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— C’era una giovane Alata, con lui. Sapete niente di lei?

— Niente. Sarà morta, suppongo.

— E la città?

— Caduta. Gli invasori sono dovunque.

— Massacri?

— No. Neanche saccheggi — disse il Classificatore. — Sono molto cortesi. Ci hanno “preso in possesso”.

— Soltanto a Roum, o dappertutto?

L’uomo si strinse nelle spalle, e cominciò a dondolarsi ritmicamente avanti e indietro. Lo lasciai e mi inoltrai ancor più nel palazzo. Con mia grande sorpresa, l’appartamento reale era aperto. Entrai e, preso da riverenza per la ricchezza sontuosa dell’arredamento, passai da una stanza all’altra, finché arrivai al letto reale, cui faceva da coltrice la carne di una gigantesca bivalve proveniente da una stella lontana; mentre la conchiglia si dischiudeva per me, sfiorai la superficie infinitamente soffice sulla quale il Principe di Roum era solito giacere, e ricordai che anche Avluela era stata lì. Se fossi stato più giovane, sarei scoppiato in pianto.

Lasciai il palazzo e attraversai lentamente la piazza per iniziare il mio viaggio verso Perris.

Mentre mi allontanavo, intravidi per la prima volta i conquistatori. Un velivolo di forma straniera atterrò al centro della piazza, e ne uscì una decina di persone. Non erano molto diversi dagli uomini: erano alti e vigorosi, larghi di spalle come Gormon, e soltanto la lunghezza esagerata delle braccia rivelava subito la loro origine. La loro pelle era piuttosto strana e, se fossi stato più vicino, avrei probabilmente notato occhi, labbra e narici di forma non umana. Senza curarsi di me, attraversarono la piazza camminando con un’andatura dinoccolata e zoppicante, che mi ricordava irresistibilmente quella di Gormon, ed entrarono nel palazzo. Non sembravano conquistatori.

Turisti, piuttosto. La maestà di Roum esercitava una volta ancora il suo fascino sugli stranieri.

Lasciando i nuovi padroni ai loro svaghi, mi diressi verso la periferia della città. Nella mia anima si era fatto inverno: non sapevo perché. Forse soffrivo per la caduta di Roum? O per la perdita di Avluela? Oppure sentivo la mancanza delle tre Vigilanze che non avevo compiuto, come un tossicomane cui sia stata sottratta la droga?

Era tutto questo insieme di cose che mi dava pena, ma soprattutto l’ultima.

Le strade erano deserte. Probabilmente la paura degli invasori teneva i cittadini tappati in casa. Di quando in quando vedevo passare qualche velivolo straniero, ma nessuno mi molestò. Nel tardo pomeriggio arrivai alla porta occidentale della città. Era aperta e lasciava intravedere il pendio dolce di una collina, ricoperta di alberi dal fogliame verdissimo. Uscii, e, poco più in là, vidi la figura di un Pellegrino che si allontanava lentamente dalla città, strascicando i piedi.

Non ebbi difficoltà a raggiungerlo.

La sua andatura, incerta e irregolare, mi stupì, perché neanche le spesse vesti scure riuscivano a nascondere il vigore e la giovinezza del suo corpo; si teneva eretto, le spalle quadre sul busto dritto e forte; eppure, il passo era incerto ed esitante come quello di un vecchio. Quando gli fui accanto e sbirciai sotto il cappuccio, capii: assicurato alla maschera di bronzo che cela il volto di tutti i Pellegrini, c’era un riverberatore, come quelli portati dai ciechi per evitare gli ostacoli e i mille altri pericoli della strada. Solo allora l’uomo si accorse di me e disse: — Sono un Pellegrino cieco. Vi supplico di non molestarmi.

Ma non era la voce di un Pellegrino, quella. Aveva un tono aspro, forte e imperioso.

— Io non molesto nessuno — risposi. — Sono una Vedetta che ha perso il suo lavoro, la notte scorsa.

— Molta gente ha perso il proprio lavoro, la notte scorsa.

— Certamente nessun Pellegrino.

— No — rispose l’altro. — Nessun Pellegrino.

— Dove siete diretto?

— Mi allontano da Roum.

— Nessuna particolare destinazione?

— No, nessuna. Girerò per il mondo.

— Forse dovremmo girare insieme — dissi io, pensando che porta fortuna viaggiare con un Pellegrino, e che, d’altra parte, senza la mia Alata e il mio Diverso, avrei dovuto proseguire solo. — Io vado a Perris. Volete venirci anche voi?

— Là o altrove, che importa? — disse lui, amaramente. — Sì, andiamo insieme a Perris. Ma che cosa va a fare, là, una Vedetta?

— Una Vedetta non ha più niente da fare in nessun luogo. Vado a Perris per offrirmi ai Ricordatori.

— Capisco — disse lui. — Anch’io appartenevo a quella Corporazione, ma era solo un titolo onorario.

— Ora che la Terra è caduta, voglio sapere di più sui suoi splendori passati.

— Allora, tutta la Terra è caduta, e non solo Roum?

— Credo di sì.

— Capisco — disse il Pellegrino. — Capisco.

Cadde in silenzio, e proseguimmo. Gli offrii il braccio, e lui smise di strascicare i piedi e proseguì con l’andatura elastica e vivace di un giovane. Di tanto in tanto, si lasciava sfuggire un sospiro. O un singhiozzo soffocato? Quando gli feci qualche domanda sul suo Pellegrinaggio, rispose evasivamente o non rispose affatto. A un’ora di cammino da Roum, disse improvvisamente: — Questa maschera mi fa male. Volete aiutarmi a sistemarla?

E, con mia grande sorpresa, se la tolse. Io rimasi di pietra, perché un Pellegrino non può mai mostrare la sua faccia. Si era forse scordato che non ero cieco anch’io?

Mentre la maschera scivolava lentamente, disse ancora: — Non gradirete questa vista.

La griglia di bronzo si abbassò piano e vidi dapprima la fronte, poi due occhi accecati di fresco: due occhiaie vuote, orbate non dal bisturi di un chirurgo, ma forse da due lunghe dita rabbiose; poi un naso regale e, infine, le labbra pallide e tese del Principe di Roum.

— Maestà! — esclamai.

Rivoletti di sangue coagulato solcavano le sue guance e, attorno alle orbite vuote, vi erano tracce di unguento. Lui certo non provava dolore, perché il farmaco l’aveva calmato, ma la pena che ne uscì e che trafisse il mio cuore era acuta, reale.

— Non chiamatemi maestà — disse il Pellegrino. — Aiutatemi a sistemare la maschera. — Le sue mani tremavano, mentre me la porgeva. — Bisogna allargarla, perché mi stringe crudelmente le guance. Ecco… qui.

Mi affrettai ad accontentarlo, per non dover sopportare la vista di quel volto rovinato.

Si rimise la maschera. — Ora sono un Pellegrino — disse piano. — Roum non ha più Principe. Traditemi se volete, Vedetta; oppure accompagnatemi a Perris; e se mai riavrò il potere sarete bene ricompensato.

— Non sono un traditore — gli dissi.

In silenzio, riprendemmo il cammino. Impossibile intavolare un discorso con un personaggio simile: non sarebbe stato allegro, il mio viaggio a Perris. Ma, ormai, ero moralmente impegnato a fargli da guida. Pensai che Gormon aveva mantenuto la parola nei minimi particolari. Pensai ad Avluela e fui sul punto, cento volte, di chiedere al Principe notizie su quanto era accaduto alla sua sposa, all’Alata, nella notte della sconfitta. Ma non domandai nulla.

Il tramonto si avvicinava, ma il sole era ancora di un bel rosso oro, davanti a noi, a ovest. D’un tratto, mi fermai bruscamente, e dalla gola mi uscì un grido strozzato, mentre un’ombra passava sopra la nostra testa.

Alta sopra di noi, spaziava Avluela; la pelle brillava dorata nella luce del tramonto, le ali, gioiosamente spiegate, splendevano tingendosi; dei vari colori dello spettro. Era già a un’altezza di almeno cento uomini, e continuava a innalzarsi. Ai suoi occhi, dovevo sembrare soltanto un puntolino tra gli alberi.

— Cosa c’è? — domandò il Principe. — Che cosa vedete?

— Niente.

— Ditemi che cosa vedete!

Non potevo ingannarlo. — Vedo un’Alata, Maestà. Una fragile fanciulla, molto in alto.

— Allora, è già scesa la notte.