Rastadt era stato già portato via. Una mano ferma guidò Forzon nell’oscurità, gli fece evitare i corpi inerti delle guardie svenute. Attraversarono la vasta piazza e raggiunsero quelli che portavano Rastadt di peso nel momento in cui arrivavano alle case fiancheggianti il lato opposto della piazza.
Una porta si aprì e si richiuse silenziosamente dietro di loro. Qualcuno spinse Forzon in una camera illuminata e gli diede una manata sulla schiena. La voce era quella di Joe Sornel. Il viso privo di bellezza dell’ex mescitore era irriconoscibile; ma qualsiasi viso che corrispondesse a quella voce sarebbe parso ammirevole a Forzon.
«Ce l’abbiamo fatta» esultava Joe.
«Quell’arma usata da Ultman è un aggeggio utile» osservò Forzon.
Joe assentì. «Pistola paralizzatrice. Non fa piacere usarla, ma in caso di emergenza…»
«Non potete neppure immaginare che razza d’emergenza era questa!»
«Scommettiamo?» disse Joe con truce allegria. «Ma che diavolo è successo? Noi vi credevamo laggiù a godervi una bella e sicura vacanza, poi improvvisamente Hance ci piomba addosso dicendo che il re vi ha acciuffato.»
Forzon si lasciò cadere su una poltrona e accettò un boccale di cril che qualcuno gli aveva spinto nella mano. Quando ebbe ripreso fiato, e anche terminato il boccale, descrisse lo scompiglio suscitato dalla scomparsa di Ann.
Joe alzò le braccia con gesto stanco. «Le donne! Era previsto dovesse rimanere con voi, aiutarvi a elaborare il vostro piano. Invece ritorna qui al galoppo e dice che non avete alcun piano, che non ci pensate neanche e che desiderate soltanto passeggiare nei prati e odorare i fiorellini. Porca miseria! Ma non importa. Abbiamo preso Rastadt.»
«Dov’è?» chiese Forzon guardandosi intorno.
«L’hanno fatto uscire dal tunnel. È in pessime condizioni, e poiché dev’essere portato a braccia, abbiamo pensato di sfollarlo un po’ più lontano, prima che i ruff vengano in visita. Il resto del gruppo può darsela a gambe, in caso di bisogno.»
«E Leblanc? È qui?»
«È andato con Rastadt. Ehi! bisogna far qualcosa per le sue mani. Ha perso sangue a quella maniera per tutta la strada? Lon, il sovrintendente ha lasciato dietro di sé una pista di sangue.»
Lon uscì correndo per andare a vedere. Joe spalmò un linimento rinfrescante sulle mani di Forzon, le fasciò, poi si sedette sorridendo e chiese:
«E che cosa c’è sotto la faccenda delle trombe?»
«Ann non vi ha detto niente?»
«Neanche una parola. Non sapevamo nulla fino a questo pomeriggio, quando una schiera di monchi ha fatto irruzione nella piazza del mercato. Hanno messo in fuga tutti quando sono arrivati. Tutti sono scappati; ma poi sono tornati di corsa quando hanno cominciato a suonare. Sono piovute monetine per venti minuti di fila dopo il primo pezzo. Qual è il vostro asso nella manica?»
Forzon si guardò le fasciature, pensoso: «Le mie braccia» disse. «Due. Complete delle loro appendici, cosa di cui mi sento molto grato.»
«Preferite metterla così, eh? Noi eravamo troppo occupati a preparare la vostra evasione per pensare ai trombettieri; ma, come ho detto a Paul nel momento in cui essi cominciarono a suonare, se occorrevano le trombe, per dare una democrazia al Kurr, non mi meraviglio che l’ERI non abbia fatto progressi in questo paese. Ci sarebbero voluti quattromila anni, prima che qualcuno dell’ERI pensasse alle trombe. Trovato nulla, Lon?»
«No» rispose l’altro agente ERI. «Non deve aver perso molto sangue. Ma ho visto delle torce in arrivo. Si spargono in ogni direzione, visiteranno ogni casa.»
Joe grugnì con disprezzo. «Non hanno aspettato il mattino. Prendete il boccale, signor Sovrintendente. Lon non vuole rimangano tracce di visite qui dentro. Lo potrete abbandonare nella galleria. Buona fortuna, Lon. Ci rivediamo domattina… forse.»
Spinse Forzon verso il tunnel.
Seguirono un percorso complicato che gli ricordava l’itinerario di quella sera in cui il pianeta pareva bruciato. Forzon uscendo dalla quinta galleria consecutiva disse con meraviglia:
«Hanno trasportato di peso il coordinatore attraverso tutti questi tunnel?»
«Erano in molti» disse Joe. «Vi sono anche delle scorciatoie, ma non si saranno arrischiati a usarle, col coordinatore. I ruff stanotte faranno fuoco e fiamme. Anche voi dovrete evitare di uscire per strada finché le vostre mani non siano guarite.»
«E che mi crescano i capelli…» suggerì Forzon.
Joe rise. «Per quello basterà una parrucca, e avrete ampia scelta fra un centinaio di pettinature.»
Leblanc li stava aspettando al luogo d’incontro, un altro sottoscantinato con entrata nascosta. Il comandante della Squadra B non era più il vecchio gentiluomo di campagna. I suoi capelli erano più folti e più scuri, indossava l’abito del contadino comune e il suo viso aveva acquistato miracolosamente l’opportuna rudezza. Distrattamente, strinse la mano fasciata di Forzon, pronunciò, sorpreso, una scusa, e la esaminò preoccupato. Disse: «Mi fa piacere rivedervi, signor Sovrintendente. Abbiamo fatto un grave errore di calcolo. Per fortuna non è andata peggio.»
«Come sta il coordinatore?» chiese Forzon.
«Male. Molto male, fisicamente e moralmente.» Sospirò. «Queste cose purtroppo accadono. So che in questo caso non è colpa mia, ma non posso fare a meno di pensare alla facilità con cui tutto ciò si sarebbe potuto evitare. Ha chiesto di voi, vuole vedervi. Non sarà un incontro piacevole. Ve la sentite?»
Forzon annuì.
Leblanc aprì una porta e la tenne spalancata mentre Forzon si dirigeva verso il pagliericcio dove riposava il coordinatore. Per molti minuti Rastadt non si accorse della sua presenza. Alla fine si voltò e incontrò lo sguardo di Forzon. «Grazie» disse, e scoppiò a piangere.
Leblanc trasse indietro Forzon silenziosamente. Si sedettero nella stanza attigua. Leblanc gli versò una ciotola di vino e annunciò laconicamente. «Abbiamo commesso un errore terribile.»
«In che senso?» chiese Forzon.
«Rastadt è stato prigioniero fino da quella notte in cui voi due siete scesi in Kurr.»
«Volete dire che… l’imboscata sulla costa…»
Leblanc fece segno di sì. «Fu catturato e portato a Kurra di nascosto, e da quel momento è sempre stato prigioniero. L’hanno torturato. In modo orribile.»
«Ma voi avete ricevuto dei messaggi da lui dopo…» Forzon si alzò di botto rovesciando la ciotola di vino: «Wheeler!»
«Sì. Wheeler, maledetto quel verme schifoso. È stato lui a farvi imparare una lingua sbagliata, a far indossare a entrambi il costume larnoriano, a scegliere il punto di discesa dove era meno probabile che gli agenti della Squadra B vi trovassero. È stato lui a informare gli uomini del re del vostro arrivo. Credendovi entrambi prigionieri, ha preso il comando della base, firmando i messaggi col nome di Rastadt. Quando seppe che eravate salvo, tentò di distruggere tutta la Squadra B per coprire il suo tradimento.»
«Capisco.»
«Rastadt era solamente un uomo già senile, che si era lasciato sfuggire di mano il comando. Wheeler era il suo vice da anni. Era un buon vice: fin troppo! È stato lui a creare la reputazione di Rastadt, e Rastadt si fidava di lui ciecamente. Suppongo… Be’, non so. Penso gli scottasse molto fare il lavoro di un altro che poi se ne attribuiva il merito. Ma ciò non basta a spiegare questo.» Scosse il capo. «È stato Wheeler a intromettersi nelle faccende della Squadra B, a nome di Rastadt, e il coordinatore non ne ha saputo un bel niente. Ignorava quasi tutto del Kurr e sapeva pochissimo del Larnor, e Wheeler lo manovrava come voleva. Ha manovrato anche voi, naturalmente.»
«Wheeler deve aver corrotto un bel numero di impiegati della base.»
«Temo proprio di sì.»