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“Ti amo.”

“Sì, Tomis. E resteremo insieme per sempre.”

“Non mi ero mai sentito così vicino a un’altra persona.”

“In questa Corporazione siamo tutti vicini, in ogni momento. Siamo i Redentori, Tomis. Siamo diversi. La Terra non ha mai visto niente di simile.”

“In che modo ti parlo, Avluela?”

“È la tua mente che parla alla mia attraverso la macchina. E un giorno la macchina non sarà più necessaria.”

“E allora voleremo insieme?”

“Molto prima di allora, Tomis.”

Le pietre di stella si scaldarono nelle mie mani. Adesso vedevo benissimo la macchina: uno stipo da Vedetta, ma con qualche modifica, tra cui le pietre di stella sulle maniglie. E guardai oltre Avluela e incontrai altri visi, visi che conoscevo. Sulla sinistra c’era l’austera figura del Rinnovatore Talmit. Al suo fianco c’era il Chirurgo con cui avevo viaggiato fino a Jorslem, e il Diverso Bernalt gli era a lato, e adesso sapevo qual era il motivo che aveva spinto alla città santa quegli uomini di Nayrob. Gli altri non li riconobbi; ma c’erano due Alati, e un Ricordatore che stringeva la sua sciarpa, e una donna della Corporazione dei Servitori, e altri. E io li vedevo per il chiarore di una luce interiore, perché la stanza era buia come quando ero entrato. Non solo li vidi ma li toccai, la mia mente entrò nelle loro.

La prima mente che incontrai fu quella di Bernalt. La raggiunsi facilmente, anche se con una punta di timore; mi tirai indietro, la raggiunsi di nuovo. Egli mi salutò e mi diede il benvenuto. Allora compresi che solo se fossi riuscito a considerare mio fratello un Diverso avrei potuto ottenere la redenzione desiderata, e la Terra con me. Finché non fossimo stati davvero un solo popolo, infatti, come avremmo potuto meritarci la fine del castigo?

Cercai di entrare nella mente di Bernalt, ma avevo ancora timore. Come potevo nascondergli quei pregiudizi, quel meschino disprezzo, quei riflessi condizionati che si scatenano inevitabilmente quando pensiamo a un Diverso?

“Non nascondere nulla” mi consigliò lui. “Ciò che tu senti non è un segreto per me. Lascialo andare ed entra nei miei pensieri.”

Lottai. Respinsi i demoni. Evocai il ricordo di quel momento davanti al tempio dei Diversi, dopo che Bernalt ci aveva salvati, quando gli avevo proposto di viaggiare con noi. Cosa avevo provato per lui, allora? Lo avevo considerato, almeno per un istante, come un fratello?

Amplificai quel momento di gratitudine e amicizia. Lo lasciai crescere e risplendere, ed esso cancellò le incrostazioni della stizza e dell’inutile sdegno; scoprii l’animo umano sotto la strana superficie del Diverso, e attraversai quella superficie e trovai finalmente il sentiero della redenzione. Bernalt mi accolse nella sua mente.

Mi unii a lui, ed egli mi arruolò nella sua Corporazione. Adesso ero uno dei Redentori.

Nella mia mente scivolò una voce, e non sapevo se udivo il rombo possente di Talmit, o il secco tono ironico del Chirurgo, o il mormorio controllato di Bernalt, o i dolci sussurri di Avluela, perché quella era contemporaneamente la voce di tutti loro e di altri ancora, e mi diceva: “Quando l’intera umanità sarà arruolata nella nostra Corporazione, noi non saremo più un popolo conquistato. Quando ognuno di noi sarà parte di tutti gli altri, le nostre sofferenze termineranno. Non abbiamo bisogno di combattere i nostri invasori perché li assorbiremo, una volta che saremo tutti Redenti. Entra in noi, Tomis, che fosti la Vedetta Wuellig”.

Ed entrai.

E divenni il Chirurgo e l’Alata e il Rinnovatore e il Diverso e il Servitore e tutti gli altri. E loro divennero me. E finché le mie mani strinsero le pietre di stella, fummo un’unica anima e un’unica mente. E quella non era la fusione della comunione, quando il Pellegrino s’immerge anonimamente nella Volontà, ma piuttosto l’unione di uno spirito con altri spiriti; l’autonomia individuale non andava persa, ma si fondeva con un più vasto senso di reciproca dipendenza. Era l’acuta percezione che si ottiene Vigilando, unita alla fusione con un’entità superiore che si prova durante la comunione, e sapevo che era qualcosa di totalmente nuovo per la Terra; non la semplice fondazione di una nuova Corporazione ma l’inizio di un nuovo ciclo dell’esistenza umana, la nascita del Quarto Ciclo su questo pianeta sconfitto.

La voce disse: “Tomis, per primi Redimeremo coloro che ne hanno più bisogno. Andremo in Agupt, nel deserto dove si nascondono quei poveri Diversi che adorano un antico edificio, e li prenderemo in noi e li renderemo di nuovo puri. Poi ci sposteremo a ovest, in un desolato villaggio che è preda del mal cristallino, e toccheremo le anime dei suoi abitanti e li libereremo dal contagio, e la cristallizzazione cesserà e i loro corpi torneranno sani. E andremo oltre Agupt, in ogni terra del mondo, e troveremo coloro che sono senza Corporazione, e coloro che sono senza speranze, e coloro che sono senza domani, e restituiremo a tutti una vita e uno scopo. E verrà il tempo che l’intera Terra sarà Redenta”.

Mi donarono la visione di un pianeta trasformato, e dei conquistatori dal viso arrogante che accettavano serenamente la nostra superiorità e che ci chiedevano di essere incorporati in quella nuova cosa che era fiorita nel bel mezzo della loro invasione. Mi mostrarono una Terra purgata dei suoi antichi peccati.

Poi sentii che era tempo di togliere le mani dalla macchina che ancora stringevo, e le tolsi.

La visione scomparve. Il bagliore svanì. Ma non ero più solo nel mio cervello, perché un contatto restava, e la stanza smise di affondare nel buio.

— Com’è successo? — chiesi. — Quand’è cominciato?

— Nei giorni dopo la conquista — rispose Talmit — ci chiedemmo perché eravamo caduti con tanta facilità, e come potevamo sollevarci al di sopra di ciò che eravamo sempre stati. Comprendemmo che le nostre Corporazioni non bastavano a strutturare una vita, che la strada per la redenzione era un’unione reciproca più salda. Avevamo le pietre di stella; avevamo gli strumenti della Veglia; occorreva solo fonderli insieme.

Il Chirurgo disse: — Tu sei importante per noi, Tomis, perché sai come proiettare all’esterno la mente. Abbiamo bisogno di Vedette. Sono loro il nucleo della nostra Corporazione. Una volta la tua anima frugava le stelle per scoprire i nemici dell’umanità; adesso frugherà la Terra per unire l’uomo all’uomo.

Avluela disse: — Mi aiuterai a volare, Tomis, anche di giorno. E volerai al mio fianco.

— Quando partirai? — le chiesi.

— Adesso — rispose lei. — Andrò in Agupt, al tempio dei Diversi, per offrire loro quanto abbiamo da offrire. E tutti noi ci uniremo per dare forza alle mie ali, e quella forza troverà in te il suo fulcro, Tomis. — Le sue mani sfiorarono le mie. Le sue labbra si posarono sulle mie. — La vita della Terra ricomincia, adesso, quest’anno, questo nuovo ciclo. Oh, Tomis, siamo tutti rinati!

Rimasi solo nella stanza. Gli altri scomparvero. Avluela uscì fuori, nella strada. Portai le mani alle pietre di stella e vidi chiaramente la mia piccola Alata, come se si fosse trovata lì al mio fianco. Si stava preparando per il volo. Per prima cosa si tolse i vestiti, e il suo corpo nudo luccicò nel sole del pomeriggio. Quel corpo minuto sembrava delicato fino all’impossibile; pensai che un vento troppo forte l’avrebbe distrutta. Poi s’inginocchiò, piegò il capo, eseguì i rituali. Parlava tra sé ma udivo le sue parole, le parole che gli Alati dicono quando si apprestano a lasciare il suolo. Tutte le Corporazioni si uniscono, in questa nuova Corporazione; non abbiamo segreti l’uno per l’altro; non esistono misteri. E quando lei invocò il favore della Volontà e la benedizione per tutta la sua razza, anch’io mi unii alle sue preghiere.

Poi Avluela si alzò e spiegò le ali. Qualche passante la fissò con aria strana, non perché fosse insolito vedere un’Alata nuda nelle strade di Jorslem, ma perché la luce del sole era troppo forte, e le sue ali trasparenti, striate di colori lucidi, erano senza dubbio ali della notte, incapaci di resistere alla pressione del vento solare.