Выбрать главу

Di solito ci muovevamo sulla verde striscia di terreno fertile che delimita il lago, ma una volta, dietro insistenza del Chirurgo, ci spostammo nel deserto infuocato per vedere una cosa che doveva essere molto interessante, a quanto ci disse lui. Non volle dirci di che si trattava. In quei giorni viaggiavamo su una carromobile presa a nolo, senza tettuccio di protezione, e il vento tagliente ci sbatteva sul viso soffi di sabbia. La sabbia si attaccava agli occhi dello straniero, vidi; e vidi che, molto efficacemente, un fiotto di lagrime blu scendeva ogni pochi istanti a detergerli. Noi tre ci stringevamo nella veste e chinavamo il capo ogni volta che il vento s’alzava.

— Eccoci arrivati — annunciò finalmente il Chirurgo. — Quando viaggiavo con mio padre, molto tempo fa, ho visitato questo luogo per la prima volta. Entreremo, e voi, che siete stata Ricordatore, ci direte dove ci troviamo.

Era un edificio alto due piani, costruito con mattoni di vetro bianco. Le porte sembravano chiuse, ma cedettero con la massima facilità alla pressione delle nostre mani. Nel momento in cui entrammo, si ridestarono diverse luci.

Sotto lunghe navate, ricoperte alla base dalla sabbia, si trovavano dei tavoli su cui erano montati misteriosi strumenti. Non riuscivo a capire la loro funzione. C’erano oggetti a forma di guanto, in cui potevamo inserire la mano; condutture univano quegli strani guanti di metallo a lucidi stipi impenetrabili, e una serie di specchi trasmetteva immagini dall’interno degli stipi a giganteschi schermi posti più in alto. Il Chirurgo infilò le mani nei guanti e mosse le dita: gli schermi s’accesero, e vidi minuscole lancette muoversi per brevi archi. Poi si avvicinò ad altre macchine da cui sgorgavano gocce di liquidi ignoti: toccò minuscoli bottoni che producevano un suono armonioso; si muoveva con la massima libertà in quel labirinto di prodigi, chiaramente antico, che sembrava ancora in perfetto ordine, come in attesa di chi sapesse usarlo.

Olmayne era estasiata. Seguiva il Chirurgo di tavolo in tavolo, toccava ogni cosa.

— Ebbene, Ricordatore? — le chiese infine il Chirurgo. — Che cos’è questo posto?

— Una Clinica — rispose lei a voce bassa. — Una Clinica degli Anni della Magia!

— Esatto! Splendido! — Il Chirurgo sembrava stranamente eccitato. — Qui potremmo creare mostri straordinari! Potremmo fare miracoli! Alati, Nauti, Diversi, Torcitori, Focosi, Rampicanti; inventare nuove Corporazioni, modellare gli uomini secondo i nostri desideri! Ecco cosa facevano qui!

Olmayne disse: — Queste Cliniche mi erano state descritte. Ne rimangono ancora sei, se non mi sbaglio: una nell’Eyrop del nord, una a Palash, una qui, una molto più a sud, nell’Afrik Fonda, e una nell’Ais occidentale… — S’interruppe.

— E una in Ind, la più grande di tutte! — esclamò il Chirurgo.

— Sì, naturalmente, in Ind! La patria degli Alati!

Il loro entusiasmo era contagioso. Così chiesi: — È qui che veniva cambiata la forma degli uomini? Come si faceva?

Il Chirurgo scrollò le spalle. — Quell’arte è andata perduta. Gli Anni della Magia sono molto lontani, vecchio mio.

— Sì, sì, lo so. Ma visto che ci restano gli strumenti, non dovremmo poter capire…

— Con queste lame — disse il Chirurgo — tagliavamo i tessuti dei non nati, correggendo il seme umano. Il Chirurgo metteva qui le mani… muoveva i congegni… e in quell’incubatore le lame facevano il loro lavoro. È da qui che sono nati gli Alati e tutto il resto. Le caratteristiche erano ereditabili. Oggi alcune di queste specie sono estinte, ma i nostri Alati e i nostri Diversi devono la propria forma a Cliniche come questa. I Diversi, ovviamente, erano errori dei Chirurghi. Non gli si doveva permettere di vivere.

— Pensavo che quei mostri fossero il risultato di farmaci teratogeni ingeriti dalle madri, quando essi erano ancora nell’utero — dissi. — Adesso voi mi dite che i Diversi sono stati creati dai Chirurghi. Qual è la verità?

— Entrambe le informazioni sono vere — mi rispose. — Tutti i Diversi dei nostri giorni discendono da errori e da sbadataggini di Chirurghi degli Anni della Magia. Ma le madri di quegli infelici aumentano spesso la mostruosità dei figli con l’uso di farmaci, per così renderli più vendibili. È una razza orribile, non solo di aspetto. Non c’è da meravigliarsi che la loro Corporazione sia stata sciolta, e che essi siano stati spinti ai margini della società. Noi…

Qualcosa di luccicante volò nell’aria, mancando il suo viso per meno di una spanna. Il Chirurgo si gettò a terra, gridandoci di fare altrettanto. Mentre mi piegavo, vidi una seconda freccia sibilare nella nostra direzione. La creatura aliena, che continuava imperterrita a raccogliere dati su ogni cosa, studiò quella freccia con grande calma nei pochi momenti di vita che le restarono. L’arma lo colpì a due terzi della sua altezza, e gli tagliò nettamente il corpo in due tronconi. Altre frecce andarono a colpire il muro alle nostre spalle. Potei finalmente scorgere i nostri attaccanti: una banda di Diversi, feroci, spaventosi. Eravamo disarmati, e loro ci venivano addosso. Mi preparai a morire.

Dall’ingresso giunse un grido: una voce familiare, che usava lo stretto, stranissimo linguaggio con cui i Diversi comunicano fra loro. Immediatamente l’assalto ebbe fine. Coloro che ci minacciavano si volsero verso la porta. Il Diverso Bernalt fece il suo ingresso.

— Ho visto il vostro veicolo — disse. — Ho pensato che forse eravate qui, e magari nei guai. Pare che sia giunto appena in tempo.

— Non esattamente — ribatté il Chirurgo. Indicò la figura riversa dell’alieno, per il quale non c’era più nulla da fare. — Ma perché questo attacco?

Bernalt gesticolò. — Saranno loro a dirvelo.

Guardammo i cinque Diversi che ci avevano teso l’imboscata. Non erano tipi educati e civili come Bernalt, e non ce n’erano due che avessero lo stesso aspetto; ognuno di loro era un’oscena, contorta caricatura dell’uomo, uno con tentacoli fibrosi che gli scendevano dal mento, un altro dal viso che era un nulla, privo di lineamenti, un altro con orecchi simili a tazze gigantesche, e così via. Da quello che ci stava più vicino, una creatura la cui pelle lasciava sporgere migliaia di piccole scaglie, apprendemmo perché ci avevano assaliti. In un rozzo dialetto d’Agupt ci disse che avevamo profanato un tempio sacro ai Diversi.

— Noi stiamo alla larga da Jorslem — ci disse. — Perché voi dovreste venire qui?

Naturalmente aveva ragione. Chiedemmo perdono con la massima sincerità possibile, e il Chirurgo spiegò che egli, molto tempo prima, aveva visitato quel luogo, e che allora non era un tempio. Ciò parve calmare il Diverso, che ammise che solo da pochi anni la Clinica era diventata un edificio sacro. Divenne ancora più calmo quando Olmayne aprì l’ipertasca che celava in seno e gli offrì alcune luccicanti monete d’oro, parte del tesoro che si era portata da Perris. Quelle creature bizzarre e deformi parvero soddisfatte, e ci permisero di uscire dal tempio. Avremmo preso con noi anche l’alieno morto, ma, durante la discussione col Diverso, il cadavere era quasi del tutto scomparso; ora, sul pavimento, restava solo una piccola striscia grigia, a indicare il punto in cui era caduto. — Un enzima mortuario — spiegò il Chirurgo. — L’interruzione dei processi vitali lo ha messo in azione.