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Vittorioso Tredici parve perdere ogni interesse a me. Chiese a Governatore dell’Uomo Sette: — Perché quest’uomo è qui? Perché mi hai chiamato?

— Il Principe di Roum è a Perris — disse l’altro invasore.

Vittorioso Tredici si mostrò bruscamente sorpreso.

Governatore dell’Uomo Sette proseguì: — È prigioniero dei Ricordatori. Quest’uomo ci offre uno strano scambio. Tu conosci il Principe meglio di tutti noi; ti chiedo consiglio.

Il Procuratore tracciò brevemente la situazione. Colui che era stato Gormon ascoltò pensieroso, senza dire una sola parola. Infine, Governatore dell’Uomo Sette disse: — Il problema è questo: daremo amnistia a questo Dominatore proscritto?

— È cieco — disse Vittorioso Tredici. — Ogni suo potere è svanito. I suoi seguaci sono dispersi. Forse il suo spirito è sempre indomito, ma per noi non rappresenta più un pericolo. Consiglio di accettare lo scambio.

— Esentare un Dominatore dall’arresto presenta diversi rischi amministrativi — fece notare Governatore dell’Uomo Sette. — Comunque, anch’io sono d’accordo. Accettiamo lo scambio. — E a me: — Dacci la collocazione del documento che cerchiamo.

— Prima disponete la liberazione del Principe di Roum — replicai con calma.

Entrambi gli invasori si mostrarono divertiti. — Abbastanza giusto — disse Governatore dell’Uomo Sette. — Ma ascolta: come possiamo essere certi che manterrai la tua parola? Durante l’ora che ci servirà per liberare il Principe, potrebbe accaderti qualsiasi cosa.

— Un suggerimento — intervenne Vittorioso Tredici. — Non è tanto una questione di sfiducia quanto di calcolare i tempi. Tomis, perché non registrate la collocazione del documento su un cubo a ritardo di sei ore? Noi prepareremo il cubo in modo che ceda l’informazione solo se entro sei ore il Principe in persona, e nessun altro, gli ordinerà di farlo. Se non avremo trovato e liberato il Principe entro le sei ore, il cubo si distruggerà. E se noi libereremo il Principe, il cubo ci darà l’informazione anche se, tanto per fare un’ipotesi, vi dovesse capitare qualcosa in quell’intervallo.

— Considerate davvero ogni eventualità… — gli dissi.

— Allora, d’accordo? — chiese Governatore dell’Uomo Sette.

— D’accordo — dissi io.

Mi portarono un cubo e mi sistemarono sotto uno schermo protettivo mentre trascrivevo sulla lucida superficie il numero dello scaffale e la formula sequenziale per identificare il documento che avevo ritrovato. Passarono alcuni secondi; il cubo si rovesciò e l’informazione svanì nel suo nucleo opaco. Lo porsi agli invasori.

Fu così che consumai il tradimento verso la mia eredità di Terrestre offrendo i miei servigi ai conquistatori: tutto per essere fedele a un Principe accecato che rubava le mogli altrui.

15

Ormai l’alba era spuntata. Non accompagnai gli invasori al Collegio dei Ricordatori; non era affar mio controllare gli eventi complessi che stavano per avvenire; preferivo tenermene lontano. Cadeva una fine acquerugiola quando mi avviai per le strade grigie che costeggiavano la scura Senn. Il fiume immutabile, dalla superficie punteggiata di pioggia, scorreva indefatigabilmente contro gli antichi archi di pietra del Primo Ciclo: ponti che univano tra loro millenni innumerevoli, sopravvissuti di un’era nella quale gli unici problemi dell’umanità erano quelli che l’umanità si procurava da sola. Il mattino ingoiò la città. Per un riflesso antico, inestirpabile, cercai gli strumenti per compiere la Vigilanza, e dovetti ricordarmi con uno sforzo che ormai queste cose appartenevano al passato. Le Vedette si erano sciolte, il nemico era giunto, e il vecchio Wuellig, ora Tomis dei Ricordatori, si era venduto agli antichi nemici dell’umanità.

All’ombra di un edificio religioso con due campanili gemelli, ricordo degli antichi Cristani, mi lasciai attrarre nella baracca di una Sonnambula. Non ho mai avuto molti contatti con questa Corporazione. A modo mio diffido sempre dei ciarlatani, e ai nostri tempi i ciarlatani abbondano. I Sonnambuli, nello stato di trance, affermano di vedere ciò che fu, ciò che è, e ciò che sarà. Anch’io conosco la trance, perché, in quanto Vedetta, ero solito entrarci quattro volte al giorno, ma una Vedetta con un briciolo di orgoglio professionale finisce necessariamente col disprezzare la discutibile etica di coloro che usano la seconda vista per profitto, come fanno i Sonnambuli.

Tuttavia, da quando appartenevo ai Ricordatori avevo saputo, con sorpresa, che spesso si chiedeva l’aiuto dei Sonnambuli per scoprire qualche sito dei tempi antichi, e che sempre i Ricordatori ne erano rimasti soddisfatti. Benché rimanessi ancora scettico, volevo saperne qualcosa di più. E in quel momento mi occorreva un riparo dalla tempesta scoppiata al Collegio.

Una figura fragile e affettata, vestita di nero, mi accolse con un beffardo inchino quando entrai in quella bassa baracca.

— Sono Samit dei Sonnambuli — mi disse con voce alta e lamentosa. — Vi do il benvenuto e vi auguro buone nuove. Ecco la mia compagna, la Sonnambula Murta.

La Sonnambula Murta era una donna massiccia che indossava un abito come di pizzo. La carne del suo volto era pesante; aveva profonde occhiaie scure, e dal suo labbro superiore spuntava una discreta peluria. I Sonnambuli lavorano in coppia, uno agisce da imbonitore e l’altro si esibisce; molte coppie sono formate da marito e moglie, come questa. La mia mente si ribellò all’immagine di quella montagna di carne di Murta che abbracciava il mingherlino Samit, ma non erano fatti miei. Sedetti al posto che Samit mi indicava, Su un tavolo vicino notai alcune tavolette alimentari di diversi colori; avevo interrotto la colazione della famigliola. Murta, già profondamente immersa nella trance, si aggirava per la stanza con passi pesanti, rasentando di quando in quando alcuni mobili con gesto leggero. Si dice che certi Sonnambuli restino svegli solo per due o tre ore su venti, semplicemente per prendere i loro pasti e soddisfare le esigenze corporali; ce ne sono altri invece che chiaramente vivono in uno stato di trance perenne, e che vengono nutriti e assistiti da accoliti.

Ascoltai svogliatamente mentre Samit dei Sonnambuli mi somministrava le sue chiacchiere da imbonitore in rapidi, febbrili scoppiettii di frasi rituali. Erano fatte su misura per gli ignoranti; i Sonnambuli svolgono quasi tutto il loro lavoro con Servitori, Clown e altra gentucola. Alla fine, forse accorgendosi della mia impazienza, tagliò corto alla sua magnificazione delle doti della Sonnambula Murta e mi chiese cosa volessi sapere con precisione.

— Certo la Sonnambula lo saprà già — dissi.

— Desiderate un’analisi generale?

— Voglio conoscere il destino di coloro che mi circondano. Vorrei che la Sonnambula si concentrasse particolarmente sugli avvenimenti che si stanno verificando ora al Collegio dei Ricordatori.

Samit tamburellò con le unghie (non tanto corte) sul tavolo liscio e lanciò un’occhiata alla bovina Murta. — Sei in contatto con la verità? — le chiese.

La replica di lei fu un sospiro, prolungato e sottile, che pareva giungere dal cuore di quella tremolante massa di ciccia.

— Cosa vedi? — le chiese ancora.

La donna prese a bisbigliare fittamente. I Sonnambuli parlano in una lingua che nessun’altra persona dell’umanità conosce o usa; è uno strano insieme di suoni taglienti: alcuni dicono che discende dall’antica lingua dell’Agupt. Non saprei dire. Alle mie orecchie suonava incoerente, frammentaria; mi pareva impossibile che potesse avere un qualsiasi significato. Samit prestò orecchio per un poco, poi annuì soddisfatto e stese il palmo della mano verso di me.

— Ci sono molte cose — disse.

Discutemmo il prezzo, contrattando brevemente, e giungemmo a un accordo. — Avanti — gli dissi. — Interpretate la verità.