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A volte pensavo alla mia vita precedente, ai miei viaggi per il mondo e ad Avluela, l’Alata, che ora, immaginavo, era la consorte di uno dei conquistatori. Chissà come si faceva chiamare il falso Diverso Gormon, adesso che aveva abbandonato il travestimento e si era fatto riconoscere per un abitante di H362? Forse Re della Terra Nove? Signore dell’Oceano Cinque? Superiore all’Uomo Tre? Immaginavo anche che, ovunque si trovasse, dovesse essere più che soddisfatto per il totale successo della conquista.

Verso la fine dell’inverno venni a conoscenza della tresca fra il Ricordatore Olmayne e il Principe Enric di Roum. Dapprima colsi i pettegolezzi che si sussurravano nei quartieri degli apprendisti; poi notai i sorrisi sul volto di altri Ricordatori quando Elegro e Olmayne erano presenti; infine, osservai il comportamento che il Principe e Olmayne tenevano fra di loro. Era ovvio. Quello sfiorarsi di mani, quel sussurrarsi battute maliziose e frasi segrete… che altro potevano significare?

Fra i Ricordatori il voto di matrimonio è considerato come un impegno solenne. Come fra gli Alati, il matrimonio dura per tutta la vita, e certo non si pensa che uno dei coniugi possa ingannare l’altro come faceva Olmayne. Quando poi il matrimonio è fra due Ricordatori — come di solito si verifica nella Corporazione, con qualche eccezione — l’unione è ancor più sacra.

Come si sarebbe vendicato Elegro, quando, prima o poi, ne sarebbe venuto a conoscenza?

Mi accadde di essere presente quando infine la situazione si cristallizzò in aperto conflitto. Era una sera di primavera appena iniziata. Avevo lavorato a lungo e faticosamente nei più profondi pozzi dei serbatoi memoria, portando alla luce informazioni di cui nessuno s’era più occupato da che esse erano state immagazzinate; ora camminavo nel lucore della notte perrisiana con la mente affollata di immagini confuse, per prendere un po’ di aria fresca. Passeggiai lungo la Senn e fui accostato dall’agente di una Sonnambula, che offrì di vendermi un’occhiata nel mondo dei sogni. Incappai in un Pellegrino solitario intento alle sue devozioni dinanzi a un tempiale di carne. Ammirai un paio di giovani Alati in volo, e mi sfuggì qualche lagrima di autocommiserazione. Fui fermato da un turista alieno che portava una maschera respiratoria e una tunica ingioiellata; accostò il rosso viso bucherellato al mio, ed esalò allucinazioni nelle mie narici. Infine feci ritorno al Collegio dei Ricordatori e mi diressi all’appartamento dei miei garanti per rendere loro omaggio prima di ritirarmi per la notte.

C’erano Olmayne ed Elegro. E c’era pure il Principe Enric. Olmayne mi fece entrare con il rapido gesto di un dito, ma, dopo quello, non mostrò di accorgersi della mia presenza, né lo mostrarono gli altri. Elegro stava misurando la stanza con passi furiosi, e pestava i piedi con tanta forza che i delicati tessuti viventi del tappeto arricciavano i petali avanti e indietro, gravemente turbati. — Un Pellegrino! — gridava Elegro. — Se fosse stato, che so, un qualche rifiuto di Venditore, sarebbe stato solo umiliante. Ma un Pellegrino! Diventa un fatto mostruoso!

Il Principe Enric era fermo a braccia incrociate, il corpo immobile. Era impossibile indovinare la sua espressione dietro la maschera da Pellegrino, ma pareva perfettamente calmo.

Elegro disse: — Neghereste di avere compromesso la santità della mia unione?

— Nulla nego. Nulla affermo.

— E tu? — domandò Elegro, volgendosi alla sua consorte. — Di’ la verità, Olmayne! Per una volta almeno, di’ la verità! Che dici delle storie che si raccontano su te e su questo Pellegrino?

— Non ho udito alcuna storia — disse dolcemente Olmayne.

— Dicono che lui divide il tuo letto! Che gustate pozioni comuni! Che insieme vi muovete verso l’estasi!

Il sorriso di Olmayne non vacillò. Il suo volto largo era tranquillo. Mi parve più bella che mai.

Elegro si tormentò con angoscia gli angoli della sciarpa. Il suo viso austero e barbuto si oscurò per la collera e l’esasperazione. La sua mano scivolò sotto la tunica e ne emerse con la sottile goccia lucente di una capsula visiva, la sporse in avanti sul palmo della mano, verso i due colpevoli.

— Perché sprecare fiato? — chiese. — È tutto qui. L’intera registrazione del flusso fotonico. Eravate sorvegliati. Credevate davvero di poter nascondere qualcosa, proprio qui, fra tutti i luoghi dell’universo? Tu, Olmayne, un Ricordatore, avresti dovuto pensarci.

Olmayne esaminò la capsula a distanza, come se si trattasse di una bomba a implosione innescata. Con disprezzo disse: — Era proprio degno di te, spiarci, Elegro. Ti ha dato piacere osservare la nostra gioia?

— Bestia! — gridò lui.

Intascando la capsula, avanzò verso l’immobile Principe. Il viso di Elegro era ora stravolto nell’indignazione del giusto. Arrestandosi a meno di un metro dal Principe dichiarò con voce di ghiaccio: — Verrete punito fino in fondo per questa empietà. Verrete spogliato dei vostri abiti di Pellegrino e sarete affidato al destino riservato ai mostri. La Volontà vi consumerà l’anima!

Il Principe Enric replicò: — Frena la tua lingua.

— Frenare la mia lingua? Ma chi credete di essere, per parlarmi a questo modo? Un Pellegrino che brama la moglie del suo ospite… che doppiamente infrange la santità… che dalle labbra gronda menzogne e ipocrisia allo stesso momento? — Elegro schiumava. Il suo tono gelido era scomparso. Ora smaniava con frenesia, quasi incoerentemente, tradendo la debolezza interiore con quella mancanza di controllo. Noi tre eravamo impietriti, sbalorditi da quel torrente di parole; infine il momento di stasi fu interrotto, quando il Ricordatore, trascinato dall’impeto stesso della sua indignazione, afferrò il Principe per le spalle e prese a scuoterlo con violenza.

— Oscena mondezza — ruggì il Principe — non alzare le mani su di me!

E con una spinta dei pugni contro il petto di Elegro, scagliò il Ricordatore a barcollare all’indietro per tutta la stanza. Elegro urtò contro uno scaffale sospeso e rovesciò una fila di manufatti liquidi; tre fiasche di fluidi scintillanti tremolarono e versarono il loro contenuto; il tappeto elevò un acuto strillo di addolorata protesta. Boccheggiante, stupito, Elegro si premette una mano al petto e ci fissò come per ricevere aiuto.

— Violenza fisica… — ansimò Elegro. — Un crimine vergognoso!

— Il primo a usare la violenza sei stato tu — ricordò Olmayne al marito.

Puntando le dita tremanti, Elegro mormorò: — Per il vostro atto non ci può essere clemenza, Pellegrino!

— Basta, con quel Pellegrino! — esclamò Enric. Le sue mani corsero alla griglia della maschera. Olmayne lanciò un grido per impedirglielo; ma nella sua ira il Principe non conosceva freno. Gettò la maschera sul pavimento e ristette, con il duro volto terribilmente esibito, gli scarni e crudeli lineamenti di falco, le grigie sfere meccaniche delle orbite, che mascheravano gli abissi della sua furia. — Sono il Principe di Roum! — annunciò con voce di tuono. — In ginocchio e umiliati! In ginocchio e umiliati! Svelto, Ricordatore, le tre prostrazioni e le cinque umiliazioni!

Elegro sembrò sgretolarsi. Scrutò incredulo il Principe; poi si chinò, e nella sua meraviglia compì istintivamente l’omaggio rituale dinanzi al seduttore di sua moglie. Era la prima volta dopo la caduta di Roum che il Principe dichiarava il proprio rango, e il piacere che gliene derivava era così evidente, sul suo volto devastato, che perfino le pupille lisce parvero sfolgorare di fierezza regale.