Выбрать главу

— A me non piace — dissi.

Il Mercante guardò Olmayne, e anch’io la guardai: quasi mi aspettavo di sentirla raccontare che avevo già fatto la mia parte di collaborazionismo con gli invasori. Ma Olmayne, fortunatamente, non sfiorò l’argomento, come non l’avrebbe sfiorato per molti mesi ancora, fino a quell’infelice giorno all’imbocco del Ponte di Terra; quando, resa impaziente dal caldo, non esitò a ricordarmi l’unica mia caduta dalla grazia.

A Marsay lasciammo il nostro benefattore, passammo la notte in un ostello per Pellegrini, e il mattino dopo ci rimettemmo in viaggio a piedi lungo la costa. E così traversammo, io e Olmayne, bellissime terre gremite di invasori; a tratti camminavamo, a tratti salivamo sul carro di qualche contadino, una volta fummo addirittura ospiti di uaa comitiva di conquistatori. Giunti in Talya evitammo Roum, dirigendoci subito a sud. E così arrivammo al Ponte di Terra, e lì ci fermarono, e conoscemmo l’agghiacciante momento dell’alterco, e poi potemmo proseguire su quella stretta lingua di terreno sabbioso che unisce l’uno all’altro i continenti bagnati dal lago. E così giungemmo in Afrik, infine.

Per la prima notte sull’altra sponda, dopo il cammino lungo e polveroso, ci rifugiammo in una squallida locanda quasi in riva al lago. Era una costruzione di pietra di forma quadrata, dipinta all’esterno di bianco, praticamente priva di finestre, affacciata su un desolato cortile interno.

Quasi tutti i clienti erano Pellegrini ma c’erano anche membri di altre Corporazioni, soprattutto Venditori e Trasportatori. In una stanza d’angolo dormiva un Ricordatore, che Olmayne evitò anche se non lo conosceva; semplicemente voleva che nulla le ricordasse la sua ex Corporazione.

Tra coloro che presero alloggio con noi c’era il Diverso Bernalt. Secondo le nuove leggi promulgate dagli invasori, i Diversi potevano fermarsi a ogni locanda pubblica, non solo a quelle riservate appositamente per loro; eppure sembrava un po’ strano vederlo lì. Mentre passavo nel corridoio, Bernalt si provò a lanciarmi un sorriso, quasi fosse sul punto di parlare di nuovo, ma il sorriso morì e la luminosità lasciò i suoi occhi. Parve comprendere che non ero pronto ad accettare la sua amicizia. O forse ricordò che i Pellegrini, in virtù delle leggi della loro Corporazione, non debbono mescolarsi troppo con la gente priva di Corporazione. Quella legge era ancora valida.

Io e Olmayne ci sfamammo con una tazza di brodo untuoso e un po’ di stufato. Più tardi l’accompagnai alla sua stanza; stavo già dandole la buonanotte, quando lei m’interruppe: — Aspettate. Entriamo in comunione assieme.

— Mi hanno visto venire nella vostra stanza — le feci notare. — Se mi fermo troppo nasceranno chiacchiere.

— Andiamo nella vostra, allora!

Olmayne gettò un’occhiata in corridoio. Tutto vuoto: mi prese per il polso e scivolammo in fretta nella mia camera, che stava di fronte alla sua. Sbarrando a catenaccio la porta rosa dal tempo, lei disse: — La vostra pietra di stella, subito!

Tolsi la pietra dalla tasca in cui la nascondevo, e lei tirò fuori la sua; le nostre mani si chiusero su di esse.

Nel Pellegrinaggio, la pietra di stella era per me un grande conforto. Molte stagioni erano ormai trascorse da quando avevo provato per l’ultima volta la trance della Vigilanza, ma ancora non mi ero perfettamente adattato alla scomparsa di quella vecchia abitudine; la pietra di stella sostituiva, in un certo senso, l’estasi dilagante che avevo conosciuto nella Vigilanza.

Le pietre di stella provengono da uno dei mondi lontani, non saprei dire quale, e si possono ottenere solo entrando nella Corporazione. È la pietra stessa a decidere se il candidato è degno di farsi Pellegrino, perché brucia la mano di chi non è adatto a indossarne l’abito. Dicono che tutte le persone che sono entrate nella Corporazione dei Pellegrini, senza eccezione alcuna, si siano sentite a disagio quando hanno ricevuto la pietra per la prima volta.

— Quando vi hanno dato la vostra — chiese Olmayne — avevate paura?

— Naturalmente.

— Io pure.

Aspettammo che le pietre s’impossessassero di noi. Io strinsi con forza la mia. Nera, scintillante, più liscia del vetro, brillava nella mia stretta come un pezzo di ghiaccio, e io cominciai a sentirmi parte dell’immenso potere della Volontà.

Dapprima s’acuì enormemente la percezione dei particolari intorno a me. Ogni crepa nel muro di quest’antica locanda sembrava adesso una valle. Il morbido soffio del vento si trasformò in una nota acuta. Al pallido bagliore della lampada accesa nella stanza vedevo colori al di là dello spettro visibile.

La qualità dell’esperienza offerta dalla pietra di stella è molto diversa da quella che provavo con gli strumenti della Vigilanza. Ma anche allora si trattava di trascendere il proprio Io. Nello stato di Vigilanza ero capace di abbandonare la parte di me legata alla Terra e di volare a velocità infinita su distese infinite, e avevo coscienza d’ogni cosa, e mai l’uomo potrà giungere più vicino a sentirsi Dio. La pietra di stella non forniva nessuno dei minuziosi dati che erano parte essenziale della Vigilanza.

Al culmine della trance non riuscivo a vedere nulla, non potevo riconoscere l’ambiente in cui mi muovevo. Sapevo solo che quando la pietra s’impossessava del mio corpo ero sommerso da qualcosa di enormemente più grande di me, entravo in diretto contatto con la matrice dell’universo.

Diciamo che ero in comunione con la Volontà.

Da immense distanze udii Olmayne chiedere: — Voi credete a ciò che dice certa gente di queste pietre? Che non c’è una vera comunione, che è tutto un inganno basato sull’elettricità?

— Non ho teorie in proposito — dissi. — Le cause mi interessano meno degli effetti.

Gli scettici sostengono che le pietre di stella sono semplici strumenti d’amplificazione che fanno rimbalzare le onde cerebrali nella stessa mente che le produce: la sterminata, oceanica entità con cui si giunge in contatto, asseriscono questi miscredenti, non è altro che la poderosa risonanza ciclica di un unico impulso elettrico all’interno del cranio del Pellegrino. Forse. Forse.

20

Conoscevo bene l’Afrik. In gioventù avevo sostato per molti anni nel cuore tenebroso di questo continente. Alla fine ero ripartito, inquieto come sempre, seguendo la strada del nord fino in Agupt, dove le antiche reliquie del Primo Ciclo sono sopravvissute molto meglio che altrove. In quei giorni, però, l’antichità non aveva ai miei occhi alcun interesse. Vigilavo, e vagavo di luogo in luogo, perché una Vedetta non ha bisogno di una sede fissa; e il caso mi aveva fatto incontrare Avluela proprio quando ero pronto a fuggire di nuovo, e così avevo lasciato Agupt per Roum e in seguito Perris.

Adesso ero tornato con Olmayne. Ci tenemmo vicini alla costa, evitando le distese sabbiose dell’interno. Nella nostra qualità di Pellegrini, eravamo immuni da quasi tutti i pericoli del viaggio: non saremmo mai morti di fame, avremmo sempre trovato un rifugio anche dove non c’erano ostelli della nostra Corporazione, e tutti ci trattavano col massimo rispetto. La grande bellezza di Olmayne l’avrebbe esposta a non pochi pericoli, visto che viaggiava con, come unica scorta, un vecchio cadente, ma dietro la maschera e il saio di Pellegrino era al sicuro. Solo di rado ci toglievamo le maschere, e in luoghi dove nessuno ci potesse vedere.

Non m’illudevo certo di essere importante per Olmayne. Per lei ero una parte come un’altra dell’equipaggiamento del viaggio: qualcuno che l’aiutava durante la comunione e i rituali, che procurava l’alloggio, che le apriva la strada. Quel ruolo mi stava a pennello. Olmayne era, lo sapevo, una donna pericolosa, soggetta a strani desideri e imprevedibili capricci. Non desideravo legami troppo forti con lei.

E certo non aveva la purezza del Pellegrino. Anche se aveva superato la prova della pietra di stella, non era riuscita a trionfare sulla carne, com’è dovere di ogni Pellegrino. Si allontanava, talvolta, per metà della notte o più, e io l’immaginavo ansare tra le braccia di un Servitore in qualche luogo oscuro, dopo essersi tolta la maschera. Del resto erano affari suoi; non le facevo mai cenno di queste assenze, quando tornava.