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— Avremo tempo di parlarne — disse lei, dispiaciuta.

Nella mia stanza ci abbracciammo, e d’improvviso mi sentii invadere da tutto il fuoco della giovinezza rinnovata, ed ebbi paura di distruggere il suo corpo fresco, minuto. Ma è un fuoco che non distrugge: accende anche gli altri della stessa fiamma. Nell’estasi le sue ali si spiegarono, finché anch’io fui avvolto dal loro morbido abbraccio. E mentre mi arrendevo alla violenza della gioia, seppi che non avevo più bisogno di appoggiarmi al suo braccio.

Cessammo di essere estranei; cessammo di provare paura l’uno per l’altra. Lei venne da me ogni giorno, all’ora degli esercizi fisici, e io camminai con lei, raggiungendo passo dopo passo la sua stessa scioltezza. E il fuoco brillò per noi ancora più alto e fulgido.

Anche Talmit era spesso con me. Mi insegnò l’arte di usare il corpo rinnovato, e mi aiutò a tornare giovane col massimo successo. Respinsi il suo invito di vedere ancora una volta Olmayne. Un giorno poi mi disse che la retrocessione della mia compagna era giunta al termine. Non provai dispiacere, solo un momentaneo, strano senso di vuoto che passò subito.

— Presto lascerai questo luogo — mi disse il Rinnovatore. — Sei pronto?

— Credo di sì.

— Hai pensato a cosa intendi fare?

— Debbo cercare una nuova Corporazione, lo so.

— Molte Corporazioni vorrebbero averti, Tomis. Ma tu quale vuoi?

— La Corporazione che mi consenta di essere più utile all’umanità — risposi. — Debbo una vita alla Volontà.

Talmit chiese: — La ragazza Alata ti ha parlato delle possibilità che ti si presentano?

— Ha accennato a una Corporazione appena fondata.

— Ti ha detto come si chiama?

— La Corporazione dei Redentori.

— E cosa ne sai?

— Ben poco — risposi.

— Vuoi saperne di più?

— Se ci sono altre cose da sapere.

— Io faccio parte della Corporazione dei Redentori — disse Talmit. — E anche Avluela.

— Ma avete già una Corporazione! Com’è possibile appartenere a più d’una? Soltanto i Dominatori avevano questa libertà, e essi…

— Tomis, la Corporazione dei Redentori accetta membri da tutte le altre Corporazioni. È la Corporazione suprema, come lo fu la Corporazione dei Dominatori. Appartengono ai suoi ranghi Ricordatori e Scribi, Classificatori, Servitori, Alati, Latifondisti, Sonnambuli, Chirurghi, Clown, Mercanti, Venditori. Ci sono anche Diversi, e…

— Diversi? — boccheggiai. — Ma sono fuori d’ogni Corporazione, per legge! Com’è possibile che una Corporazione accetti un Diverso?

— Questa è la Corporazione dei Redentori. Anche i Diversi possono ottenere la redenzione, Tomis.

Umiliato, ammisi: — Anche i Diversi, sì. Ma com’è strano immaginare una Corporazione del genere!

— Spregeresti una Corporazione che accetta i Diversi?

— Trovo difficile comprenderla.

— Potrai capire a tempo debito.

— E quando sarà il tempo debito?

— Il giorno che uscirai di qui — mi rispose Talmit.

Quel giorno arrivò in fretta. Avluela venne a prendermi. Uscii fuori, ancora un po’ traballante, nella primavera di Jorslem, e completai il rituale del rinnovamento. Talmit le aveva dato istruzioni per guidarmi. Mi condusse in tutti i luoghi sacri della città, perché potessi venerare ogni singolo tempio. M’inginocchiai davanti al muro degli Ebarii e alla cupola dorata dei Mislami; poi traversai la parte bassa della città, il mercato, e giunsi al grigio, oscuro, mal strutturato edificio che copre il punto dove si dice sia morto il dio dei Cristiani; poi mi recai alla fonte della sapienza e alla fontana della Volontà, e da lì alla casa madre della Corporazione dei Pellegrini per rendere la maschera e il saio e la pietra di stella, e quindi alle mura della Città Vecchia. A ognuna di queste soste mi offrii alla Volontà con le parole che da molto attendevo di pronunciare. Pellegrini e normali cittadini di Jorslem si riunivano a rispettosa distanza da me: sapevano che ero stato rinnovato da poco, e speravano che qualche emanazione del mio nuovo corpo giovane potesse loro portare fortuna. Finalmente i miei obblighi furono compiuti. Ero un uomo libero, in piena salute, in grado di scegliere il tipo di vita che desideravo condurre. Avluela mi chiese: — Adesso verrai con me dai Redentori?

— Dove li troveremo? A Jorslem?

— A Jorslem, sì. Tra un’ora ci sarà una riunione per darti il benvenuto fra noi.

Estrasse dalla tunica qualcosa di piccolo e brillante, che con vivo stupore riconobbi per una pietra di stella. — Cosa fai con quella pietra? — le chiesi. — Solo i Pellegrini…

— Metti la tua mano sulla mia — disse lei, tendendo il pugno che stringeva la pietra di stella.

Obbedii. Per un attimo il suo visetto magro si tese nello sforzo della concentrazione. Poi Avluela si rilassò, e ripose la pietra di stella.

— Avluela, cosa?…

— Un segnale alla Corporazione — rispose gentilmente. — Li ho avvisati di radunarsi perché stiamo per arrivare.

— Come hai avuto quella pietra?

— Vieni con me — mi disse. — Oh, Tomis, se solo potessimo volare! Ma non è lontano. Ci incontriamo quasi all’ombra della casa del rinnovamento. Vieni, Tomis. Vieni!

26

Non c’era luce, nella stanza. Avluela mi guidò nell’oscurità del sotterraneo: mi disse che eravamo giunti alla Casa Madre dei Redentori e mi lasciò solo. — Non muoverti — mi avvisò.

Intorno a me, nella stanza, avvertivo la presenza di altri uomini. Ma non vedevo nulla e non udivo nulla.

Spinsero qualcosa verso di me.

Avluela disse: — Tendi la mano. Cosa senti?

Incontrai uno stipo metallico, quadrato, che forse s’appoggiava a un piedistallo sempre di metallo. Lungo una delle facce erano disposti quadranti e leve a me molto familiari. Le mie mani brancolanti trovarono le maniglie che sporgevano dalla sommità di quel piccolo stipo. D’improvviso era come se il mio rinnovamento non fosse avvenuto, e anche la conquista della Terra fosse cancellata: ero di nuovo una Vedetta, perche quello era senza dubbio un equipaggiamento per la Vigilanza!

Allora dissi: — Non è lo stesso stipo che possedevo una volta. Ma non è molto diverso.

— Hai scordato le tue capacità, Tomis?

— Penso di averle in me anche adesso.

— Usa la macchina, allora — disse Avluela. — Esegui ancora una volta la Vigilanza, e dimmi ciò che vedi.

Felice, tornai con la massima facilità alle vecchie abitudini. Eseguii in fretta i rituali preliminari, liberando la mia mente da dubbi e emozioni. Era straordinaria la semplicità con cui riuscivo a entrare nello spirito della Vigilanza; non avevo più provato dalla notte in cui la Terra era caduta, eppure mi sembrava di essere ancora più veloce dei vecchi giorni.

Adesso afferravo le maniglie: com’erano strane! Non terminavano con le impugnature cui ero abituato: qualcosa di freddo e duro si trovava sulla sommità di ogni maniglia. Una gemma di qualche tipo, forte. Magari una pietra di stella, compresi. Le mie mani si chiusero sulle due superfici gelide. Provai un momento d’apprensione, addirittura di paura febbrile. Poi tornai alla necessaria tranquillità, e la mia anima si proiettò nello strumento che avevo davanti: cominciai a Vigilare.

In questa Vigilanza non mi alzai fino alle stelle, come nei vecchi giorni. Percepivo qualcosa, ma le mie percezioni erano limitate alla stanza in cui mi trovavo. Gli occhi chiusi, il corpo immobile nella trance, mi tesi in avanti e raggiunsi per prima Avluela. Era vicina a me, quasi sopra di me. La vidi chiaramente. Sorrise, annuì; i suoi occhi erano di fuoco.