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— E come va la mia compagna Olmayne?

— Con lei abbiamo fallito.

— Non capisco.

— Vuoi vederla? — mi chiese Talmit.

— Sì — risposi, pensando che mi avrebbero portato alla stanza di Olmayne. Invece mi condusse alla vasca di Olmayne. Mi trovai su una rampa di scale che scendeva a un contenitore ancora chiuso; Talmit m’indicò un cannocchiale a fibre, e attraverso il suo occhio sempre aperto potei vedere Olmayne. O piuttosto, ciò che dovevo credere Olmayne. Una bimba nuda di circa undici anni, dalla pelle liscia, priva di seni, rannicchiata sul fondo del serbatoio; teneva le ginocchia strette contro il torace minuscolo, il pollice infilato in bocca. Dapprima non compresi. Poi la bimba si mosse, e riconobbi i tratti embrionali della stupenda Olmayne con cui ero vissuto: la bocca larga, il mento volitivo, gli zigomi sporgenti, robusti. Un improvviso scoppio d’orrore mi percorse il corpo, e chiesi a Talmit: — Cosa significa?

— Quando l’anima è troppo densa di macchie, Tomis, dobbiamo scavare a fondo per ripulirla. La tua Olmayne era un caso difficile. Non avremmo neanche dovuto tentare; ma lei ha insistito, e qualche indicazione ci portava a credere che forse saremmo potuti riuscire. Erano indicazioni sbagliate, come puoi vedere.

— Ma cosa le è successo?

— Il rinnovamento ha raggiunto l’irreversibilità prima che potessimo purgarla dei suoi errori — rispose Talmit.

— Siete andati troppo a fondo? L’avete resa troppo giovane?

— Come puoi vedere. Sì.

— Cosa farete? Non potete tirarla fuori di qui e lasciarla crescere di nuovo?

— Dovevi prestare più attenzione alle mie parole, Tomis. Ho detto che il rinnovamento è irreversibile.

— Irreversibile?

— È persa in sogni infantili. Ogni giorno ringiovanisce di qualche anno. Il suo orologio interno ruota a velocità incontrollabile. Il suo corpo si restringe; il suo cervello diventa sempre più liscio. Presto tornerà al periodo neonatale. E non si sveglierà mai.

— E alla fine… — Distolsi lo sguardo da quello spettacolo. — Cosa accadrà? Uno spermatozoo e un uovo che si dividono nella vasca?

— La retrocessione non andrà così oltre. Morirà neonata. Ne perdiamo molti a questo modo.

— È stata lei a parlarmi dei rischi del rinnovamento — dissi.

— Eppure ha insistito perché l’accettassimo. La sua anima era nera, Tomis. Viveva solo per se stessa. È giunta a Jorslem per essere purificata, e adesso è purificata, e conosce la pace della Volontà. L’amavi?

— Mai. Nemmeno per un minuto.

— E allora cos’hai perso?

— Una frazione del mio passato, forse. — Portai di nuovo l’occhio al cannocchiale e scrutai Olmayne, adesso innocente, restituita alla verginità, asessuata, purificata. In pace con la Volontà. Frugai il suo viso stranamente alterato, ma così familiare, per comprendere i sogni che stava vivendo. Aveva capito cosa le stava capitando, mentre precipitava senza speranza verso la gioventù più estrema? Aveva gridato di paura e impotenza quando s’era accorta che la vita l’abbandonava? C’era stata un’ultima fiammata della vecchia, orgogliosa Olmayne, prima di scivolare in un’innocenza coatta? La bimba nel serbatoio sorrideva. Il corpicino sottile si distese, poi si raccolse ancor più rigidamente in posizione fetale. Olmayne era in pace con la Volontà. D’improvviso, quasi Talmit avesse sparso nell’aria un secondo specchio, riuscii a guardare nel mio nuovo Io, e vidi cosa avevano fatto per me, e compresi che mi avevano concesso un’altra vita a condizione di saperla usare meglio della prima, e mi sentii molto umile, e mi disposi a servire la Volontà, e mi trovai soffocato da una gioia che m’invadeva con onde gigantesche, come le acque inquiete dell’Oceano Terrestre, e dissi addio a Olmayne, e chiesi a Talmit di portarmi via.

25

E Avluela venne a trovarmi nella mia stanza nella casa del rinnovamento, ed eravamo entrambi spaventati quando c’incontrammo. La giacchetta che indossava lasciava scoperte le ali chiuse: sembravano assolutamente prive di controllo, fluttuavano nervose, accennavano ad aprirsi un poco, e le loro punte delicate splendevano d’improvvisi, veloci bagliori. I suoi occhi erano grandi e solenni; il suo viso pareva più sottile e affilato che mai. Per molto tempo restammo a fissarci reciprocamente in silenzio; la mia pelle si fece calda, la vista mi si confuse; sentivo esplodere dentro di me forze che mi erano ignote da decenni, e ne avevo paura nel momento stesso in cui le desideravo.

— Tomis? — chiese finalmente lei, e io annuii.

Mi toccò le spalle, le braccia, le labbra. E io posai le dita sui suoi polsi, sui suoi fianchi, e poi, esitante, sul gonfiore morbido dei suoi seni.

Come due uomini improvvisamente ciechi, ci riconoscemmo al tatto. Eravamo estranei. Quella vecchia, stanca Vedetta che lei aveva conosciuto e forse amato era scomparsa, allontanata per almeno altri cinquant’anni o forse più, e al suo posto c’era qualcuno che aveva subito una misteriosa trasformazione, uno sconosciuto, una persona mai incontrata. Per lei la vecchia Vedetta era stata una specie di padre; cosa poteva mai essere il giovane Tomis, l’uomo senza Corporazione? E cos’era lei per me, se non potevo più considerarla una figlia? Nemmeno io mi conoscevo più: la mia pelle liscia, soda, mi era estranea. Ero perplesso e deliziato degli umori che ora mi scorrevano nelle vene, dei tremori affannati che avevo quasi dimenticato.

— I tuoi occhi sono gli stessi — disse lei. — Ti riconoscerei sempre dagli occhi.

— Cosa hai fatto in tutti questi mesi, Avluela?

— Ho volato ogni notte. Sono giunta in Agupt e nell’Afrik Fonda. Poi sono tornata e ho volato fino a Stanbul. Appena cade la sera, mi lancio nell’aria. Lo sai, Tomis, che mi sento davvero viva solo quando sto là in alto?

— Tu sei un’Alata. È nella natura della tua Corporazione provare questi sentimenti.

— Un giorno voleremo fianco a fianco, Tomis.

Quelle parole mi fecero scoppiare in riso. — Le vecchie Cliniche sono chiuse, Avluela. Qualcuno è ancora capace di compiere prodigi qui a Jorslem, ma non possono trasformarmi in un Alato. Con le ali si deve nascere.

— Non c’è bisogno di ali per volare.

— Lo so. Gli invasori si sollevano senza l’aiuto delle ali. Ti ho vista, il giorno dopo la caduta di Roum, tu e Gormon assieme in cielo… — Scossi il capo. — Ma io non sono un invasore.

— Tu volerai con me, Tomis. Saliremo in alto, e non solo quand’è buio, anche se le mie sono soltanto ali della notte. Guizzeremo assieme sotto il bagliore del sole.

Le sue fantasie mi piacquero. La raccolsi tra le mie braccia, e lei era fresca e fragile contro di me, e il mio corpo pulsava di un nuovo calore. Per un po’ non parlammo più di voli, anche se rifiutai di prendere ciò che lei m’offriva in quel momento e mi contentai semplicemente di carezzarla. Non ci si sveglia con un unico sbadiglio.

Più tardi camminammo nei corridoi, sfiorando altre persone appena rinnovate, e raggiungemmo la grande stanza centrale dal cui soffitto entrava il pallido sole invernale, e ci studiammo l’un l’altra a quella luce incerta, approssimativa, e camminammo, e parlammo di nuovo. Mi appoggiavo leggermente al suo braccio, perché ancora non ero padrone assoluto delle mie forze, e così, in un certo senso, era come in passato, la ragazza che aiutava il vecchio rudere a destreggiarsi. Quando mi riportò nella stanza le chiesi: Prima del rinnovamento, mi hai parlato di una nuova Corporazione di Redentori. Io…