Il guardiano gridò giù dalla scala: «Abbiamo visite. Joe sta salendo.»
«Benissimo» rispose Rawner. «Tutto a posto giù da te? Vieni su a bere. Sarebbe sciocco lasciare questa roba ai ruff.»
Riempì una ciotola per lui e un’altra per Joe, il grasso taverniere di pochi minuti prima, che entrò dal pannello nascosto nel muro. L’oste buttò giù d’un sol fiato la sua bibita, si asciugò le labbra e commentò: «Peccato. Questo posto mi piaceva».
Andò nella stanza accanto e tornò poco dopo, miracolosamente magro, con un abito diverso e una parrucca in mano.
«Hai bisogno di denaro?» disse Rawner.
«Ne ho parecchio» rispose il taverniere, aggiustandosi la parrucca. «Del vuol sapere se vi occorrono altri aggeggi per travestimento. Sta per chiudere bottega.»
«No, ne troveremo in abbondanza laggiù, dove siamo diretti. Digli di portare il cemento a spruzzo. Sa già cos’ha da fare. Ne bevete un altro, signor Sovrintendente?» Riempì la ciotola di Forzon e vuotò il resto nella propria. «Bevete, e andiamocene.»
Vuotarono le loro ciotole. Rawner si alzò e rimase fermo un minuto picchiando con il pugno nel cavo dell’altra mano. «Abbiamo fatto un sacco di buon lavoro, qui dentro» disse.
Aprì il pannello murale scorrevole. L’uomo chiamato Del era già arrivato e aspettava col vaporizzatore a pistola. «Questo cemento è davvero miracoloso» disse Rawner. «Fra trenta secondi questo pannello sarà parte integrale del muro. Non lo userei se sapessi di avere una probabilità anche minima di tornare qui.»
Joe, ora non più taverniere, fece strada con un lume acceso. Forzon lo seguì, degli altri agenti sbucarono dalla stanza accanto e dal piano di sotto unendosi a loro e si incamminarono in lunga fila per il corridoio oscuro sino al primo piano di una casa adiacente. Per più di un’ora seguirono una via tortuosa che li portò varie volte da una galleria sotterranea a un passaggio più elevato, poi sotto di nuovo. Emersero due volte sole in una delle stradine strette e buie di Kurra, che percorsero per qualche breve tratto. Il loro punto d’arrivo fu un appartamento arredato con gusto, nascosto sotto una cantina, e lì c’era un uomo ad aspettarli, seduto a un tavolo, contemplando con espressione avvilita una ciotola semivuota. Paul Leblanc.
«Pronto a partire?» chiese a Forzon.
Forzon si lasciò cadere sulla sedia e scosse il capo quando Leblanc gli spinse una ciotola. Chiuse gli occhi e si adagiò nella poltrona. Non aveva avuto un attimo di distensione da quel funesto istante, al festival, quando la musica di Tor si era interrotta. Le lunghe ore di ansia si facevano inevitabilmente sentire. Era esausto ma dentro di sé covava anche un rabbioso risentimento. Durante il cammino gli era venuto in mente, all’improvviso, che su quel pianeta egli era l’ufficiale più elevato in grado, che la responsabilità di tutto ciò che vi accadeva spettava, in ultima analisi, a lui, e che, con deplorevole debolezza, aveva ceduto la sua autorità a dei subalterni, permettendo che essi lo menassero qua e là con una sollecitudine zuccherina, più adatta a un orfanello smarrito.
«È lecito al sovrintendente coordinatore chiedervi che cosa sta succedendo?» mormorò.
«L’aereo è pronto e aspetta sul tetto. Avremo tutto il tempo di parlarne più tardi.»
Forzon scattò in piedi. «Parleremo ora» disse seccamente. «Ho l’impressione che stiamo facendo il gioco di Rastadt.»
«Può darsi, ma non abbiamo altra scelta. Il pianeta è bruciato.»
«Chi lo dice?»
«Rastadt…» Leblanc s’interruppe, fissando Forzon.
«L’avete veduto?»
Leblanc scosse la testa. «Il comunicato è stato registrato in mia assenza: “Pianeta bruciato, disponete immediato sfollamento tutto personale”.»
«In una questione di tale importanza, credo che il coordinatore avrebbe dato i suoi ordini di persona e avrebbe contribuito alla loro esecuzione. Dov’è?»
Leblanc non rispose.
«È lui che ha bruciato il pianeta» disse Forzon. «Lo ha fatto deliberatamente, e sa che lo sappiamo. Chi mi aveva combinato quella calorosa accoglienza kurriana? Chi ha passato sottomano al re l’informazione sulle dislocazioni della Squadra B? Chi ha dato la fotografia del mio documento d’identità da copiare?»
«D’accordo» disse Leblanc stancamente. «Ma non abbiamo scelta. Se un pianeta è bruciato bisogna andarsene. Il chi, il come e il perché, non importano. È in gioco un principio fondamentale e vitale dell’Ente.»
«Che cosa ha da guadagnarci Rastadt?»
«Nulla.»
«Pensateci bene. Abbiamo qui un coordinatore che ha fatto un gran pasticcio del comando affidatogli, che ha spedito rapporti fasulli al Comando Supremo per levarsi dai guai. Il Comando Supremo s’insospettisce e manda un sovrintendente coordinatore. Rastadt lo fa fesso facilmente, lo guida in un trabocchetto e torna in sede persuaso di aver risolto il problema. Improvvisamente riceve una comunicazione nella quale lo si informa che il sovrintendente ha raggiunto la Squadra B sano e salvo. Quando avete inviato quel messaggio?»
«Tre giorni fa.»
Forzon annuì cupamente. «Combina. Rastadt non è uno stupido e sa che voialtri non siete degli stupidi. L’unico modo per lui di salvarsi consiste nell’eliminare tutti quelli che sono a conoscenza del suo tradimento, eliminare cioè la Squadra B. Tutta, perché a quest’ora, tutti gli agenti avranno saputo del tranello che mi era stato teso. Egli ha deliberatamente bruciato il pianeta per distruggere le prove a suo carico.»
Leblanc disse pensoso: «Stavo facendo il mio giro d’ispezione solito, su a nord. Avevo notificato il mio itinerario. Forse non avrei dovuto, ma lo faccio sempre, è un gesto automatico, o quasi. Rastadt sapeva che sarei rimasto senza contatto col mio comando campale per una settimana almeno. Siccome lassù non c’era gran che di nuovo, la mia ispezione è terminata cinque giorni prima del previsto e al mio ritorno ho trovato il comunicato di Rastadt.» Si voltò. Gli altri si erano riuniti intorno al tavolo e ascoltavarto con attenzione. «Poiché sapeva che non sarei stato presente, per ricevere il comunicato, vuol dire che lo ha mandato solo per coprirsi le spalle più tardi. Lo userà per dimostrare che aveva il polso della situazione e che ci aveva avvisati con ampio anticipo.»
«Le dislocazioni che i ruff hanno perquisito erano tutte note a quei leccapiedi che Rastadt ci ha messo alle calcagna qualche anno fa» disse Sev Rawner piano. «I luoghi e le identità di cui quelli erano all’oscuro sono tuttora sicure.»
Leblanc annuì. «Purtroppo, rimane il fatto che il pianeta è bruciato. Dobbiamo sgomberare. Mi propongo di assumere il comando della base e mettere Rastadt e i suoi complici agli arresti in attesa di istruttoria formale.»
«Sei disposto a combattere?» disse Rawner. «Quelli sanno che li aspetta una condanna a lunghi anni di prigione. Forse non si arrenderanno facilmente.»
«Li superiamo in numero, quattro contro uno, e, anche se fosse l’universo, la Squadra B può farcela contro il quartier generale di qualsiasi base. L’unico problema è quello di trasportare tutta la Squadra B col solo aereo che abbiamo. Dobbiamo escogitare qualcosa.»
«Di quanti ricevitori a registrazione dispone la Squadra B?» chiese Forzon.
«Solo quello. Perché?»
«Facciamo finta di non avere ricevuto il comunicato di Rastadt.»
«Lo ripeterà appena ci metteremo in contatto con la base.»
«E allora non contattiamo la base.»
«Avrà già informato ufficialmente il Comando Supremo. Probabilmente è già in viaggio un’astronave per evacuare il pianeta.»
«E allora non presentiamoci per farci evacuare.»
Leblanc gli lanciò un’occhia gelida. «Che cosa avete in mente?»
«Dico che sul fatto che il pianeta sia bruciato, abbiamo solo la parola di Rastadt, e non vale molto. Per me no, non vale niente. Cosa accadrebbe se la Squadra B tagliasse ogni contatto con la base?»