi battibecchi con i loro clienti, la fusione dei vari concerti di torril, la cordiale, gioiosa esuberanza di un popolo felice, frammischiato allo stridore acuto dei carri e carretti che passavano.
Sostarono nel cuore della città, in una strada secondaria coperta come una galleria, per consentire a Ultman di precipitarsi a vedere che nessun carro entrasse dall’altra estremità, a bloccargli il passaggio. Voltarono e manovrarono il carro infilandolo in una galleria più stretta ancora, da lì in un cortile, poi, a ritroso, giù per una rampa di terra battuta, fino all’entrata di una cantina.
«Siamo a casa!» annunciò trionfante Ultman.
Forzon lo aiutò a scaricare, poi riportarono il carro e l’esg alla fattoria, tornarono in città con un altro carico. Annottava quando finirono di scaricare l’ultimo carro e lo riportarono alla fattoria. Dovettero affrettare il passo per arrivare alle porte della città prima della chiusura.
Ultman avrebbe smerciato i suoi tuberi nelle vie coperte e nei vicoli di Kurra, servendosi di un carrettino a mano. Nel tempo occorrente a smaltirli tutti, un nuovo raccolto sarebbe maturato. Per anni aveva seguito questo stesso ciclo. Tutti lo conoscevano, poteva andare a venire a suo piacimento, e se spariva dalla circolazione per un po’, nessuno dei suoi conoscenti si preoccupava. Forzon pensò che Ultman aveva una professione ideale per un agente della Squadra B. Ma quella sua cantina scura gli piaceva poco.
Neppure a Ultman piaceva. «Ha però i suoi vantaggi» gli disse. «Un agente prudente si prepara sempre una seconda via d’uscita. Anche se c’è possibilità di aiuto nelle vicinanze, gli altri agenti hanno la loro vita da condurre e non possono stare sempre lì a badare che il collega non si metta nei guai. E poi bisogna avvisarli, se si è nei guai, e questo non si può fare rimanendo intrappolati in un’abitazione che ha una sola uscita. In ogni nuova abitazione, per prima cosa mi scavo una gallerìa. Quella che mi sono fatta qui mi porta in un deposito di bidoni vuoti che ho affittato al mio vicino. Non si possono scavare gallerie dai piani superiori: occorre costruire dei passaggi, e ciò richiede l’uso di laterizi ed è comunque un lavoro spinoso. Bisogna anche avere l’uso dell’appartamento adiacente, il che è meno semplice che non affittare un angolo di cantina. Per conto mio, preferisco abitare dove posso scavare. Ora ordinerò un bel pranzo alla mia padrona di casa per festeggiare il mio ritorno, poi andremo fuori, a dare un’occhiata alla vita notturna di Kurra.»