Comunque, da quanto Joe poteva giudicare coi suoi occhi acuti, i due dadi erano appoggiati alla sponda e perfettamente in piano. E soprattutto, tutti i presenti sembravano accettare quel lancio, la ragazza dei dadi li aveva raccolti e i Grossi Funghi che avevano accettato la puntata dell’uomo in nero stavano pagando il dovuto. Per quanto poi riguardava la regola del rimbalzo, be’, il Boneyard sembrava dare un’interpretazione leggermente diversa da quella regola e Joe accettava sempre senza obiezioni il Regolamento della Casa; infatti, sua Madre e sua Moglie gli avevano dimostrato che era il metodo più semplice per stare alla larga dei guai.
E del resto, non aveva puntato personalmente contro quel lancio.
A quel punto, sentenziando con una voce simile al vento che ulula sul Cypress Hollow o su Marte, il Grande Giocatore annuncio: — Punto un centone. — Diecimila dollari, la puntata più alta di quella sera, e da come lo disse il Grande Giocatore sembrò una cosa ancora più grandiosa. Sul Boneyard scese il silenzio, i jazzisti misero la sordina alle cornette, i croupier cominciarono a fare i loro annunci in toni smorzati, le carte cadevano sui tavoli con dolcezza e perfino le palline delle roulette sembrava che cercassero di fare meno rumore mentre cadevano nelle loro cellette. La folla attorno al Tavolo Numero Uno aumentò il proprio silenzio. Il Grande Giocatore era circondato da due anfiteatri dei suoi aggregati di entrambi i sessi che gli assicuravano libertà di movimento.
La puntata del centone, si rese conto Joe, superava la sua pila di almeno tremila dollari e tre o quattro dei Grossi Funghi cominciarono a scambiarsi segnali prima di mettersi d’accordo su come coprire la puntata.
Il Grande Giocatore lanciò un altro sette naturale esattamente con la stessa tecnica del lancio piatto che si concludeva con un brusco arresto.
Puntò un altro centone e uscì la stessa combinazione.
E poi ancora.
E ancora.
Joe cominciava a sentirsi sempre più coinvolto e anche piuttosto indignato. Gli sembrava ingiusto che il Grande Giocatore dovesse continuare a vincere somme incredibili con quei lanci così meccanici e privi di romantica fantasia. Non si poteva neppure parlare di far rotolare i dadi, perché non roteavano mai di uno iota né in aria né sul tappeto. Era il tipo di cosa che ci si poteva aspettare da un robot, anzi da un robot programmato in modo molto rozzo. Joe, che fino a quel momento non aveva ancora azzardato una fiche, prima o poi, se le cose avessero continuato così, sapeva che avrebbe finito col farlo. Due dei Grossi Funghi si erano già dichiarati battuti e si erano ritirati, fradici di sudore, dal tavolo, senza che nessuno ne prendesse il posto.
Fra poco sarebbe arrivata una puntata che i Grossi Funghi superstiti non sarebbero stati in grado di coprire completamente tra di loro e allora anche lui avrebbe dovuto arrischiare qualcuna delle sue fiches o ritirarsi dal gioco, ma quest’ultima cosa non avrebbe potuto farla, con la forza che gli invadeva la mano destra come una saetta di fuoco.
Joe aspettò a lungo per vedere se qualche giocatore criticasse i lanci del Grande Giocatore, ma nessuno lo fece, e si rese conto che, nonostante i suoi sforzi per apparire imperturbabile, la sua faccia stava lentamente imporporandosi.
Mentre la ragazza si chinava per raccogliere i dadi, il Grande Giocatore la bloccò sollevando leggermente la mano sinistra, mentre i suoi occhi, simili a profonde pozze nere, fissavano Joe che si costrinse a sostenere quello sguardo senza deflettere. E poi, mentre si chiedeva perché non riuscisse a cogliere il minimo bagliore in essi, provò improvvisamente un terribile sospetto.
Con la più grande civiltà e in tono estremamente amabile, il Grande Giocatore sussurrò: — Credo che quel bravissimo acrobata di fronte a me nutra dubbi sulla validità del mio ultimo lancio, anche se è troppo gentiluomo per commentare. Lottie, il test della carta.
La ragazza dei dadi, esile fantasma d’avorio, prese una carta da gioco di sotto il tavolo e, facendo balenare velenosamente i suoi bianchi dentini, la fece volteggiare al di sopra del tavolo in direzione di Joe. Questi la prese e la esaminò un attimo. Era la più sottile, lucida e rigida e lucente carta da gioco che Joe avesse mai visto: un jolly, se pur questo voleva dire qualcosa. Joe la rifece volteggiare pigramente in mano alla ragazza e questa la fece scivolare con estrema delicatezza lungo la sponda contro la quale si trovavano i due dadi, attirata in basso dal suo stesso peso. La carta si arrestò nel minuscolo incavo che i loro spigoli arrotondati formavano contro il nero feltro. La ragazza la spostò delicatamente, senza forzare, per dimostrare che in ogni punto non c’era spazio tra i dadi e l’estremità del tavolo. — Soddisfatto? — chiese il Grande Giocatore, Joe annuì con riluttanza, mentre il Grande Giocatore si inchinava. La ragazza atteggiò le sottili labbra a un sorriso ironico e si raddrizzò puntando i pomellini di ceramica dei seni contro Joe.
Con indifferenza, quasi con un atteggiamento di noia, il Grande Giocatore riprese a puntare altri centoni e a ottenere sette naturali. I Grossi Funghi cedettero rapidamente e a uno a uno si allontanarono dal tavolo. Un Boleto velenoso dal volto particolarmente congestionato ricevette un rifornimento di denaro da un commesso arrivato di corsa, ma tutto fu inutile e gli servì solo a perdere altri centoni. Intanto le torri di fiches chiare e scure accanto al Grande Giocatore diventavano autentici grattacieli.
Joe, sempre più furioso e spaventato, osservava come un falco o un satellite spia i dadi accoccolati contro la parete di fondo, senza riuscire a trovare un motivo valido per chiedere un’altra dimostrazione della carta, né si azzardava a criticare il Regolamento della Casa a quel punto del gioco. Era esasperante, anzi lo faceva addirittura ammattire, sapere che se solo fosse riuscito a riprendere ancora una volta i dadi sarebbe riuscito a fargli compiere acrobazie attorno a quel nero pilastro di distaccata aristocrazia. Si insultò in mille modi per quello stupido impulso suicida e sbruffonesco che l’aveva spinto a mollare i dadi quando li aveva ancora in mano.
Per peggiorare le cose, il Grande Giocatore aveva cominciato a fissarlo con occhi che sembravano miniere di carbone. A quel punto fece tre lanci di seguito senza neppure guardare i dadi né la parete opposta, o almeno così parve a Joe. Tutta la faccenda stava diventando più terribile della Moglie o della Madre di Joe… che lo fissavano sempre, in continuazione.
Ma la fissità di quegli occhi che non erano occhi gli infiltrava soprattutto una sensazione di terrore. Così un terrore soprannaturale andò ad aggiungersi alla certezza della mortale pericolosità del Grande Giocatore. Con chi era andato a mettersi a giocare quella sera? continuava a chiedersi Joe. Curiosità e timore lo attanagliavano, una curiosità terrificante, forte quanto il suo desiderio di afferrare i dadi e vincere. I capelli gli si drizzarono sulla testa e sentì di avere la pelle d’oca in tutto il corpo, anche se la forza continuava ancora a pulsare nella sua mano come una locomotiva frenata o un razzo sul punto di staccarsi dalla rampa di lancio.
Nello stesso tempo il Grande Giocatore rimaneva all’altezza della sua immagine… un’immagine di raffinata eleganza in nero, dalla giacca di satin al cappello floscio, gentiluomo cordiale, mortale. Anzi, il lato peggiore della situazione in cui si trovava Joe era che, dopo aver ammirato per tutta notte lo spirito sportivo del Grande Giocatore, doveva ora ridimensionarlo dopo quei lanci meccanici e cercare di sorprenderlo su qualche dettaglio tecnico.
I Grossi Funghi continuavano a cadere senza sosta; i posti vuoti si erano ormai fatti più numerosi dei Boleti e alla fine, di questi ultimi ne rimasero solo tre.
Il Boneyard si era ammutolito come Cypress Hollow o la Luna. Niente più musica, né risatine allegre né stropiccio di piedi, né gridolini di ragazze infreddolite né tintinnio di bicchieri o di monete. Tutti sembravano essersi raccolti al gran completo attorno al Tavolo Numero Uno.