Ogni sera parlava con Tor.
«La musica esiste per essere udita.»
«Non oseremmo!»
Era la mezza mattina. I fabbri avevano appena dato l’ultimo tocco a un servizio di ciotole, e Forzon lo portò sullo scaffale del magazzino, poi uscì in strada a godersi pochi minuti di musica distensiva e meravigliarsi della ferrea resistenza dei trombettieri di Tor. Provavano da più di due ore. Era una nuova composizione; Tor aveva scoperto la fanfara, e se ne serviva in maniera affascinante. Le note squillavano, briose nell’aria fresca dell’autunno.
Forzon non nutriva più alcun timore per la tradizione musicale del paese. Invece di distruggerla, la tromba le aveva dato una nuova dimensione. I suonatori di torril avrebbero indubbiamente sdegnato gli strumenti a fiato, Tor ne era certo, eppure la nuova musica che Tor creava in un sistema musicale diverso, per uno strumento diverso, era unicamente e squisitamente kurriana.
Nasceva una nuova tradizione musicale, la tradizione dei trombettieri monchi. Tor aveva già inviato alcuni dei suoi trombettieri nelle altre moncopoli per iniziare i loro abitanti all’arte della tromba. Ciò quadrava con i piani di Forzon; ma, per quanto egli insistesse con Tor sul fatto che se il suonare la tromba poteva essere il monopolio dei monchi, l’ascoltare la tromba doveva essere a disposizione di tutti, non faceva progressi.
La musica cessò bruscamente. Forzon scese per la strada e si diresse in piazza. L’agente del re stava parlando quietamente con i governatori. Vicino a loro, in minaccioso assetto, si trovava una compagnia di soldati del re. La conferenza s’interruppe quasi subito, i governatori si separarono e cominciarono a girare per il villaggio chiedendo a tutti i residenti di venire in piazza.
«Che cosa vuole?» chiese Forzon a uno di essi.
«Parlarci» rispose l’anziano con indifferenza.
«A causa della produttività del lavoro? Sa bene che la prossima volta i carichi saranno completi.»
«Non ha detto di che cosa intende parlare.»
I residenti del villaggio si riunirono lentamente. Forzon, con i nervi tesi per l’apprensione, trovò incredibile la loro indifferenza. Erano stati chiamati, ed essi andavano; ma non prima di aver riposto con calma i lavori in corso. Il re aveva già inflitto il peggio a costoro, e qui, nel villaggio dei sepolti vivi, pensavano di essere fuori portata da ulteriori sue malefatte.
L’agente, in piedi su un carro osservava aggrondato e con impazienza la folla crescente, e sudava in abbondanza sotto il sole cocente. Finalmente si tolse la giacca. Forzon sudava, ma non osava togliersela.
I governatori annunciarono infine che tutto il villaggio era adunato.
«Al plenilunio del terzo mese addietro» gridò l’agente «una donna arrivò in questo villaggio. Arrivò e sparì. Nessuno di voi sa niente di lei, o dove sia andata?»
La folla rimase muta.
«Abbiamo esaminato i registri reali» continuò l’agente «e abbiamo scoperto che nessuna donna ha meritato quel castigo sin dal secondo mese dopo l’ultimo raccolto. A nessuna donna è stata inflitta la perdita di una mano, nessuna donna è stata inviata in questo villaggio, eppure una donna è venuta qui. Siete invitati a parlare, se sapete qualcosa di lei.»
Tacque e frugò con lo sguardo nella folla. La mente di Forzon si era bloccata su una parola sola.
Registri.
La Squadra B non sapeva che il re tenesse dei registri.
«Benissimo» continuò l’agente. «Abbiamo esaminato i registri reali e quelli di tutte le moncopoli e abbiamo scoperto che uno di questi villaggi ospita un uomo che non aveva meritato il castigo. Se egli è qui, gli ordino di farsi avanti.» Di nuovo indagò fra la gente. «Benissimo» rispose. «Tutti quelli che sono arrivati qui fra un raccolto e l’altro, si facciano avanti.»
Rimanere indietro sarebbe stato fatale. Forzon si lasciò sballottolare in avanti con gli altri, e i soldati del re li circondarono.
«Perquisiteli!» ordinò l’agente.
Forzon non ebbe il tempo di reagire, tutto accadde con estrema rapidità: la giacca strappata di dosso, l’esclamazione di sorpresa del soldato quando il falso moncherino venne via con la manica, Forzon rapidamente denudato sino alla cintola, e il braccio nascosto che veniva rivelato.
L’agente saltò giù dal carro e andò verso di lui. Guardò Forzon, gli passò la mano sulla testa rasata, lo guardò ancora con attenzione, poi frugò nella sua giacca e tirò fuori un ritratto. Paragonò il profilo di Forzon con la copia dipinta della sua fotografia d’identità e grugnì soddisfatto.
«Accidenti!» esclamò. «Dunque vuoi vivere in una moncopoli?»
Gettò indietro la testa e rise come un pazzo. L’avidità gli brillava negli occhi. Indubbiamente la ricompensa offerta per la cattura dell’Intendente Jef Forzon doveva essere notevole. «Vuoi vivere in una moncopoli» disse nuovamente. «Ti garantisco che il re esaudirà il tuo desiderio, dopo che avrà discusso con te un paio di cose.»
Forzon fu issato sul carro. La gente già sfollava la piazza; ma egli riuscì a incontrare lo sguardo di uno dei governatori, mentre il carro già cominciava a muoversi, e gli gridò: «Di’ a Tor che la musica esiste per essere udita».
Pochi minuti dopo, il villaggio era già lontano alle loro spalle e il carro sobbalzava per il rozzo sentiero che portava fuori della valle. Al disopra del suo irregolare cigolio, Forzon credette di distinguere l’eco di una musica. Si guardò indietro e vide, sulla piazza del villaggio, i riflessi del sole sulle molte file di trombe alzate.
I musicisti avevano ripreso le prove.
CAPITOLO XII
Andarono solo fino alla guarnigione reale, dove una specie di tenda fu eretta in quattro e quattr’otto sopra il carro. Forzon era seduto all’interno, con le mani e i piedi legati, così com’era legata Ann Cory quando egli l’aveva salvata, e pensò che questa volta avrebbe imparato la pazienza. Il tempo passava, il carro rimaneva immobile, e la tenda divenne presto soffocante per il caldo. L’agente del re e il comandante della guarnigione si erano portati in disparte ed erano impegnati in una violenta, interminabile discussione.
Finalmente il carro si mosse, e il suo scricchiolio coprì le loro voci. Molto più tardi, quando una sosta permise a Forzon di riposare, si accorse che entrambi camminavano dietro il carro, con la scorta, sporchi di polvere, muti come sassi.
«Allegri!» disse loro. «Forse la ricompensa basterà per due.»
Lo fulminarono con lo sguardo.
Chiese loro di lasciare aperto un battente di tela, per la ventilazione; ma sdegnosamente richiusero l’allacciatura della tenda, e il carro proseguì il suo cammino, scricchiolando e, sobbalzando nel pomeriggio già avanzato. La notte portò freschezza e un guizzo di luce proveniente dalla torcia del soldato che camminava davanti all’esg. Forzon si lasciò cadere all’indietro, sulle dure assi del carro, e cercò di riposare. Sapeva che la strada accidentata e l’incessante fracasso delle ruote rendevano il sonno impossibile. Al primo mattino giunsero alla successiva guarnigione, dove lo slegarono per un momento e gli diedero da mangiare.
Venne l’alba e con essa la sferza del sole implacabile, e gli fu rifiutata nuovamente la minima ventilazione. «Ma perché?» chiese Forzon. Non risposero.