Выбрать главу

Il Principe pareva quasi euforico. Ma ciò che adesso gli riempiva le orbite era un ben misero sostituto di ciò che Gormon gli aveva strappato e presto se ne accorse anche lui. Quella notte, mentre dormivamo sui giacigli ammuffiti dell’Ostello dei Pellegrini, il Principe pianse con muti accenti di furia: alla mutevole luce della luna vera e delle due false vidi le sue braccia levarsi, le sue dita piegarsi, le unghie colpire un nemico immaginario, e colpire ancora e ancora.

10

Era la fine dell’estate quando finalmente raggiungemmo Perris. Entrammo nella città da sud, percorrendo un’ampia e robusta strada maestra, costeggiata da alberi antichi, sotto una pioggerella sottile. Raffiche di vento spingevano foglie rinsecchite sui nostri passi. La notte di terrore che ci aveva visti fuggire da Roum conquistata sembrava ormai quasi solo più un sogno: una primavera e un’estate di cammino ci avevano invigoriti, e le grigie torri di Perris parevano offrire la promessa di un nuovo inizio. Ma pensavo che fosse solo un inganno che noi dicevamo a noi stessi, perché cosa poteva riservare il mondo a un Principe sconfitto che vedeva solo ombre, e a una Vedetta che da lungo tempo aveva oltrepassato i suoi giusti anni?

Perris era una città più buia di Roum. Anche in pieno inverno, Roum aveva cieli sereni e chiari raggi di sole. Perris pareva eternamente rannuvolata, e sia i palazzi sia l’ambiente erano cupi. Anche le mura della città erano grigio cenere e non possedevano alcuna lucentezza. La porta della città era spalancata. Accanto le girellava un uomo basso, imbronciato, vestito con gli abiti della Corporazione delle Sentinelle; l’uomo non accennò neppure il gesto di fermarci mentre ci avvicinavamo. Lo guardai con espressione interrogativa. Lui scosse la testa.

— Entrate, Vedetta.

— Senza nessun controllo?

— Non l’avete saputo? Tutte le città sono state dichiarate aperte sei notti fa. Ordine degli invasori. Ora le porte della città non si chiudono mai. E metà delle Sentinelle non ha più lavoro.

— Credevo che gli invasori stessero ancora cercando i loro nemici — dissi. — La ex nobiltà.

— Hanno punti di controllo da qualche altra parte. E non impiegano noi Sentinelle. La città è aperta. Entrate, entrate.

Mentre gli obbedivamo, dissi: — Ma allora, perché siete qui?

— Per quarant’anni è stato il mio posto di guardia — rispose la Sentinella. — Dove potrei andare?

Feci il cenno che gli diceva come anch’io condividessi le sue pene e con il Principe entrai in Perris.

— Per cinque volte sono entrato in Perris dalla porta meridionale — disse il Principe. — Sempre sul mio carro e preceduto dai miei Diversi che traevano musica dalla gola. Ci inoltravamo verso il fiume, oltre gli edifici antichi e i monumenti, fino al palazzo del Conte di Perris. E la notte si danzava su zattere gravitazionali alte nel cielo sopra la città, e c’erano balletti di Alate, mentre la Torre di Perris programmava un’aurora per noi. E il vino, il rosso vino di Perris, le donne con insolenti vestiti, i seni dalle punte rosate, e le dolci cosce! Navigavamo nel vino, Vedetta. — Fece un cenno vago. — È quella la Torre di Perris?

— Credo siano le rovine della macchina climatica della città — risposi.

— Una macchina climatica sarebbe una colonna verticale. Ciò che invece vedo è una torre che s’innalza da un’ampia base a un vertice sottile, come la Torre di Perris.

— Ciò che vedo io — dissi con gentilezza — è una colonna verticale, alta almeno quanto trenta uomini, e che termina con una grossa frattura. La Torre non sarebbe così vicina alla porta meridionale, no?

— No — disse il Principe, e mormorò un’oscenità. — Allora è la macchina climatica. Questi occhi che Bordo mi ha venduto non vedono poi così bene, vero? Inganno me stesso, Vedetta. Inganno me stesso. Cerca una cuffia pensante e vedi se il Conte è fuggito.

Osservai ancora per un istante la colonna monca della macchina climatica, quella fantastica costruzione che aveva causato tanti dolori al mondo durante il Secondo Ciclo. Tentai di penetrare i suoi fianchi sottili di marmo lucido, per vedere le spire intestine di quel misterioso congegno che era stato capace di affondare interi continenti, e che tanto tempo prima aveva trasformato la mia patria occidentale da una regione montuosa a un arcipelago. Poi mi voltai, m’infilai una cuffia pubblica e chiesi del Conte; ricevuta la risposta che mi aspettavo, domandai gli indirizzi dei luoghi che avrebbero potuto darci alloggio. Il Principe disse: — Allora?

— Il Conte di Perris è stato ucciso con tutti i suoi figli, durante la conquista. La sua dinastia è estinta, il titolo abolito, il palazzo è stato trasformato dagli invasori in museo. Il resto della nobiltà perrisiana è morto oppure è fuggito. Vi troverò un posto all’Ostello dei Pellegrini.

— No. Mi porterai con te dai Ricordatori.

— È la Corporazione cui vorreste aggregarvi?

Fece un gesto d’impazienza. — No, sciocco! Ma come posso starmene solo in una città straniera, ora che tutti i miei amici sono scomparsi? Cosa direi ai veri Pellegrini dell’Ostello? Rimarrò con te. I Ricordatori non allontaneranno un Pellegrino cieco.

Non mi lasciò scelta. E mi accompagnò al Collegio dei Ricordatori.

Dovemmo attraversare mezza città, e ci volle quasi tutta la giornata. Perris mi sembrò completamente disorganizzata. La venuta degli invasori aveva sconvolto le nostre strutture sociali, sollevando dai loro incarichi una grande massa di persone, a volte intere Corporazioni. Vidi decine di confratelli Vedette per le strade; alcuni si portavano ancora dietro il loro carrello di strumenti, altri, come me, liberatisi di quel fardello, parevano non sapere più come occupare le proprie mani. I miei confratelli apparivano tetri e apatici; molti di loro avevano gli occhi istupiditi dalle gozzoviglie, ora che ogni restrizione era caduta. E c’erano anche Sentinelle, abbattute e prive d’ogni scopo poiché non avevano più nulla da custodire, e Difensori, intimoriti e inebetiti per la repentina fine di ogni difesa. Non vidi nessun Padrone e nessun Dominatore, naturalmente, ma molti Scribi, Musici, Clown disoccupati, che se ne andavano alla deriva con altri funzionali di corte. C’erano orde di neutri inespressivi; il loro corpo quasi privo di mente era crollato di colpo per la nuova inattività. Soltanto Venditori e Sonnambuli parevano condurre i propri affari come sempre.

Gli invasori erano parecchi e facevano spicco. Li si incontrava a gruppetti di due o tre a passeggio in ogni strada, creature dalle lunghe membra, con mani che oscillavano fin quasi alle ginocchia; avevano palpebre spesse, narici nascoste nelle mascherine filtranti, labbra piene che, quando non le tenevano dischiuse, si chiudevano quasi senza lasciare traccia. Quasi tutti vestivano abiti identici, di un verde ricco e scuro: forse era l’uniforme delle truppe d’occupazione; pochi portavano armi di tipo bizzarramente primitivo, grossi arnesi pesanti assicurati dietro la schiena ma che probabilmente servivano più per ostentazione che per difesa. In generale parevano tranquilli, camminando fra di noi… conquistatori cortesia, fieri e sicuri di sé, che non temevano offesa dalla popolazione sconfitta. Eppure il fatto che non passeggiassero mai soli dimostrava l’interiore cautela. Non riuscivo a odiare la loro presenza, neppure per l’implicita arroganza delle occhiate possessive che rivolgevano agli antichi monumenti di Perris; invece il Principe di Roum, ai cui occhi non erano che strisce verticali di un grigio più scuro su un campo grigio chiaro, avvertiva istintivamente la loro prossimità e reagiva traendo respiri bruschi, ostili.