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Un uomo parzialmente cristallizzato uscì fuori da una capanna, agitando le mani deformate. Bernalt si fece avanti e lo riaccompagnò dentro con grande premura. Tornato da noi, disse: — In certi momenti sono felice di essere un Diverso. Quella malattia non ci colpisce, lo sapete. — I suoi occhi s’accesero d’una luce improvvisa. — Vi do fastidio, Pellegrini? Sembrate di pietra dietro quelle maschere. Non intendo essere importuno. Debbo ritirarmi?

— Naturalmente no — risposi, pensando il contrario. La sua compagnia mi disturbava; forse il disprezzo che tutti ostentano per i Diversi era un bacillo che aveva finito per contagiarmi. — Fermatevi un poco. Vi chiederei di proseguire con noi fino a Jorslem, ma sapete che la cosa ci è proibita.

— Certo. Capisco molto bene. — Era cortese, ma freddo; l’amarezza inquieta che ribolliva in lui stava per affiorare alla superficie. Molti Diversi sono tanto bestiali e degradati da non poter neppure comprendere quanto li abbiano in odio uomini e donne delle regolari Corporazioni; ma Bernalt, chiaramente, possedeva il doloroso dono della sensibilità. Sorrise, e poi fece un cenno. — Ecco qua il mio amico.

Tre figure s’avvicinavano. Una era il Chirurgo di Bernalt, un uomo magro, di pelle nera e voce morbida, con occhi stanchi e capelli biondi, radi. Con lui stavano un ufficiale degli invasori e uno straniero di un altro pianeta. — Ho sentito che due Pellegrini sono stati chiamati al villaggio — disse l’invasore. — Vi sono grato per il conforto che avete recato a queste vittime del dolore. Sono Rivendicatore Diciannove; il distretto è sotto la mia amministrazione. Accettate di essere miei ospiti a cena, questa sera?

Ero in dubbio se accettare l’ospitalità d’un invasore, e l’improvviso scatto delle dita di Olmayne sulla pietra di stella mi disse che anche lei esitava. Rivendicatore Diciannove sembrava attendere con vivo interesse la nostra risposta. Non era alto come quasi tutti i membri della sua razza, e le braccia sproporzionate gli scendevano fin oltre le ginocchia. Sotto l’impietoso sole d’Agupt la sua pelle spessa, cerulea, acquistava una certa lucentezza, anche se egli non sudava.

Fu il Chirurgo a spezzare quel lungo, teso, pauroso silenzio: — Non c’è affatto bisogno di fare dei complimenti. In questo villaggio siamo tutti fratelli. Venite con noi, d’accordo?

Accettammo. Rivendicatore Diciannove abitava in una villa sulla sponde del Lago Medit; nella chiara luce del tardo pomeriggio mi parve di scorgere il Ponte di Terra che si perdeva lontano sulla sinistra, e addirittura l’Eyrop sulla sponda opposta. Si occuparono di noi alcuni membri della Corporazione dei Servitori, che ci servirono fresche bibite nel patio. L’invasore aveva molti dipendenti, tutti terrestri; per me, quello era un altro segno che la conquista della Terra era un fatto compiuto, pienamente accettato dalla grande massa della popolazione. Restammo a parlare per molto tempo, oltre il crepuscolo, sorseggiando le nostre bevande anche quando le pallide aurore comparvero in cielo ad annunciare la notte. Però il Diverso Bernalt si tenne in disparte, forse messo a disagio dalla nostra presenza. Anche Olmayne era melanconica e distante; un sentimento misto d’esaltazione e depressione l’aveva afferrata in quel villaggio infelice, e la presenza di Bernalt alla nostra tavola aveva dato ancora esca al suo silenzio, poiché ella ignorava quale galateo seguire di fronte a un Diverso. L’invasore, il nostro ospite, era affascinante e premuroso, e cercò a più riprese di strapparla ai suoi pensieri. Avevo già conosciuto invasori affascinanti. Nei giorni precedenti la conquista avevo viaggiato con uno di loro, che fingeva di essere il Diverso Gormon. Quello che avevo di fronte, Rivendicatore Diciannove, era un poeta sul suo mondo natale; perciò gli dissi: — Mi sembra strano che le vostre inclinazioni si possano conciliare con un presidio militare.

— Ogni esperienza serve a rafforzare l’arte — rispose Rivendicatore Diciannove. — Cerco di espandere il mio Io. E, comunque, non sono un guerriero, ma un amministratore. È dunque così strano che un poeta possa essere amministratore, o un amministratore poeta? — Rise. — Tra le vostre tante Corporazioni, non esiste quella dei Poeti. Perché?

— Ci sono i Comunicatori — dissi. — Essi servono la vostra musa.

— Ma in modo religioso. Sono interpreti della Volontà, non della propria anima.

— Le due cose sono inseparabili — dissi. — I versi da loro creati sono ispirati dalla divinità, ma vengono dal cuore di chi li ha pronunciati.

Rivendicatore Diciannove non pareva convinto. — Si potrebbe anche sostenere che in fondo tutta la poesia è religiosa, immagino. Ma questi versi dei vostri Comunicatori hanno una prospettiva troppo limitata. S’imperniano solo sull’obbedienza alla Volontà.

— È una contraddizione — intervenne Olmayne. — La Volontà domina ogni cosa, e voi dite che la prospettiva dei Comunicatori è limitata…

— Esistono altri temi poetici al di fuori dell’immersione nella Volontà, amici miei. L’amore di una persona per un’altra, la gioia di difendere la propria casa, la meraviglia di scoprirsi nudi sotto le stelle ardenti… — L’invasore rise. — Non può darsi che la Terra sia caduta perché gli unici poeti che aveva cantavano l’obbedienza al destino?

— La Terra è caduta — disse il Chirurgo — perché la Volontà ci ha chiesto di espiare i peccati commessi dai nostri antenati, che trattarono i vostri progenitori come bestie. La qualità della nostra poesia non c’entra affatto.

— La Volontà ha decretato che voi cadeste sotto di noi per punirvi, eh? Ma se la Volontà è onnipotente, deve anche aver decretato l’errore dei vostri antenati che ha reso necessaria la punizione. Eh? La Volontà si diverte a giocare con se stessa? Non vedete com’è difficile credere in una forza divina che stabilisca tutto? Dove va a finire il libero arbitrio, che solo può dare un significato alla sofferenza? Costringervi a peccare, e poi chiedervi di subire una sconfitta per purificarvi, mi sembra un divertimento vuoto. Perdonate se sono blasfemo.

Il Chirurgo disse: — Voi non avete compreso. Tutto ciò che accade su questo pianeta fa parte di un processo di rafforzamento morale. La Volontà non forgia ogni evento, indiscriminatamente, piccolo o grande che sia: ci fornisce il materiale grezzo per il verificarsi dell’evento, e poi ci permette di seguire la strada che ci pare più giusta.

— Per esempio?

— La Volontà ha dotato i terrestri di abilità e intelligenza. Durante il Primo Ciclo ci siamo staccati in poco tempo dallo stato di selvaggi; nel Secondo Ciclo abbiamo raggiunto la grandezza. Nel nostro momento di grandezza ci siamo gonfiati d’orgoglio, e abbiamo deciso di andare oltre i nostri limiti. Abbiamo imprigionato creature intelligenti di altri mondi col pretesto di “studiarle”, quando in realtà l’unica cosa che ci spingeva era un arrogante desiderio di divertimento; e abbiamo giocato col clima del nostro pianeta finché gli oceani si sono uniti e i continenti sono affondati e la nostra antica civiltà è andata distrutta. Così la Volontà ci ha insegnato i confini delle ambizioni umane.

— Questa cupa filosofia mi piace ancor meno — disse Rivendicatore Diciannove. — Io…

— Lasciatemi finire — disse il Chirurgo. — Il crollo della Terra del Secondo Ciclo è stata la nostra punizione. La sconfitta che voi, abitanti di un altro pianeta, avete inflitto alla Terra del Terzo Ciclo è la seconda parte di quella punizione, ma è anche l’inizio di una nuova fase. Voi siete gli strumenti della nostra redenzione. Infliggendoci l’estrema umiliazione della conquista, ci avete portati al fondo della nostra vergogna; ora rinnoviamo le nostre anime, ora cominciamo a risalire, provati dalle avversità.