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Poi venni istruito superficialmente sulle tecniche usate in situ. Per mezzo di un’accorta simulazione, mi furono mostrati Ricordatori al lavoro con sonde aspiranti, che scavavano nei tumuli delle grandi città scomparse di Afrik e Ais. Partecipai per interposta persona alla ricerca sottomarina dei resti delle civiltà dei Continenti Scomparsi; squadre di Ricordatori entravano in traslucidi veicoli a forma di lagrima, simili a gocce di gelatina verde, e si immergevano negli abissi dell’Oceano Terrestre, giù, giù, fino alle praterie incrostate di fango che un tempo erano terre emerse; e con folgoranti raggi di forza violacea scavavano fra rottami e fradiciume per scovare le verità sepolte. Osservai i cercatori di cocci, gli scavatori di ombre, i raccoglitori di film molecolari. Una delle migliori esperienze d’orientamento offertemi durante il corso fu una sequenza nella quale alcuni Ricordatori davvero eroici portavano alla luce una macchina climatica nell’Afrik meridionale, denudando dapprima la base di quella titanica costruzione e sollevandola poi tutt’intera con raggi d’energia; un’estrazione talmente colossale che la terra stessa parve gemere quando essa fu consumata. Fecero fluttuare alto nel cielo quel ponderoso relitto della follia del Secondo Ciclo, mentre gli esperti dalla sciarpa scivolavano giù, verso le sue antiche radici, per scoprire come fosse stata inizialmente eretta la colonna. I miei occhi martellavano a quello spettacolo.

Emersi da quelle sedute con una schiacciante reverenza verso la Corporazione che avevo scelto. I pochi Ricordatori che avevo incontrato mi avevano dato l’impressione di essere altezzosi, enfatici, sdegnosi, o anche solamente distaccati; non li avevo trovati affascinanti. Eppure l’intero è maggiore della somma delle sue parti, e compresi che uomini come Basil ed Elegro, così lontani, così distanti da ogni preoccupazione umana, così indifferenti, erano le parti di un colossale sforzo per riconquistare dalle mani dell’eternità il nostro fulgido passato. Questa ricerca dei tempi perduti era magnifica, e costituiva l’unico adeguato sostituto delle precedenti attività umane; avendo perduto il nostro presente e il nostro futuro, era necessario tendere ogni sforzo verso il passato, l’unica cosa che nessuno poteva rubarci se stavamo abbastanza attenti.

Per molti giorni assorbii i dettagli di questo sforzo, studiai ogni stadio del lavoro, a partire dalla raccolta dei granelli di polvere in situ, proseguendo con i trattamenti e le analisi di laboratorio, e giungendo fino all’impresa più alta: la sintesi e l’interpretazione, svolte da Ricordatori anziani al piano più alto dell’edificio. Mi fu concesso solo uno sguardo a quei saggi: secchi e incartapecoriti, vecchi abbastanza per potermi essere nonni, le teste candide chine in avanti, le labbra sottili che recitavano monotoni commenti e interpretazioni, cavilli e correzioni. Alcuni di loro, mi fu confidato con un sussurro, erano già stati rinnovati a Jorslem due e anche tre volte, e ormai si trovavano senza scampo nella loro ultima vecchiaia.

Dopo di che, ci furono mostrati i serbatoi memoria dove i Ricordatori immagazzinano ogni loro scoperta, e da dove vengono dispensate informazioni a beneficio dei curiosi.

Come Vedetta avevo sempre avuto ben poca curiosità, e ancor meno interesse, di visitare serbatoi memoria. Certo non avevo mai visto nulla di simile, poiché i serbatoi dei Ricordatori non erano semplici unità contenenti tre o cinque cervelli ciascuna, bensì mastodontiche installazioni con cento e più cervelli collegati in serie. La sala nella quale ci portarono — una delle decine sistemate nei basamenti dell’edificio, seppi poi — era una camera oblunga, profonda ma non alta, con custodie di cervelli, distribuite a file di nove, che sfumavano lontano nell’ombra. La prospettiva giocava curiosi scherzi; non capivo se c’erano dieci file o cinquanta, ma la vista di tutti quegli emisferi scoloriti era sconvolgente.

— Sono cervelli di passati Ricordatori? — domandai.

La guida rispose: — Alcuni sì. Ma non c’è bisogno di usare solo quelli dei Ricordatori. Un qualunque cervello umano va ugualmente bene; perfino quello di un Servitore possiede una capacità di memorizzazione sorprendente. Non ci servono doppi circuiti, per le nostre esigenze, e ciò ci permette di utilizzare tutta la potenzialità di ogni cervello.

Cercai di scrutare fra i pesanti blocchi lisci che proteggevano i serbatoi memoria da ogni pericolo.

— Che cos’è registrato in questa stanza? — chiesi.

— I nomi degli abitanti dell’Afrik durante il Secondo Ciclo e tutti i loro dati personali che siamo riusciti a recuperare finora. Inoltre, poiché queste celle non sono ancora state caricate del tutto, vi abbiamo immagazzinato per il momento certi particolari geografici dei Continenti Scomparsi, e le notizie che riguardano la creazione del Ponte di Terra.

— Queste informazioni possono essere facilmente trasformate da temporanee a permanenti? — domandai ancora.

— Sì, molto facilmente. Qui tutto è elettromagnetico. Le nostre informazioni sono aggregati di cariche; le trasferiamo da un cervello a un altro invertendo la polarità.

— E se ci fosse un guasto elettrico? — chiesi. — Avete detto che qui non avete doppi circuiti di memoria. Non c’è il pericolo di perdere informazioni per qualche incidente?

— Nessun pericolo — disse soavemente la guida. — Abbiamo una serie di impianti sostitutivi per assicurare un costante flusso di energia. E impiegando tessuti organici per le nostre celle di memoria, abbiamo la miglior garanzia di sicurezza: i cervelli stessi conserverebbero i dati nel caso di un’interruzione d’energia. In seguito sarebbe un po’ complicato ricatturare il loro contenuto, ma non impossibile.

— Durante l’invasione — dissi — si sono avute difficoltà?

— Noi siamo sotto la protezione degli invasori, che ritengono che il nostro lavoro sia vitale anche per i loro interessi.

Non molto tempo dopo, a una convocazione plenaria dei Ricordatori, anche noi apprendisti potemmo osservare da una balconata l’interno della sala corporativa: sotto di noi, in piena maestà, stavano i membri della Corporazione, sciarpe sulle spalle, e fra loro c’erano Elegro e Olmayne. Su una pedana che portava il simbolo elicoidale stava il Cancelliere dei Ricordatori, Kenishal, una figura austera e imperiosa, e accanto a lui c’era un personaggio ancor più notevole, appartenente alla specie che aveva conquistato la Terra. Kenishal disse poche parole. Il timbro risonante della sua voce non mascherava del tutto la vacuità delle parole stesse; come ogni amministratore, dovunque, proferì fiotti di banalità, lodando implicitamente se stesso nel congratulare la Corporazione per l’importante lavoro che svolgeva. Poi presentò l’invasore.

L’alieno tese in avanti le braccia finché non parvero toccare le pareti dell’auditorium.