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— Vi porto la sciarpa di Basil.

— Venite. Seguitemi.

Era emerso da un impercettibile punto della parete dove un blocco mobile ruotava su cardini. Ora lo fece ruotare di nuovo e scese rapidamente per un passaggio. Lo avvertii che il mio compagno era cieco e che non poteva tenere il suo passo, e il Ricordatore Elegro si arrestò, con visibile impazienza.

La sua bocca sdegnosa si contrasse; affondò le tozze dita negli spessi riccioli neri della barba. Quando lo raggiungemmo, procedette con passo meno spedito. Attraversammo un’infinità di passaggi e ci trovammo infine nell’abitazione di Elegro, da qualche parte della torre, molto in alto.

La camera era tetra, ma riccamente arredata con schermi, cuffie, attrezzature da scrittura, scatole parlanti e altri sussidi degli studiosi. Le pareti erano ricoperte da un tessuto nero porpora, che evidentemente doveva essere vivo, poiché le sue pieghe ai margini s’increspavano con ritmiche pulsazioni. Tre globi vaganti davano un’illuminazione, discreta.

— La sciarpa — disse Elegro.

La estrassi dalla bisaccia. Mi ero divertito a indossarla per un po’ nei primi giorni di confusione dopo la conquista… in fin dei conti, era stato Basil a lasciarmela fra le mani quando era fuggito via per la strada, non io a trattenermela indebitamente, ma era chiaro che la perdita aveva avuto poca importanza per lui… quasi subito, però, l’avevo messa via, perché andare in giro vestito da Vedetta e con la sciarpa da Ricordatore generava solo altra confusione. Elegro la prese bruscamente fra le mani e la distese, osservandola come se vi cercasse i pidocchi.

— Come la avete avuta?

— Io e Basil ci incontrammo per strada nel momento stesso dell’invasione. Era molto agitato. Tentai di trattenerlo e lui fuggì, lasciandomi la sciarpa tra le dita.

— Basil l’ha raccontata in altro modo.

— Se con questo gli ho procurato dei fastidi, me ne dispiace — dissi.

— Comunque, ci avete restituito la sciarpa. Stanotte comunicherò la notizia a Roum. Vi aspettate una ricompensa per averla restituita?

— Sì.

Seccato, Elegro disse: — E quale sarebbe?

— Che mi venga concesso di entrare nei Ricordatori come apprendista.

Egli parve stupito. — Ma voi avete già una Corporazione!

— Oggigiorno essere una Vedetta è come essere senza Corporazione. Per cosa dovrei Vigilare? Ora sono libero dai miei voti.

— Forse. Ma siete vecchio per entrare in una nuova Corporazione.

— Non così vecchio.

— Il nostro lavoro è difficile.

— Ho intenzione di lavorare sodo. Desidero imparare. Con l’avanzare degli anni è nata in me la curiosità.

— Diventate allora un Pellegrino come questo vostro amico. Andate a vedere il mondo.

— Ho già visto il mondo. Ora vorrei entrare nei Ricordatori e conoscere il passato.

— Potete chiedere ogni informazione ai nostri banchi. Essi vi sono sempre aperti, Vedetta.

— Non è la stessa cosa. Iscrivetemi.

— Iscrivetevi come apprendista presso i Classificatori — suggerì Elegro. — Il loro lavoro è simile al nostro, ma non così esigente.

— Chiedo l’apprendistato qui.

Elegro sospirò stancamente. Giunse le mani, reclinò il capo e mosse le labbra in un rictus. Doveva essere una sua posa caratteristica. Mentre meditava, una porta interna si aprì e un Ricordatore di sesso femminile entrò nella camera, portando fra le mani, a coppa, una piccola sfera musicale di turchese. Fece quattro passi e poi si arrestò, sorpresa nel vedere che Elegro aveva visitatori.

Fece un cenno di scusa e disse: — Tornerò più tardi.

— Rimani — disse il Ricordatore. E rivolgendosi a me e al Principe: — Mia moglie. Il Ricordatore Olmayne. — A sua moglie spiegò: — Sono viaggiatori appena giunti da Roum. Ci hanno riportato la sciarpa di Basil. E ora la Vedetta richiede l’apprendistato nella nostra Corporazione. Cosa consigli?

La pallida fronte del Ricordatore Olmayne s’increspò. Depose la sfera musicale in uno scuro vaso di cristallo e così facendo la attivò senza volerlo; la sfera ci offrì una dozzina di note sfavillanti prima che lei la spegnesse. Poi si mise a contemplarci, e io feci lo stesso con lei. Era molto più giovane del marito, che era di mezz’età; sembrava avere superato da poco il primo fiore degli anni. Eppure dava un’impressione di forza che le accreditava una maturità maggiore. Forse, pensai, è già stata a Jorslem per rinnovare la giovinezza; ma in tal caso era strano che il marito non l’avesse imitata, a meno che non tenesse particolarmente al proprio aspetto maturo. Era una donna attraente, senza dubbio. Aveva viso largo, con fronte alta e zigomi pronunciati, un’ampia bocca sensuale, mento leggermente marcato. I suoi capelli erano di un nero luminoso che contrastava con lo strano pallore della pelle. Un’epidermide così bianca era piuttosto rara fra noi, anche se ora so che era più comune nei tempi antichi, quando il ceppo era diverso. Avluela, la mia piccola, amabile Alata, aveva la stessa combinazione di nero e bianco; ma la somiglianza terminava lì, poiché Avluela era tutta fragilità, mentre il Ricordatore Olmayne era forza personificata. Sotto il collo lungo e sottile il corpo fioriva nelle spalle robuste, nei seni fermi e nelle gambe salde. Il suo atteggiamento era regale.

La donna ci studiò a lungo, finché non riuscii più a incrociare lo sguardo diritto di quegli occhi scuri e spaziati. Alla fine disse: — La Vedetta ritiene di possedere le qualità per diventare uno di noi?

La domanda pareva rivolta al primo, nella camera, che si sentisse disposto a rispondere. Esitai; Elegro fece altrettanto; e infine fu il Principe di Roum che rispose con la sua voce usa al comando: — La Vedetta possiede le qualità per entrare nella vostra Corporazione.

— E voi, chi siete? — domandò Olmayne.

All’istante il Principe adottò un tono più conciliante. — Un povero Pellegrino cieco, mia signora, che è giunto fin qui a piedi da Roum, in compagnia di quest’uomo. E se posso erigermi a giudice di qualcosa, fareste bene ad ammettere questa Vedetta come apprendista.

Elegro disse: — E voi? Che progetti avete?

— Chiedo solamente riparo in questo luogo — disse il Principe. — Sono stanco del viaggio e devo approfondire molte meditazioni. Forse potreste permettermi di svolgere qualche piccolo compito tra voi. Non desidererei separarmi dal mio compagno.

Rivolta a me, Olmayne disse: — Conferiremo sul vostro caso. Se approveremo la vostra richiesta, potrete sostenere gli esami. Io sarò la vostra garante.

— Olmayne! — esclamò Elegro, chiaramente meravigliato.

Lei ci sorrise serenamente, a tutti.

Una disputa di famiglia pareva imminente; ma non ci fu, e i Ricordatori ci offrirono ospitalità, succhi di frutta, bevande più robuste, e alloggio per la notte. Cenammo separatamente, in un’altra camera della loro abitazione, mentre altri Ricordatori vennero chiamati a considerare la mia richiesta così irregolare. Il Principe pareva stranamente agitato; trangugiava il cibo senza masticarlo, rovesciò un fiasco di vino, maneggiò maldestramente le posate, e sempre si portò le dita ai grigi globi metallici, come per eliminare un prurito che gli rodesse i lobi del cervello.

Alla fine mi disse, con voce bassa, eccitata: — Descrivimela!

Obbedii, con ogni dettaglio, colorando e ombreggiando le mie parole in modo da tratteggiargli il disegno come più vividamente potevo.

— È bella, dici?

— Credo di sì. Sapete, alla mia età si deve lavorare su nozioni astratte; non sul flusso di ghiandole…

— La sua voce mi desta — disse il Principe. — Possiede forza. È come una regina. Deve essere bella; non sarebbe giusto che il suo corpo non si appaiasse alla voce.

— Ed è anche — dissi con tono grave — la moglie di un altro, e colei che ci ha offerto ospitalità.