Выбрать главу

— Faremo il viaggio insieme?

La mia esitazione mi tradì. Ero arrivato a Perris in compagnia di un Principe cieco; mi piaceva ben poco l’idea di partire con una donna assassina e priva di Corporazione. Forse era tempo che viaggiassi da solo. Eppure la Sonnambula aveva detto che avrei avuto un compagno.

Olmayne disse con voce soave: — Non mi parete molto entusiasta. Ma forse posso darvi un po’ d’incoraggiamento… — Si aprì la tunica. Vidi fra i suoi bianchi seni una piccola borsa grigia: non intendeva tentarmi con la carne, ma con una ipertasca. — Qui — mi disse — c’è tutto quello che il Principe di Roum portava nella coscia. Mi aveva mostrato i suoi tesori, e io li ho tolti dal suo corpo dopo che fu ucciso nella mia stanza. Ci sono anche alcune cose mie: non sono quindi priva di mezzi. Viaggeremo comodamente. Cosa ne dite?

— Trovo difficile rifiutare.

— Fatevi trovare pronto fra due ore.

— Sono già pronto — le dissi.

— Allora aspettatemi.

Mi lasciò solo. Circa due ore dopo fu di ritorno, vestita degli abiti e della maschera di un Pellegrino. Sul braccio aveva un secondo abbigliamento completo da Pellegrino, e me lo tese. Certo: ora anch’io ero senza Corporazione, ed era un modo pericoloso di viaggiare. Dunque mi sarei recato anch’io come Pellegrino a Jorslem. Indossai quegli abiti poco familiari. Poi raccogliemmo i nostri averi.

— Ho avvertito la Corporazione dei Pellegrini — mi disse, quando ci fummo lasciati alle spalle il Collegio dei Ricordatori. — Siamo registrati a tutti gli effetti. Più tardi, in giornata, possiamo sperare di ricevere le nostre pietre di stella. Come vi va la maschera, Tomis?

— Stretta.

— Così deve essere.

17

Sulla via per uscire da Perris capitammo nella grande piazza antistante l’antico edificio sacro, grigio, della vecchia religione. Vi era raccolta una folla numerosa; vidi invasori al centro del gruppo. Diversi mendicanti orbitavano tutt’intorno con un considerevole profitto. Ci ignorarono, poiché nessuno chiede l’elemosina a un Pellegrino; ma afferrai uno di quei bricconi per il colletto e gli domandai: — Che cerimonia si sta svolgendo, qui?

— I funerali del Principe di Roum — rispose lui. — Per ordine del Procuratore. Funerali di stato in pompa magna. E ne stanno facendo una vera celebrazione.

— Ma perché tenere una cerimonia simile a Perris? — gli chiesi ancora. — Come è morto il Principe?

— Sentite, chiedetelo a qualcun altro. Io ho da lavorare.

Si divincolò e riprese a sgattaiolare tra la folla.

— Assistiamo al funerale? — domandai a Olmayne.

— Meglio di no.

— Come volete.

Ci dirigemmo al massiccio ponte di pietra che attraversa la Senn. Dietro di noi, si levò un brillante alone azzurro quando la pira del Principe venne accesa. Quella pira ci illuminò la strada nella notte, mentre ci inoltravamo lentamente verso est, verso Jorslem.

PARTE TERZA

La strada per Jorslem

18

Il nostro mondo, adesso, era il loro mondo. Viaggiando attraverso l’Eyrop potevo vedere che gli invasori avevano preso ogni cosa, e che noi appartenevamo a loro come le bestie di una stalla appartengono al contadino.

Erano ovunque, come erbacce di carne attecchite dopo uno strano temporale. Camminavano con fredda sicurezza, e i loro movimenti orgogliosi parevano dire che la volontà ci aveva tolto il suo favore e ne aveva fatto dono a loro. Non erano crudeli con noi, ma bastava la loro presenza a svuotarci di vitalità. Il nostro sole, le nostre lune, i nostri musei di antiche reliquie, le nostre rovine dei cicli precedenti, le nostre città, i nostri palazzi, il nostro domani, il nostro oggi e il nostro ieri erano passati in proprietà d’altri. Ora la nostra vita non aveva più significato.

Di notte lo splendore delle stelle si faceva beffe di noi. L’universo intero guardava da lassù la nostra vergogna.

Il freddo vento dell’inverno ci diceva che i nostri peccati ci erano costati la libertà. Il caldo soffio dell’estate ci diceva che il nostro orgoglio ci aveva fatti precipitare.

Era un mondo diverso quello in cui ci muovevamo, ed eravamo stati spogliati delle nostre vecchie personalità. Io, che ogni giorno avevo vagato tra le stelle, adesso avevo perso quel piacere. Ora, viaggiando verso Jorslem, trovavo un freddo conforto nella speranza di poter trovare, da Pellegrino, redenzione e rinnovamento nella città santa. Io e Olmayne ripetevamo ogni notte i rituali del Pellegrinaggio verso quella meta:

— Noi ci inchiniamo alla Volontà.

— Noi ci inchiniamo alla Volontà.

— In ogni cosa piccola e grande.

— In ogni cosa piccola e grande.

— E chiediamo perdono.

— E chiediamo perdono.

— Per i peccati commessi e per quelli futuri.

— Per i peccati commessi e per quelli futuri.

— E preghiamo per la comprensione e la pace.

— E preghiamo per la comprensione e la pace.

— In tutti i nostri giorni finché la redenzione verrà.

— In tutti i nostri giorni finché la redenzione verrà.

Queste erano le nostre parole. Nel pronunciarle, stringevamo quella fredda, polita sfera che era la pietra di stella, gelida come un fiordibrina, ed entravamo in comunione con la Volontà. E così ci avvicinavamo a Jorslem, in questo mondo che non apparteneva più all’uomo.

Fu all’imbocco talyano del Ponte di Terra che Olmayne, per la prima volta, si dimostrò crudele con me. Olmayne era crudele per natura, come mi aveva ampiamente dimostrato a Perris; eppure da molti mesi eravamo entrambi Pellegrini, avevamo lasciato Perris per dirigerci a est, avevamo oltrepassato le montagne e le pianure di Talya per giungere sino al Ponte, e lei non aveva sfoderato gli artigli. Fino a quel momento.

Accadde quando un gruppo di invasori, che dall’Afrik stava risalendo a nord, ci ordinò di fermarci. Erano all’incirca venti, alti e dal viso duro, fieri di essere padroni della Terra conquistata. Viaggiavano su uno di quei loro veicoli lunghi e stretti, chiusi da una splendente carrozzeria, con battistrada color della sabbia e minuscoli finestrini. Potevamo vedere il veicolo da molto lontano, per la nube di polvere che sollevava nell’avvicinarsi.

Era la stagione più calda dell’anno. Il cielo stesso era color della sabbia, percorso da densi grumi di calura: fulgide, terribili vampate d’energia ora turchesi, ora dorate.

Eravamo in cinquanta, fermi ai lati della strada; dietro avevamo la terra di Talya, e davanti il continente dell’Afrik. Il nostro era un gruppo eterogeneo: qualche Pellegrino, come Olmayne e me, diretto alla città santa di Jorslem; ma molti erano i vagabondi, uomini e donne che viaggiavano di continente in continente per mancanza di altri scopi. Distinsi fra gli altri cinque ex Vedette, e anche parecchi Classificatori, una Sentinella, un paio di Comunicatori, uno Scriba, e persino qualche Diverso. Ci eravamo raccolti in formazione sparsa, lasciando la strada agli invasori prima ancora che fossero arrivati.

Il Ponte di terra non è largo, e la strada non consente il passaggio contemporaneo di molte persone. Eppure, in tempi normali, il traffico scorreva sempre in entrambe le direzioni. Ma lì, in quel momento, non osavamo procedere, con gli invasori tanto vicini, e restavamo uniti per una sorta di timidezza, a scrutare i conquistatori che si appressavano.

Uno dei Diversi si staccò dai suoi simili e mosse verso di me. Per la sua razza era piccolo di statura, ma aveva spalle larghe; la sua pelle pareva tesa fino allo spasimo sulle ossa; gli occhi erano grandi, bordati di verde; i capelli crescevano in piccoli ciuffi a forma di piedistallo, molto distanziati tra loro; e il naso si scorgeva appena, tanto che le narici sembravano nascoste dal labbro superiore. Nonostante ciò, egli appariva molto meno grottesco di tanti altri Diversi. La sua espressione era solenne, ma una bizzarra sfumatura ironica trapelava da non so dove.