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Le indicazioni fornite dal cervello erano esatte, e, in meno di un’ora, arrivammo all’Ostello delle Vedette. Lasciai Gormon e Avluela all’esterno e spinsi dentro il mio bagaglio.

Una dozzina di membri della mia Corporazione oziavano nella sala principale. Mi affrettai a rivolgere loro il saluto d’uso e quelli me lo ritornarono svogliatamente. Erano questi i guardiani dai quali dipendeva la salvezza della Terra? Dei deboli e dei superficiali!

— Dove posso immatricolarmi? — domandai.

— Siete forestiero? Da dove venite?

— L’ultima volta ho firmato in Agupt.

— Dovevate starvene là. Non c’è bisogno di Vedette, qui.

— Dove posso immatricolarmi? — domandai ancora.

Un giovanotto pieno di boria mi indicò uno schermo in fondo al locale. Ci andai, premetti le dita sullo schermo, fui interrogato e diedi le mie generalità. (Una Vedetta può rivelarle solo a un’altra Vedetta, e unicamente tra le mura di un ostello.) Un pannello si aprì di scatto e un uomo dagli occhi sporgenti (con l’emblema di Vedetta sulla guancia destra, e non sulla sinistra, per indicare che rivestiva un’alta carica nella Corporazione) pronunciò il mio nome e disse: — Non sareste dovuto venire a Roum. Siamo in soprannumero.

— Comunque, chiedo ugualmente alloggio e lavoro.

— Un tipo dotato come voi del senso dell’umorismo doveva nascere nella Corporazione dei Clown — disse quello.

— Non ci vedo niente di buffo.

— Nuovi regolamenti, promulgati dalla nostra Corporazione nell’ultima riunione, stabiliscono che un Ostello al completo non è obbligato a dare alloggio a nuovi ospiti. E noi siamo al completo. Addio, amico.

Ero esterrefatto. — Non ho mai sentito un regolamento simile! È incredibile! Non posso credere che una Corporazione neghi asilo a uno dei suoi membri, dolorante e sfinito per il lungo cammino. A un uomo della mia età, che arriva a Roum dall’Agupt, forestiero e affamato, dopo aver attraversato il Ponte di Terra…

— Perché non avete pensato a interpellarci prima?

— Non sapevo che fosse necessario.

— Le nuove disposizioni.

— Che la Volontà incenerisca le nuove disposizioni! — gridai. — Chiedo ricovero! Per uno che Vigila da quando voi non eravate ancor nato, esser scacciato…

— Calma, fratello, calma.

— Avrete certamente un cantuccio per farmi dormire, qualche avanzo per sfamarmi…

Da sdegnato, il mio tono si era fatto supplice, ma l’espressione dell’uomo passò solo dall’indifferenza al disprezzo: — Non abbiamo né posto, né cibo. Sono tempi duri, questi, per la nostra Corporazione, lo sapete bene. Si dice che verrà sciolta completamente, come un lusso, un peso inutile sulle risorse della Volontà. Abbiamo possibilità limitate. Roum ha un’eccedenza di Vedette e le nostre razioni sono misere. Se vi accogliamo, dovremo ridurle ulteriormente.

— Ma dove andrò, allora? Cosa farò?

— Vi consiglio — disse l’altro, in tono conciliante — di affidarvi alla misericordia del Principe di Roum.

3

Appena fuori raccontai tutto a Gormon, che si piegò in due dal ridere, tanto che le striature sulle guance magre divennero rosse come il sangue. — La misericordia… del Principe di Roum… ah, ah, ah! — gridò, soffocando. — La misericordia del Principe di Roum!

— Tutti gli infelici chiedono l’aiuto dei governanti locali — dissi freddamente. — È l’uso.

— Il Principe di Roum non sa neppure cosa sia la misericordia! — replicò lui. — Vi sfamerà con le vostre stesse membra!

— Forse — disse Avluela — potremmo tentare alla Loggia degli Alati. Ci daranno da mangiare.

— A Gormon, no — osservai io. — E noi siamo legati uno all’altro.

— Potremmo portargli fuori il cibo.

— Preferisco tentare col Principe — insistei io. — Prima vediamo in che situazione siamo. Poi cercheremo di arrangiarci in un modo o nell’altro, se sarà necessario.

Lei acconsentì e, tutti insieme, ci avviammo verso il palazzo del Principe di Roum: era un edificio massiccio, con una piazza enorme, delimitata da due grandi ali di colonne. Nella piazza fummo accostati da mendicanti di ogni genere, perfino di altri mondi. Un essere con tentacoli che parevano grosse funi e una faccia rugosa senza naso mi si gettò addosso chiedendo l’elemosina, e Gormon dovette allontanarlo con la forza; un momento dopo, un’altra creatura non meno strana, dalla pelle butterata da piccoli crateri luminescenti e dagli arti guarniti di occhi peduncolati, mi si avvinghiò alle ginocchia supplicandomi in nome della Volontà di aver pietà di lei. — Sono soltanto una povera Vedetta — le dissi indicandole il mio bagaglio — e anch’io son qui per chiedere aiuto. — Ma la creatura continuò a elencare le sue disgrazie con voce debole e lontana, finché io, malgrado l’indignazione di Gormon, lasciai cadere alcune tavolette alimentari nella tasca che aveva sul petto. Poi ci facemmo strada a forza di gomiti fino al palazzo. Sotto il portico, si presentò ai nostri occhi una vista anche più orrenda: un Alato storpio e curvo, le fragili membra rattrappite e deformi, un’ala aperta a metà e seriamente mutilata, l’altra completamente mancante. Subito l’infelice si gettò sopra Avluela; la chiamò con un nome non suo e inondò i suoi gambali con lacrime così copiose che quelli rimasero tutti macchiati e inumiditi. — Accompagnami alla Loggia! — implorò. — Mi hanno cacciato via perché sono storpio, ma se tu mi accompagnerai… — Avluela spiegò che non poteva fare niente e che era straniera. Ma il disgraziato non voleva staccarsi da lei e allora Gormon lo sollevò con delicatezza, quel mucchietto rinsecchito di ossa che era, e lo mise da parte. Salimmo i gradini del portico e subito ci vennero incontro tre neutri che ci chiesero lo scopo della nostra presenza e subito ci affidarono allo sbarramento successivo, costituito da due Classificatori rinsecchiti. Parlando all’unisono, i due ci interrogarono.

— Chiediamo un’udienza — risposi. — Dobbiamo implorare una grazia.

— Per quattro giorni non si concedono udienze — disse il Classificatore di destra. — Aggiungeremo il vostro nome alla lista.

— Ma non sappiamo dove andare a dormire! — proruppe Avluela. — Abbiamo fame! Noi…

La zittii. Intanto Gormon frugava nell’ipertasca. Infine, nella sua mano scintillò qualcosa di lucente: erano pezzi d’oro, il metallo eterno, con impresse sopra facce barbute dal naso aquilino; li aveva trovati fra le rovine. Gettò una moneta al Classificatore che ci aveva sbarrato il passo e questi l’afferrò al volo, passò l’unghia sulla sua superficie lucida e fece scivolare immediatamente la moneta in una piega dell’abito. Il secondo Classificatore aspettava. Sorridendo Gormon lanciò una moneta anche a lui.

— Forse — dissi io — potremo riuscire ad avere un’udienza speciale.

— Forse — disse uno dei due. — Passate.

Così entrammo nella navata principale del palazzo e guardammo lungo la corsia centrale, verso la camera del trono, nell’abside. Lì dentro c’erano altri mendicanti, autorizzati, questi, per concessione ereditaria, che si mescolavano a gruppi di Pellegrini, Comunicatori, Ricordatori, Musici, Scribi e Classificatori. Nell’aria c’era sussurro di preghiere e profumo d’incenso; ogni tanto si udivano vibrazioni di gong sotterranei. Nei cicli passati, quell’edificio era stato il santuario principale di una delle antiche religioni: quella dei Cristani, mi aveva detto Gormon, facendomi sospettare ancora una volta che fosse un Ricordatore mascherato da Diverso. E l’edificio conservava ancora un poco del suo carattere sacro, anche se adesso era la sede del governo secolare di Roum. Ma come fare per vedere il Principe? Alla mia sinistra, scorsi una cappelletta riccamente ornata, in cui stava entrando lentamente una fila di Mercanti e Latifondisti. Sbirciando oltre la fila, vidi tre teschi fissati sopra un apparecchio per interrogazione (un semplice ingresso per serbatoi memoria), e, lì accanto, uno Scriba corpulento. Dissi a Gormon e ad Avluela di attendermi nella navata, e mi misi in coda.