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Quando si svegliò, Ultman era già di ritorno, con una polpetta di carne ben calda, il mal di testa era sparito, e il giorno, anche negli abissi della cantina di Ultman, si annunciava molto più brillante.

«Ho delle notizie» disse Ultman esultante. «Il re ha ordinato una festa per questa sera.»

«Che tipo di festa?»

«Uno spettacolo pubblico. Balli, danze, musica… tutto, Ogni cittadino maschio che possiede di che pagarsi il biglietto è il benvenuto. Il re chiama gli artisti migliori, il pubblico si diverte, e presumo che Sua Maestà ne tragga un discreto beneficio. Desiderate andarci?»

«Non vorrei mancare per tutto l’oro del mondo» disse Forzon, serio.

«Va bene, andremo. Mentre voi mangiate, io vi do qualche consiglio su come comportarsi per le vie di Kurra.»

«Avete già visto tutti i vostri migliori clienti?»

«Ne ho visti parecchi» disse Ultman con un sorriso. «È il segreto della riuscita, in questo ramo. Se il più delle volte voi fate la cosa che tutti si aspettano da voi, la gente penserà che lo facciate sempre.»

Trascorsero il pomeriggio passeggiando per le strade coperte di Kurra, curiosando nelle botteghe ogni volta che Forzon vi scovava qualcosa d’interessante. Non comprarono nulla, ma quando Forzon rimase affascinato alla vista di un boccale d’argento magnificamente cesellato, Ultman si mise con entusiasmo a mercanteggiare con l’argentiere, prima di formulare un prezzo in argento grezzo, poi in monete d’argento, poi in monete di rame; infine quando la trattativa pareva a buon punto, propose un certo peso di tuberi se l’argentiere li avesse accettati in luogo di denaro. I passanti si fermavano, felici di ascoltare la discussione o per unirsi alle trattative, e improvvisamente si creò una specie di asta, con i passanti che facevano salire il prezzo che Ultman era riuscito con lunghe, astute negoziazioni, a mantenere basso. Il boccale fu acquistato da uno straniero ben vestito che fece soltanto un’offerta, l’ultima.

L’argentiere esibì allora un altro boccale, ma Forzon lo ritenne inferiore al primo e se ne andarono.

«Quelle sono le cose di cui vi intendete, non è vero?» disse Ultman.

Di giorno per le strade di Kurra potevano conversare in galattico con relativa sicurezza. Con il rumore dei carri e carretti che cigolavano tutt’intorno, le grida dei venditori ambulanti, le discussioni degli acquirenti, non v’era pericolo di essere uditi da altri. Facevano già fatica a capirsi l’un l’altro. Ultman disse serio: «Vi piacerebbe gestire un negozio come quello?»

«Non credo.»

«Allora guardatevi intorno e vedete un po’ cos’è che vi interessa. Dovrete avere varie occupazioni.»

«Varie…

«Certo. Se succede un patatrac, ciò vi lascia acqua da correre.»

«Come si fa ad avere simultaneamente varie occupazioni?»

«Ci s’arriva programmando bene le cose. Io compero tuberi e li porto in giro per rivenderli, ma faccio anche il cameriere in una taverna, all’altro capo della città. Qualche volta dormo lì due o tre notti, faccio quel che l’oste mi ordina di fare, accetto quel che mi dà. L’importante è di essere conosciuto in quel luogo, e a qualsiasi momento io ci vada, sono sempre il benvenuto. Inoltre, un paio di agenti della Squadra B che sono in affari, mi hanno iscritto nei libri quale loro aiutante; di tanto in tanto faccio una capatina, e i loro clienti mi conoscono. Naturalmente ho un’identità diversa per ognuno di questi posti.»

«Voialtri prevedete tutto.»

Ultman sorrise apertamente. «Come dice Leblanc, ogni volta che un agente della Squadra B prova un sentimento di sicurezza, vuol dire che è in pericolo.»

«Fino a che punto io sono al sicuro, nella veste di vostro aiutante?»

«Non troppo sicuro. I negozianti di prodotti agricoli in genere non hanno assistenti e mentre i contadini non faranno caso, la prima volta, al fatto che viaggiate con me (possono pensare che andiate nella mia stessa direzione) la cosa desterebbe curiosità se accadesse una seconda volta. Nessuno s’interessa al fatto che condividiate la mia cantina qui a Kurra, ma se vi fate vedere in giro a lungo senza che si capisca di che cosa vivete, alcuni dei miei vicini cominceranno a farsi delle domande, e qui a Kurra se qualcuno si fa domande non ci vuol molto perché i ruff del re comincino anche loro a farsi delle domande.»

«Non credo che vi sia un museo di belle arti in cerca di un conservatore, non è vero?»

Ultman ebbe un risolino. «Non credo.»

«Finora non ho visto nulla in giro che mi piaccia fare, ma cercherò meglio. Beviamo qualcosa.»

Ultman disse con serietà. «Nessun Kurriano per bene si permette di bere prima del tramonto. Non a Kurra. Non in pubblico, comunque. Le taverne non aprono mai finché non è scuro abbastanza per giustificare l’accensione di una torcia.»

«E anche questa è una delle savie leggi di Re Rovva?» chiese Forzon, con tono irritato di chi ha voglia di un bicchiere.

«Fa stare i cittadini sobriamente al lavoro.»

«E risparmia al re il costo dell’illuminazione stradale. Mi rimangio tutto ciò che ho detto. I Kurriani hanno ampio motivo per ribellarsi, e più presto accadrà, meglio sarà.»

Andarono fino al centro della città dove si ergeva il palazzo reale, un massiccio castello di pietra a forma di fungo, nel bel mezzo di una vasta piazza. Al di sopra dell’ingresso principale sventolava lo striscione con le grandi lettere dipinte, che annunciava l’imminente festival. Quando tornarono sul tardi alla cantina di Ultman, qualcuno vi aveva lasciato un pacco. Era il boccale di argento cesellato.

Forzon disse spaventato: «Non ditemi che la persona che lo ha acquistato era…»

«Squadra B. Naturalmente. Non si addice a dei mercanti ambulanti come noi, comperare cose del genere, e quello ha pensato che voi ci teneste molto. È ammesso che un ambulante cerchi di contrattare; ma, se dà inizio ad un’asta, è prudente si ritiri in buon ordine, specialmente se ci sono in giro, come c’erano, i ruff del re. Potrebbero pensare: perché mai un mercante ambulante possiede tanti denari? E non è neppure prudente che questo oggetto resti in giro qui. Andiamo al festival, lo porteremo da Lweyn e gli diremo di tenerlo nascosto fin quando non vi sarete trovato un’abitazione.»

All’imbrunire si misero in fila e, con accompagnamento di monetine sonanti, passarono sotto speciali porte delle mura cittadine ed entrarono nell’anfiteatro reale. Le lunghe file a curva dei gradini di pietra erano state costruite sul fianco ripido di una depressione naturale. Nel centro di una specie di arena, in basso, c’era un chiosco a forma di fungo, con molte aperture.

«Il palco reale» sussurrò Ultman.

Si sedettero in alto, nelle ultime file poiché Ultman aveva borbottato che non era prudente trovarsi con troppa gente fra sé e l’uscita, e guardarono il teatro riempirsi di gente. L’oscurità che scendeva lentamente celava perfino le sagome scure dei loro vicini, ma gli spettatori continuavano ad arrivare, a inciampare in cerca di posti a sedere. Finalmente giunsero il re e il suo seguito, in un lungo corteo di fiaccole, e scesero con passo lento e maestoso la rampa che portava al chiosco. Le fiaccole si accesero intorno all’arena circolare e lo spettacolo cominciò.