Gormon mi afferrò il polso, all’improvviso. — La vostra confessione è sconvolgente quanto la mia. Non perdete fiducia, Vedetta. L’invasione sta per venire!
— E come potete saperlo?
— Anche i Diversi hanno le loro abilità.
Quella conversazione mi turbava stranamente. — È penoso non appartenere ad alcuna Corporazione? — domandai.
— Ci si abitua. E poi, si ha una maggiore libertà, che compensa la mancanza di una condizione sociale definita. Per esempio, posso parlare con tutti.
— Lo vedo.
— Mi muovo liberamente. E sono sicuro di trovare sempre da mangiare e da dormire, anche se a volte il cibo è guasto e l’alloggio povero. Le donne si sentono attratte verso di me, in barba a tutte le proibizioni. Forse per questo non sono roso dall’invidia.
— Non desiderate mai di elevarvi al di sopra del vostro rango?
— Mai.
— Forse sareste stato più felice come Ricordatore.
— Sono felice così. Posso avere il godimento di un Ricordatore, senza averne la responsabilità.
— Siete un bel fenomeno! — esclamai. — Vantarsi di essere senza Corporazione!
— Come potrei, altrimenti, sopportare il peso della Volontà? — Guardò verso il palazzo. — Gli umili si innalzano. I potenti cadono. Prendetela come una profezia, Vedetta: quel Principe gagliardo, là dentro, conoscerà un altro aspetto della vita, prima che venga l’estate. Gli strapperò gli occhi per avermi portato via Avluela!
— Parole grosse. Ribollite d’ira, stanotte.
— Prendetela come una profezia.
— Non potete avvicinarvi a lui — dissi. Poi, irritato per aver preso troppo sul serio le sue fantasie, soggiunsi: — E perché biasimarlo? Fa quello che fanno tutti i principi. Biasimate la ragazza che è andata con lui, piuttosto. Si sarebbe potuta rifiutare, avrebbe potuto…
— E perdere le ali. O morire. No, non aveva altra scelta. Ma io sì! — Con un gesto improvviso e terribile, Gormon allungò il pollice e l’indice, dalle unghie ad artiglio, e fece l’atto di affondarli in orbite immaginarie. — Aspettate — disse — e vedrete!
Nel cortile apparvero due Cronomanzieri, sistemarono l’attrezzatura della loro Corporazione e accesero due candele per leggere l’oroscopo del giorno successivo. Un odore dolciastro di fumo mi arrivò alle narici. Non avevo più voglia di parlare con il Diverso, ora.
— Si è fatto tardi — dissi. — Ho bisogno di riposo; e tra poco dovrò Vigilare.
— Vigilate attentamente — disse Gormon.
5
Nella mia camera, quella notte, compii la quarta e ultima Vigilanza di quella lunga giornata, e, per la prima volta in vita mia, riscontrai un’anomalia che non riuscivo a interpretare. Era un’impressione oscura, un insieme di suoni e sapori, la sensazione di essere a contatto con una massa colossale. Preoccupato, rimasi ai miei strumenti più a lungo del solito, ma, al termine della seduta, la mia percezione non era più chiara che all’inizio.
Poi cominciai a pensare quali fossero i miei obblighi.
Fin dall’infanzia, alle Vedette viene insegnato a dare rapidamente l’allarme; e questo deve essere lanciato quando la Vedetta ritiene che il mondo sia in pericolo. Ora ero obbligato ad avvertire i Difensori? Quattro volte nella mia vita era stato dato l’allarme, e sempre si era trattato di un errore, e ogni Vedetta che aveva scatenato un’inutile mobilitazione era stata orribilmente degradata. Una aveva dovuto offrire il suo cervello alle banche della memoria; un’altra era diventata un neutro, per la vergogna; la terza aveva distrutto i suoi strumenti e se ne era andata a vivere con la gente senza Corporazione; e l’ultima, tentando di continuare la professione, aveva scoperto di essere derisa da tutti i colleghi. Non vedevo la ragione di schernire quei poveretti che avevano dato un falso allarme: non era forse meglio avvertire troppo presto che troppo tardi? Comunque, tale era il costume della nostra Corporazione, e io dovevo conformarmi a esso.
Esaminai la mia posizione e conclusi che non avevo ragioni valide per dare l’allarme.
Gormon mi aveva suggestionato con le sue parole, quella sera; forse ero rimasto scosso dai suoi discorsi.
Non potevo dare l’allarme. Non osavo compromettermi per eccesso di zelo. Non mi fidavo della mia sensibilità sovreccitata.
Non diedi l’allarme.
Fremente e frastornato, chiusi il mio stipo e mi lasciai cadere in un sonno pesante.
All’alba saltai giù dal letto e mi precipitai alla finestra, aspettandomi di trovare gli invasori in istrada. Ma tutto era tranquillo. Il cortile era avvolto da un grigiore invernale, e Servitori assonnati spingevano al lavoro neutri completamente passivi. A disagio, iniziai la prima veglia del nuovo giorno, e, con gran sollievo, non provai più la strana sensazione della volta precedente; però sapevo che la mia sensibilità era più acuta durante la notte che di primo mattino.
Mangiai e uscii nel cortile. Gormon e Avluela erano già là. Lei aveva l’aria stanca e depressa, e sembrava sfinita dalla notte passata col Principe, ma io non feci commenti. Gormon, appoggiato sdegnosamente contro un muro decorato con conchiglie luminose, mi disse: — È andata bene la Vigilanza?
— Abbastanza.
— Cosa farete, oggi?
— Me ne andrò in giro per Roum — dissi. — Venite anche voi? Gormon? Avluela?
— Naturalmente — disse lui. Lei annuì lievemente con la testa.
Dopo di che, come un gruppetto di turisti sfaccendati, partimmo tutt’e tre per visitare la splendida città di Roum.
Gormon ci guidò abilmente attraverso le varie epoche, smentendo la sua affermazione di non essere mai stato a Roum prima di allora. Altrettanto bene quanto un Ricordatore, ci spiegava tutto quello che vedeva camminando per le strade tortuose. Qua e là erano sparse le reliquie di migliaia d’anni: dalle cupole dei pozzi d’energia del Secondo Ciclo, al Colosseo, dove uomini incredibilmente primitivi avevano lottato corpo a corpo con gli animali, come bestie della giungla. Dentro la cerchia di quelle mura cadenti, Gormon ci raccontò la crudeltà di quel tempo incredibilmente lontano. — Combattevano nudi — disse — davanti a folle enormi di spettatori. Con le sole mani, gli uomini sfidavano belve chiamate leoni, grossi gatti pelosi dalla testa enorme. E quando finalmente il leone giaceva al suolo nel suo sangue, il vincitore si volgeva al Principe di Roum e gli chiedeva la grazia per il delitto che lo aveva condotto in quell’arena. E se aveva combattuto bene, il Principe faceva un gesto con la mano e l’uomo veniva liberato. — Gormon ci mostrò quel gesto: un pollice teso e alzato parecchie volte sopra la spalla destra. — Ma se l’uomo si era dimostrato un vigliacco, o se il leone era morto in maniera particolarmente nobile, il Principe faceva un altro gesto e l’uomo veniva condannato a essere sbranato da una seconda belva. — Gormon ripeté anche quel gesto: il pugno chiuso con il medio teso, alzato con un brusco, breve scatto.
— Come fate a sapere queste cose? — domandò Avluela. Ma lui finse di non sentire.
Vedemmo la sagoma dei piloni magmatici che erano stati costruiti all’inizio del Terzo Ciclo per trarre energia dal cuore della Terra, e tuttora in funzione, benché macchiati e corrosi. Vedemmo anche il moncone di una macchina climatica del Secondo Ciclo: era ancora una possente colonna, alta almeno venti uomini. E visitammo anche una collina, dove bianche reliquie marmoree della Roum del Primo Ciclo spuntavano come pallidi ciuffi di fiordimorte invernali. Penetrando nella parte interna della città, incontrammo un bastione di amplificatori difensivi, che aspettavano pazienti, pronti a scagliare tutta la potenza della Volontà contro gli invasori. Visitammo anche un mercato, dove visitatori provenienti dalle stelle contrattavano con i contadini l’acquisto di frammenti antichi ritrovati negli scavi. Gormon si mescolò alla folla e fece diversi acquisti. Poi arrivammo a un emporio di vita per viaggiatori venuti da lontano, dove si potevano comprare le cose più disparate, dal quasivita ai cristalli di ghiaccio empatico. Infine pranzammo in una piccola trattoria sulle rive del fiume Tver, dove i tipi che non appartenevano ad alcuna Corporazione venivano serviti senza tante storie. Dietro insistenza di Gormon, ordinammo dei mucchietti di una qualche morbida pasta e bevemmo un vino color giallo acerbo, specialità locali.