I lavoratori dei metalli fabbricarono delle trombe per sé, per i loro vicini, per chiunque ne volesse una, e presto vi fu una cinquantina di trombettieri entusiasti. Nel villaggio l’aria vibrava di suoni laceranti, e la domanda di trombe per imparare a suonare superava di gran lunga la rapidità degli operai a fabbricare strumenti. Questa pura cacofonia echeggiò dalle colline sino alla casa dell’agente del re, che fece una delle sue rare visite al villaggio per rendersi conto di ciò che stava accadendo. La sua sorpresa iniziale si mutò prima in avversione quando vide in qual numero gli abitanti del villaggio abbandonavano il lavoro produttivo per suonare la tromba, poi in rabbia quando capì che la preziosa scorta di metallo, fin qui adoperato nella fabbricazione di oggetti utili e artistici destinati ad arricchire il re e il suo agente, era sprecata nella fabbricazione di trombe. Forzon fiutando guai s’informò, allarmato, e gli anziani lo assicurarono che il villaggio aveva pieno diritto di usare il metallo come meglio credeva.
Cominciò a far progetti per formare una banda di trombettieri. La musica-concertante era estranea ai costumi locali; il giorno in cui la Sovrintendenza Culturale sarebbe arrivata in Kurr, la grande tradizione della musica kurriana avrebbe ormai subito tali modifiche da renderla irriconoscibile; ma bisognava farlo.
Trascorse quasi un mese prima che la scomparsa di Ann Cory provocasse un’ondata di agitazione nel villaggio. Data la stretta osservanza della regola di non interferenza, passarono molti giorni prima che qualcuno s’insospettisse per la sua assenza. L’alloggio fu ispezionato, esaminati gli abiti in dotazione, che però non aveva mai indossato. Si fecero prudenti inchieste per sapere dov’era stata vista per l’ultima volta, e i governatori dovettero a malincuore concludere che l’ultima ospite femminile era da considerarsi dispersa.
L’intero villaggio uscì a esplorare le campagne adiacenti. Come disse poi un anziano a Forzon, la maggior parte dei monchi riusciva a trovare accettabile la vita nelle moncopoli. Col tempo vi si sentivano anche felici. Ma talvolta accadeva che la mutilazione di un arto causasse a una persona debole un trauma tanto profondo da non vedere altra via d’uscita che la morte. Era tuttavia possibile che le fosse capitato un incidente.
Forzon partecipò diligentemente alle ricerche e quando, dopo molti giorni, non si trovò alcuna traccia della donna, i governatori tornarono alle loro sedute e la vita del villaggio riprese come prima. Con le trombe.
Per innumerevoli generazioni, le arti, nel paese di Kurr, erano state monopoli familiari. Solo il figlio di un pittore poteva imparare la pittura. Solo il figlio di un musicista poteva studiare musica. Forzon non si era reso conto fino allora della privazione che questa tradizione imponeva a un popolo dotato di facoltà artistiche e musicali. L’avidità con la quale la gente si mise a suonare la tromba lo sbigottì.
Era uno strumento nuovo, che non possedeva tradizioni familiari. Chiunque lo poteva suonare! Bastava trovare un maestro, e Tor, grande musicista, desiderava gli allievi. L’intero villaggio rispose all’appello. Il lavoro venne trascurato. I fabbri ottonieri fabbricarono solo trombe.
Quando giunse il giorno della caricazione, il quantitativo di manufatti era così basso che molti carri dovettero ripartire vuoti. L’agente del re tenne una conferenza burrascosa ai governatori del villaggio, tutte persone rette che rimasero ostinatamente sulle loro posizioni a difendere i diritti tradizionali di indipendenza degli abitanti delle moncopoli. Ma l’incidente diede molto da pensare a Forzon.
«Non vogliamo causare il malumore dell’agente del re» egli disse a Tor. «Soltanto i migliori musicisti si dovranno occupare di musica nel tempo precedentemente dedicato al lavoro. Gli altri continueranno a svolgere le loro mansioni abituali e potranno suonare quando avranno terminato il loro lavoro.»
«L’agente del re non ha il diritto di interferire, ma è inutile irritarlo per niente» convenne Tor. «Farò in modo che solo i migliori musicisti si dedichino alla musica.»
«I tuoi musicisti migliori stanno raggiungendo un livello notevole di bravura. Che cosa conti di farne?»
«Continueranno a suonare, che altro si può fare con dei musicisti?»
«I musicisti sono al mondo per essere uditi» disse Forzon. «Quando i tuoi trombettieri avranno raggiunto una sufficiente abilità e confidenza, dovresti portarli a Kurra.»
Tor alzò la mano inorridito e protestò: «Non oseremmo!»
«Non c’è legge che lo proibisca» disse Forzon con dolcezza. «Non c’è legge che ci costringa a vivere in una moncopoli. Noi siamo qui perché non possiamo stare altrove. Per i trombettieri sarebbe diverso. Tutti quelli che amano la musica li accoglierebbero con gioia, e tutta la gente di questo paese ama la musica.»
«Nessuno li ascolterebbe!»
«Nessuno potrà fare a meno di ascoltarli. Quando si suona per la gente, la gente ascolta. Questa meravigliosa musica che hai creato non dovrebbe rimanere sepolta in uno di questi villaggi senza che nessuno la senta mai. Tu devi andare a Kurra.»
«Non oseremmo.»
«Non puoi perdere due volte la mano sinistra» insistette Forzon.
«No. Non oseremmo.»
Forzon non si faceva illusioni sugli eventuali pericoli che aspettavano in Kurra i trombettieri. Re Rovva, se s’imbatteva in essi in un momento di cattivo umore, era capacissimo di introdurre una innovazione: chi aveva già perduto un braccio poteva facilmente perdere anche la testa. Nondimeno, se lo scopo era quello di metter fine all’infamia del taglio del braccio, bisognava correre qualche rischio. Avrebbe parlato un’altra volta con Tor.
La maggior parte dei musicisti principianti tornò alle proprie usuali occupazioni. L’agente del re non era tuttavia soddisfatto. Cominciò a curiosare per tutto il villaggio e non ci mise molto a individuare il responsabile del flagello costituito dalla musica delle trombe. Non parlò affatto con Forzon; ma Forzon lo incontrò così spesso che capì di essere sorvegliato.
Capì che la curiosità dell’agente era stata richiamata dal fatto che egli non lavorava. Molti altri monchi rimanevano inattivi; ma se ne stavano in disparte e non ostentavano la loro pigrizia laddove poteva corrompere i colleghi industriosi. Come fannullone, Forzon non solo era vistoso, ma entusiasta. Gli piaceva guardare gli altri lavorare, li interrompeva con delle domande, deviava le loro energie su compiti di sua idea, raramente profittevoli per l’agente del re.
Ovviamente l’agente considerava che egli avesse un influsso corruttore, che bisognava tenere d’occhio. Forzon, seduto al suo tavolo, immerso nei suoi pensieri, aveva spesso l’impressione che l’agente guardasse dentro casa sua dalla finestra. Oppure, mentre bighellonava per la strada, rapito dalla musica dei trombettieri di Tor (Tor aveva creato una struttura armonica che Forzon riteneva unica), si trovava improvvisamente alle spalle l’agente, che lo guardava con espressione di minaccioso rimprovero. Forzon poteva solo sperare di non essere sospettato d’altro che di esercitare una pessima influenza, e dopo alcuni giorni trovò un rimedio facile: andò a lavorare. Diventò aiuto carpentiere. L’agente del re lo notò e se ne andò soddisfatto.
Alla sera, quando Tor sedeva davanti al suo alloggio, massaggiandosi l’imboccatura stanca, Forzon gli diceva: «La musica esiste per essere udita.» E Tor rispondeva: «Non oseremmo!»
Forzon perdette il posto dopo tre giorni. Stava ammirando rapito la grana splendida di un tavolo che stavano costruendo, quando, distratto non ritirò in tempo la mano, e si prese un colpo di scalpello. Il taglio era superficiale, ma il carpentiere fu molto scosso. In una moncopoli nessuno voleva rendersi responsabile di una ferita a una mano. Per alcuni giorni Forzon sopportò la noia di una fasciatura, e quando la ferita fu rimarginata, il carpentiere, inspiegabilmente, non trovò un lavoro da dargli. Se ne andò più giù nella stessa strada, presso i suoi amici che lavoravano i metalli. Ma avevano ormai soddisfatto le domande e non fabbricavano più trombe. Speravano che Forzon inventasse qualche altra cosa da poter fabbricare. Egli li guardava lavorare, li aiutava quando avevano bisogno di un’altra mano, e si teneva sempre in serbo alcuni lavoretti minuti con i quali poteva sembrare occupato quando l’agente del re faceva capolino.