Leblanc se ne andò appena ebbe finito di mangiare e, quando fu uscito, Joe disse con un risolino: «Ann ha la coscienza sporca. Per giunta, Paul gliene ha dette quattro perché vi aveva piantato in asso laggiù. Stando agli ordini ricevuti, avrebbe dovuto rimanere con voi. In tal modo non vi sarebbe stato il censimento delle moncopoli e voi eravate al sicuro per un tempo indeterminato. La fuga della ragazza poteva costarvi un braccio o peggio. Questo ce l’ha sulla coscienza. Inoltre, Paul l’ha dispensata dal servizio attivo e l’ha messa ai lavori di cucina.»
«È un’agente troppo in gamba per occuparsi di cucina.»
«Certo, ma anche un buon agente deve ubbidire agli ordini, altrimenti dove andiamo a finire. Tuttavia, se volete farvela amica, datele un altro incarico. Il capo qui siete voi.»
«Non saprei che cosa farle fare» disse Forzon. «Ma ditele che per questa sera ha vacanza e che vada a vedere lo spettacolo. Ci andranno tutti.»
Joe sorrise e andò a fare l’ambasciata. Tornò indietro accigliato. «Ah! le donne! Ringrazia, ma dice di no. Ha già sentito le trombe. A meno che voi glielo ordiniate…»
Forzon scosse la testa. «Voi andate al festival?»
«No. Paul non vuole che rimaniate solo per nessun motivo. Sono di guardia io. Comunque, le trombe le ho già sentite anch’io.»
Forzon rimase ad attendere con Joe, sperando ancora di salvare qualcosa dal naufragio. Ma quelli che c’erano andati tornarono dal festival dopo mezzanotte dicendo che gli uomini di Tor avevano bloccato lo spettacolo: erano in testa al programma e quando il pubblico aveva rifiutato di lasciarli andare, dopo il loro numero, erano rimasti a suonare per il resto della serata.
«A Kurra nessuno parla d’altro che di trombe» disse Leblanc. «Non ho mai visto tale agitazione. Una delle porte cittadine rimarrà senza guardie questa notte. Devono essere usciti senza permesso per sentire la musica. Che cosa facciamo?»
«Nulla» disse Forzon. «Ve l’ho detto. La cosa non ha funzionato. Voi… avete un piano?»
«Io?» disse Leblanc sbigottito.
«E allora tocca proprio a me» disse rassegnato Forzon. «E non sappiamo neppure lontanamente quanto tempo abbiamo a disposizione. Ci dormirò sopra e domattina faremo una assemblea per vedere se gli altri hanno qualche idea.»
Ci dormì sopra fin tardi. Verso mezzogiorno Leblanc piombò nella sua stanza. In meno di un secondo Forzon si era svegliato e cercava l’uscita di sicurezza nella parete. Leblanc lo trattenne.
«Siete un mago!» disse col fiato mozzo o quasi.
«Che c’è adesso?» chiese Forzon.
«Il re ha partorito un editto proprio in questo momento: niente più musica di trombe. Tutti i trombettieri hanno l’ordine di tornare alle moncopoli. Orrendi castighi toccheranno a chi suona la tromba in pubblico e a chi l’ascolta. Era questo che volevate, non è vero?»
Forzon annuì. «Ma come diavolo… ma perché il re…? Se ieri sera ha onorato il festival della sua presenza?»
Leblanc alzò le braccia perplesso. «E qual è la prossima mossa?»
«Mandate un messaggio a Tor» disse Forzon. «Porgetegli i saluti del Datore delle Trombe. Fategli dire di scendere nelle strade di Kurra con i suoi uomini e di portarli al castello per porgere al re una supplica.»
L’architettura di un edificio presentava di solito una sottile differenza, agli occhi di Forzon, dopo che vi era stato dentro; ma il poderoso castello di pietra di Kurra rimaneva poderoso castello e basta. In effetti esso consisteva di un certo numero di edifici tutti collegati fra di loro, e mentre Forzon, di qua della piazza, lo esaminava attentamente, scoprì improvvisamente ciò che nell’architettura kurriana l’aveva turbato sin dall’inizio.
Era un’arte immobile. Il concetto architettonico della gente del Kurr era statico.
L’evoluzione dell’architettura kurriana derivata dalla curva degli alberi era passata ai muri curvi di legno delle case di campagna, poi si era rigidamente standardizzata in una tecnica severa che ripeteva nelle costruzioni di pietra le stesse svasature esterne dei muri di legno. In un castello, i muri sporgenti erano utili ai fini della difesa ma non era una buona ragione per costruire sullo stesso modello tutte le case del Kurr.
La situazione politica del paese era stabile da secoli, la popolazione era stabile, la tecnologia era arrivata a un punto morto. L’abilità degli artigiani era tale da rendere queste case praticamente indistruttibili. Duravano all’infinito. Perciò si costruiva poco e le scarse abitazioni nuove erano servili imitazioni delle precedenti, con sovrabbondanza di elaborati ornamenti.
Il guaio, nell’architettura del Kurr, era l’assenza di architetti. Non c’era lavoro per loro.
«Vedete qualcosa laggiù?» chiese Leblanc.
«No» rispose Forzon continuando a guardare il castello. «Ho solo fatto una scoperta sull’architettura kurriana. Non esistono architetti, solo costruttori.»
Si voltò e vide che tutti avevano gli occhi fissi su di lui e lo guardavano perplessi. «Come fate a pensare all’architettura in un momento come questo?» chiese Leblanc.
«Come fare a guardare un edificio senza pensare alla sua architettura?» rispose Forzon.
La piazza era già gremita di gente. Fatto incredibile: almeno un quarto della folla era costituito da donne e correva voce in Kurra che molte di esse avevano assistito la sera prima al festival travestite da uomo. Le trombe di Forzon stavano scatenando un tipo di rivoluzione che Forzon non aveva contemplato.
I bambini sbirciavano la folla da tutte le posizioni, molti erano affacciati alle finestre, altri formavano gruppi sui tetti. I tetti erano il dominio personale dei bambini di Kurra: facevano capriole e scivolavano sui tetti curvi, e le case, tutte legate l’una all’altra, permettevano loro di spostarsi da un punto all’altro della città su un terreno di giochi totalmente invisibile dalle strade sottostanti. Per fortuna non vi erano bambini sulla piazza. Quando una forza irresistibile si scontra con un oggetto immobile, vittime ce ne sono sempre, e Forzon si augurava che non fossero i bambini.
La notizia che il re aveva messo al bando i trombettieri e che questi si avviavano al castello, era volata attraverso Kurra come un vento improvviso e violento, che dapprima aveva spinto la popolazione a cercare riparo, poi l’aveva riportata nelle strade per parlare dell’accaduto. Gli agenti della Squadra B avevano fatto la loro parte nello spargere la voce, ma erano in pochi e non potevano essere stati loro a causare quell’istantanea marcia verso la piazza del castello.
L’unica ragione per cui tutta Kurra non si era addensata su quella piazza era la dimensione della piazza stessa. Le strade che vi sfociavano erano nere di gente fino al punto dove Forzon poteva giungere con lo sguardo. Tutti tentavano invano di spingersi sulla piazza.
La folla era insolitamente silenziosa. Studiandola con occhio critico dall’alto di una finestra, Forzon si sentiva come il chimico dilettante che ha mescolato a caso diversi elementi e vi ha attaccato una miccia. Ora la miccia bruciava, ma una volta arrivata in fondo, egli non aveva idea di ciò che sarebbe successo, forse un’esplosione, o forse solo una sbuffatina.
Sapeva troppo poco di quella gente. Aveva creduto di comprenderla ma la comprensione era inutile senza la conoscenza. La Squadra B possedeva la conoscenza, ma non ne capiva nulla. Insieme avrebbero potuto riuscire se avessero avuto il tempo.
Leblanc disse piano: «L’unica volta in cui ricordo di aver visto una folla comportarsi a questo modo, era su un altro pianeta, durante i funerali di un eroe nazionale. Che stiano realmente piangendo la morte della musica trombettistica?»
«Sono curiosi» disse Ann.
«Ma perché sono così silenziosi?» chiese Leblanc.
«Così sbigottiti, vuoi dire» disse Ann. «Quando mai qualcuno, a Kurra, ha presentato una supplica al re? Io dico che sono sbigottiti, però sono anche curiosi.»