Sentendosi terribilmente ridicolo, Forzon non rispose.
«E voi invece sì» disse Ann continuando a sorridere dolcemente. «Mi interesserà molto di vedere quel vostro piano. Quanto tempo vi occorrerà per elaborarlo?»
«Non ne ho idea.»
«La questione urgente è dove lo potrà elaborare» disse Leblanc. «Non è ora il momento di stabilire per lui un’identità, con i ruff del re alle calcagna. Lo potremmo tenere in un posto sicuro; ma sarebbe come chiuderlo in un armadio. Non potrebbe neppure guardare dalla finestra, anche se gli piace ammirare l’alba. Non possiamo tenerlo a Kurra, e ritengo sarebbe peggio in campagna, dove gli stranieri si notano di più. Tranne… Ah! la Cultura! Sapete dipingere, signor Sovrintendente? Un pittore può andare dovunque, nessuno fa domande.»
«Io so dipingere» disse Forzon «ma la mia tecnica non è all’altezza di quegli artisti e dovrei fare un po’ di pratica, prima di saper usare quei colori. I miei primi tentativi saranno probabilmente un pasticcio.»
«I vostri primi tentativi dovrebbero essere perfetti. Cosa ci sarebbe d’altro? Potreste suonare il torril?»
«Potrei suonare come uno di quei bambini, nel villaggio dei musicisti; ma solo se avessi il tempo di esercitarmi, e se si trattasse di un bambino piccolo.»
«Temo che dobbiate rimanere a Kurra» disse Leblanc rassegnato «e questo non mi piace. Se perquisiscono una casa dopo l’altra, dovrete muovervi e per quanta attenzione facciamo, ci sarà sempre una possibilità di errore.»
«Dovremo tenerci in contatto con lui regolarmente?» disse Ann.
«No, se è in un posto sicuro. Ma dovrà essere un posto dove il fatto che egli non fa niente non attiri l’attenzione di nessuno, visto che non sa fare niente.» Forzon sussultò. «Così» soggiunse Leblanc «gli rimarrà tutto il tempo per elaborare il suo piano.»
«Conosco il posto adatto» disse Ann. «Mandiamolo in una moncopoli.»
«Molto divertente» disse Forzon. «E se sono tutte al completo, forse Re Rovva ha una stanza per gli ospiti libera nel suo castello.»
Ma Leblanc annuì, meditabondo. «Proprio quel che ci vorrebbe. Non potrebbe esserci posto più sicuro in tutto il Kurr. Purtroppo lo potrebbero far lavorare, e che cosa potrebbe fare?»
«Dagli un mestiere che al villaggio non possa servire.»
Leblanc schioccò le dita. «Valletto. Cameriere. Un cameriere non può essere di alcuna utilità nella moncopoli, e la giacca della livrea ha le maniche lunghe. Inoltre i servitori reali hanno la testa rasata e questo gli fornisce subito il travestimento di cui ha bisogno. Ecco, era un cameriere al servizio del re, ma ha lasciato cadere… vediamo un po’… un piatto di sullux. Tutti sanno che il sullux è il piatto preferito del re, e spargere un po’ di quel cibo costituisce una immediata iniziazione al clan dei monchi. Se al villaggio insistono per farlo lavorare, tanto meglio: avrà una scusa per imparare un nuovo mestiere. Però dovrebbe sapere qualcosa sull’arte di servire. Chi gli può dare qualche rapida lezione?»
«Clyde?» suggerì Ann.
«Fallo venire qui. Se la cosa gli fosse capitata… vediamo… la notte scorsa, subito dopo il festival, oggi sul tardi potrebbe mettersi in cammino. Lo faremo uscire dalla porta meridionale e le guardie gli volteranno le spalle. Una moncopoli è il luogo ideale per elaborare il suo piano. È praticamente il Kurr in edizione condensata. Il Kurr fermo nel tempo. Vi troverà persone d’ogni ceto, compresa della gente che ha avuto molti contatti personali con Re Rovva. Il Sovrintendente potrà sapere da loro tante cose e se gli vengono delle idee potrà sperimentarle da sé.»
«Non dimenticate la livrea.»
«Certamente. La giacca dovrà essere di una misura più grande perché avrà il braccio sinistro nascosto dalla giacca, e gli attaccheremo un falso moncone alla spalla. Signor Sovrintendente, sarà bene impariate subito a servirvi della sola mano destra!»
CAPITOLO IX
Forzon, fingendo il passo incerto e abbattuto del proscritto, s’incamminò barcollando per le strade ombrose. Non provava alcuna difficoltà ad adottare il giusto portamento: si sentiva realmente incerto e abbattuto. I pedoni gli voltavano le spalle, i carri si fermavano e si facevano oltrepassare. Perfino i bambini correvano a nascondersi, sebbene i più coraggiosi si attardassero sulle soglie per osservarlo di soppiatto.
Ann Cory, di nuovo nelle vesti di una vecchia megera, gli zoppicava davanti per insegnargli la strada. Di tanto in tanto egli intravide un profilo conosciuto. Sev Rawner attraversò la strada ballonzolando; Joe Sornel, da grasso mescitore diventato bottegaio magro, in piedi sulla soglia del suo negozio; Hance Ultman, seduto, con gli occhi bassi, in un carro fermo. Ogni agente disponibile era stato mobilitato perché Forzon arrivasse senza intoppi fuori città; ma egli alzava gli occhi solo per seguire le svolte di Ann e ne vide solo pochi.
Arrivato alla porta della città una guardia gli si fece incontro, ma, notando la manica vuota che oscillava, voltò i tacchi con disprezzo. Forzon varcò la porta e si avviò passo passo sulla strada polverosa che portava verso il sud.
Poneva metodicamente un piede davanti all’altro e manteneva gli occhi fissi nella polvere. Non incontrò nessuno. Il traffico usciva di strada e aspettava che egli fosse passato. Quelli che lo raggiungevano deviavano nei campi, e non si voltavano poi a guardarlo.
Nel tepore carezzevole del tardo pomeriggio, la sua uniforme scarlatta si inzuppò di sudore e prese subito una patina grigia di polvere. L’inerzia forzata del suo braccio sinistro gli dava tremendamente fastidio e la testa rasata gli prudeva continuamente. Per minori che fossero queste distrazioni, egli imprecava perché gli impedivano di concentrarsi.
Aveva molte cose cui pensare.
I villaggi dei monchi erano delle minuscole, isolate società umane, così efficacemente staccate dalla vita del Kurr che la Squadra B non vi aveva mai trovato nulla d’interessante, né vi aveva svolto indagini sistematiche. Sebbene gli agenti ERI compilassero scrupolosamente i loro rapporti con tutte le informazioni di cui venivano per caso in possesso, non sapevano quasi nulla sulla vita delle moncopoli. La Squadra B avrebbe tenuto d’occhio Forzon finché questi non avesse raggiunto la sua destinazione; ma una volta arrivato, sarebbe rimasto solo con se stesso, in una società totalmente estranea, e con una taglia sul suo capo.
Con sua grande sorpresa si avvide che ciò non lo preoccupava. Si rodeva solo per la stupidità con la quale si era lasciato manovrare, impegnandosi a risolvere il problema del Kurr. Certo, questo era il suo compito; ma aveva cercato di ignorarlo, basandosi sull’assunzione ragionevole che la responsabilità di un funzionario della Sovrintendenza Culturale è limitata agli argomenti che riguardano la cultura. L’ERI la pensava diversamente. Dopo quattro secoli di competentissime balordaggini, l’Ente era pronto ad aggrapparsi ai fuscelli più strampalati e, per il momento, il fuscello era rappresentato dall’Intendente di settore SC, Jef Forzon.
Bisognava convertire Kurr alla democrazia senza visibile ingerenza estranea, e molto presto, prima che le macchinazioni di Rastadt prendessero forma e che il Comando Supremo intervenisse a imporre il ritiro della Squadra B. Questo era il compito di Forzon. Lo aveva accettato, si era impegnato.
«Approntate i piani» gli aveva detto Leblanc alla partenza, «e appena saremo riorganizzati, ci metteremo all’opera.»
L’unica cosa di cui Forzon veramente s’intendesse era di cultura. Ma come si poteva incitare un popolo alla rivolta su questioni di cultura? La pittura? Un governatore che aveva posto una tassa sui quadri era stato subito spedito in una moncopoli. La musica? Ovviamente i Kurriani erano un popolo intensamente musicale. Erano appassionati di musica, cantavano magnificamente, fornivano esecutori splendidi, ma… la rivoluzione è un’altra cosa.